Lo scenario elettorale alla vigilia delle elezioni europee (ed ancora più di quelle americane) appare disgregato e profondamente indebolito nelle proprie certezze tradizionali. Dalle metamorfosi dell’agenda di Trump su posizioni sempre più favorevoli ai Blue collars alle posizioni di Macron sull’immigrazione, passando per le “contaminazioni” ideali della politica italiana, le agende delle forze di destra, centro e sinistra delle due sponde dell’Atlantico appaiono quanto mai confuse e ricche di mutazioni. Ciò mostra una certa fluidità e un forte slittamento di posizioni e consensi nella società occidentale, sia per le preferenze dei gruppi sociali, sia per i valori delle proprie forze convenzionali. Possiamo assistere, infatti, ad un lungo processo che ha portato la destra e la sinistra a scambiarsi le rispettive basi sociali, e molte delle proprie idee e tematiche di riferimento (pensiamo al tema del merito e della meritocrazia) determinando una vera e propria mutazione del sistema politico.
Una mutazione descritta, analizzata e interpretata dal Professor Luca Ricolfi, docente, sociologo, politologo e presidente della Fondazione Hume, nei suoi ultimi scritti che mettono in luce le principali metamorfosi della società italiana. Scritti “come “La mutazione. Come le idee di sinistra sono migrate a destra” e “La rivoluzione del merito”(Rizzoli), in cui il Professor Ricolfi, compie una vera e propria sismografia delle metamorfosi della società italiana e dei cambiamenti del panorama politico. Offrendo oltre ad attente “diagnosi” anche utili “terapie” sia per i suoi mali atavici che per quelli più recenti.
-Professor Ricolfi, quali sono le cause e i principali effetti di queste “mutazioni” e “trasfusioni” tra destra e sinistra?
Trump non deve e stupire: è già da qualche decennio che i colletti blu guardano a destra e quelli bianchi a sinistra, non solo negli Stati Uniti. Quanto all’immigrazione, le posizioni del centrista Macron sono affini a quelle del centrista Calenda, che a sua volta echeggia quelle del riformista Minniti.
Riguardo alle conseguenze della svolta migratoria, direi che la più importante è quella di evitare un’emorragia di voti, un problema che riguarda i liberal-democratici alla Macron ma anche le sinistre. Che però, a livello europeo, sono spaccate: nel Regno Unito e in Danimarca la sinistra riformista sta assumendo tratti moderati e conservatori, in Francia e in Germania la linea severa sugli immigrati prende piede, invece, in partiti di estrema sinistra, di matrice marxista: la France Insoumise, di Jean Luc Mélenchon, e il BSW (Bündnis Saha Wagenknecht), una formazione nuova di zecca che contende voti al partito di estrema destra anti-immigrati (Alternative für Deutschland).
-E come queste mutazioni stanno ristrutturando lo scenario politico italiano, oggi sempre più fluido e instabile?
La ristrutturazione, in realtà, tocca solo la destra, o meglio il partito di Giorgia Meloni, che ha raccolto tre grandi ideali della sinistra: la difesa dei ceti popolari (inclusi, però, i piccoli produttori autonomi), la difesa della libertà di pensiero (contro il politicamente corretto), la promozione del merito nella scuola (è in arrivo un piano di borse di studio per i “capaci e meritevoli ma privi di mezzi”).
Quanto al Pd, pare completamente sordo a quel che avviene in Europa. Elly Schlein sta trasformando il Pd in un partito radical-ecologista di massa, che si rivolge ai ceti medi istruiti, ma ha ben poco da dire ai ceti popolari. Non mi è chiaro che cosa abbia da offrire di diverso rispetto al tandem rosso-verde Bonelli-Fratoianni (AVS, o Allenaza Verdi-Sinistra).
-In questo scenario polarizzato tra una coalizione di governo di Destra-centro e una di opposizione di Sinistra-centro, oggi come vede il ruolo del Centro?
Spiace doverlo dire, ma nell’Italia della seconda Repubblica il centro ha pochissimo spazio. È sì instabile (vedi le vicende di Renzi e Calenda), ma – a meno di sconvolgimenti delle regole elettorali – ha pochissime possibilità di diventare influente.
–Se la destra però è riuscita a costruire una nuova identità capace di raccogliere le forze sociali, la sinistra invece sembra, nonostante il suo “primato civile”, non avere un “primato sociale” soprattutto tra i ceti che prima la hanno incarnata…
Sì, è così da molto tempo. Però aggiungerei una cosa: il primato civile è anche il tallone di Achille della sinistra. Presentarsi come “la parte migliore del paese”, quella che conduce le grandi battaglie di civiltà, le aliena le simpatie di chi, pur pensandola diversamente dalla sinistra, non si sente affatto incivile. E non penso solo ai temi etici sensibili, come la legalizzazione delle droghe o l’utero in affitto, ma anche alla politica migratoria, un tema su cui i ceti popolari – specie se vivono in realtà ad alta densità di stranieri – la vedono in modo diverso da Elly Schlein.
-Tra uno dei principali esempi di queste contaminazioni vi è il passaggio di un tema tipico della migliore sinistra laica e democratica (Mazzini e Bovio per fare un esempio) e di un certo Centro verso destra, come il “merito”. Come è stato possibile?
È molto semplice: la destra è radioattiva. Qualsiasi cosa piaccia alla destra, diventa negativa agli occhi della sinistra, anche se è una cosa di sinistrissima. Vale per il merito, ma anche per i diritti delle straniere, che improvvisamente hanno smesso di piacere solo perché difesi da una politica di destra (mi riferisco al manifesto elettorale di Silvia Sardone, che – rivolto a una sposa islamica – osava ricordarle: “in Europa hai gli stessi diritti di tuo marito”).
-In questo quadro come valuta il ‘68 e la stagione ad essa successiva come momento cruciale di una certa “inversione”, soprattutto nella sua avversione al valore e fattore del merito?
Il ’68 ha seppellito il merito, ovvero l’idea che fosse giusto premiare i “capaci e meritevoli”, come prevede l’articolo 34 della Costituzione. Ma purtroppo ha anche comportato un generale abbassamento del livello degli studi, non solo in Italia.
-Nel suo “La rivoluzione del merito” analizza i veri nodi della questione della meritocrazia indicando cause e prospettive per superare questa condizione. Come si può “liberare” il merito?
Con il sistema di borse di studio al quale, come Fondazione David Hume, stiamo lavorando da qualche anno. Ma è anche una battaglia culturale: dobbiamo smetterla di contrapporre il merito all’inclusione: si può fare ogni sforzo per includere, senza però mortificare chi si impegna e ottiene risultati eccellenti.
-E come una maggiore meritocrazia potrebbe contribuire a superare l’attuale “società signorile di massa”?
Temo che la “società signorile di massa” sia una realtà irreversibile. La promozione del merito (che io distinguo dalla meritocrazia) può soltanto attenuarne gli aspetti più deplorevoli, come l’assistenzialismo e il parassitismo. E regalare un po’ di felicità a chi ha voglia di impegnarsi. Forse, per spiegare che cos’è il merito, basterebbe riflettere sulla vita e sulle scelte esistenziali di Jannik Sinner: quello è il modello.