Sgorga cristallina e gelida l’acqua di Fiuggi il 27 Gennaio 1995. Sciacqua e lava quel nero dalle coscienze, dalle camicie e dalla storia che per troppo tempo la destra politica ha vissuto come peccato originale, ovvero la vicinanza spirituale agli ideali che hanno impregnato il fascismo.
La politica Italiana, in quella fredda giornata vernina, ha finalmente la sua metamorfosi con Gianfranco Fini che spoglia il Movimento sociale italiano del suo nero più scuro e profondo per fargli indossare un più consono e attuale azzurrino democristiano sotto le spoglie di Alleanza Nazionale. Sono gli anni iniziali della seconda Repubblica, i primi di Berlusconi, gli ultimi della Lira e di una spensieratezza tutta Italiana che vive ancora di rendita sul lascito di un boom economico ormai concluso.
Il congresso di Fiuggi sembrerebbe il giusto epilogo per un Paese democratico che finalmente entra in pace con sé stesso e con la propria storia avvedendo che i valori della destra politica preesistevano al fascismo, che lo hanno attraversato e che ad esso sono sopravvissuti e che non sono in alcun modo monopolio esclusivo del Ventennio. È la condanna definitiva e il distacco a quello che è stato un “male assoluto”.
Ma a venticinque anni di distanza, purtroppo, ci ritroviamo ancora una volta in un dibattito mediatico ingiustamente ingessato su un rischio di deriva fascista del Paese e viene da pensare non solo se sia vero ma anche se tutto questo abbia senso. Come spiega perfettamente Emilio Gentile, usare con inflazionistica disinvoltura la grave accusa di fascismo non aiuta a capire quali siano i veri pericoli che oggi affliggono la democrazia che nulla hanno a che fare con quel filo nero che collegherebbe Trump a Orban, passando per Meloni e la Le Pen.
La malattia di cui ad oggi soffre il sistema politico è piuttosto uno svuotamento sistematico e la conversione a democrazia recitativa, la quale conserva le forme ma non la sostanza. L’astensione alle urne, la scarsità di dibattito pubblico e un giornalismo asservito al clickbait che spesso fa pagare i suoi approfondimenti, sono solo una piccola parte dei dati che dovrebbero preoccuparci riguardo all’arretramento, lento ma costante, delle democrazie occidentali. L’antifascismo come valore morale sacro dello Stato deve essere sicuramente un vanto, tuttavia non deve ossidarsi su nemici invisibili o addirittura sepolti altrimenti rischia di svilire sé stesso e la propria vittoria confondendo le masse.
Magari ad oggi l’insidia per la Repubblica fosse rappresentata da una spinta identitaria o meno, internazionalista o nazionalista, fascista o comunista. Purtroppo il problema è esattamente l’opposto: la poca partecipazione alla polis. Guardiamo con infinita nostalgia alcuni degli anni più caldi del secondo dopoguerra con le piazze piene e un attivismo quasi eccessivo. Oggi sembra più aver vinto l’individualismo che ha affossato la collettività e il suo fecondo potere di trasmutazione fino al punto che nessuno crede davvero di poter cambiare le cose, a vincere l’antifascismo e quei valori sacri di libertà non è né il fascismo né l’estrema destra ma l’egocentrismo sgomberato dall’appartenenza a un ecosistema più grande: sia esso nazionale, europeo o mondiale.
Negli 1972 il movimento sociale italiano, che violava apertamente la legge Scelba sull’apologia di fascismo, conquistò 56 scranni alla Camera e poco meno al Senato, nel frattempo in quelli stessi anni e successivi, contribuì all’elezione di alcuni presidenti della Repubblica. È il periodo di Terza Posizione, di Borghese e dei suoi forestali e più in generale di una fitta quanto poco chiara galassia di destra extra parlamentare sovversiva. Tutto questo serve per paragonare l’oggi con la Meloni al governo e i suoi “camerati”, rinfrescati dalle acque termali di Fiuggi, cercando di capire se il processo mediatico alla ricerca disperata di fascisti abbia senso o meno. Se il pericolo nero sia davvero ai vertici storici oppure il sia passato.
Non è più tempo dunque per preoccuparci di fenomeni di forte appartenenza perché quello che dovrebbe spaventare è il senso di disorientamento, eradicamento e solitudine che patisce, senza accorgersene, la società civile di oggi. Tanto da scambiare un partito da sempre anti romano e anti centralista come la Lega per un partito di unità e sovranità nazionale vicino a ideali storici Mussoliniani. Dimostrando che “fascismo” è il termine sbagliato per descrivere questo fenomeno perché di certo nella logica Sansepolcriana il primato dello Stato e la sua centralità non sono certo né discutibili né contrattabili. Tutto ciò è scatenato dalla pochezza di idee di una classe politica incapace di essere alternativa, costretta continuamente a porre il prefisso “anti” per nascondere un vuoto molto più attuale e preoccupante.
È però anche innegabile che, saltuariamente, alcuni esponenti politici della destra abbiano atteggiamenti vergognosamente ambigui, che poco si addicono a una maturità istituzionale, volti a strizzare l’occhio a una piccolissima parte del Paese che è convinta di credere, senza una vera riflessione, a una forza nostalgica mai vissuta nelle loro vite.
La democrazia se vuole evolvere deve impegnarsi, da entrambe le parti, a rispettare la legge del contrappasso. A destra si sente il bisogno di nominare più spesso l’espressione “antifascista” mentre l’attuale opposizione ha bisogno di arricchire il dibattito mediatico di nuove proposte e non creare più confusione sui pericoli della cultura e sistema occidentale.