OGGETTO: L'attrazione per l'anomalia
DATA: 07 Giugno 2023
SEZIONE: Metafisica
FORMATO: Visioni
Le scienze naturali danno l'illusione della certezza, ma rimangono un dispositivo al servizio dell'unico metodo di conoscenza.
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In un inusuale slancio di pessimismo, G.K.Chesterton aveva preconizzato che in futuro, per dimostrare una cosa semplice ed evidente come il colore delle foglie d’estate, sarebbe stato necessario sguainare spade. Al di là del paradosso, tale assunto può essere visto come una critica positiva alla forma mentis della nostra epoca. Voci autorevoli nella storia del pensiero, tra cui la filosofa e storica della filosofia Franca D’Agostini, si sono infatti trovati a esprimere concetti molto simili. Nel suo Breve storia della filosofia del Novecento. L’anomalia paradigmatica, l’autrice torinese analizza la crescente fascinazione del pensiero occidentale verso ciò che mette in crisi la struttura stessa del pensiero. L’anomalia, appunto. D’altronde Kuhn, nel suo La struttura delle rivoluzioni scientifiche, aveva riferito come i sistemi concettuali fossero destinati ad essere funzionanti fintanto che non si riscontrava un’anomalia, un valore fuori scala.  

Al termine “fascinazione” gli andrebbe forse preferita l’immagine di un pensiero alle prese con un gorgo, una forza centripeta ineludibile, formatisi dal continuo raffinarsi delle domande che l’uomo rivolge a sé stesso e al cosmo. Il motivo per cui le domande si sono fatte così raffinate – o anche “così approfondite” o “così aggrovigliate” – deriva senz’altro dall’avanzamento posizionale del paradigma scientifico-razionale, incarnato nelle scienze naturali, che ha portato moltissimi autori (Graham Harman, Raymond Geuss, Stephen Hawking fra gli altri) a proclamare la morte della filosofia.

Il progressivo confluire della filosofia – intesa come disciplina atta a dipanare le trame del reale per tradurle in processi argomentativi e logici – nelle “scienze naturali”, è uno dei fenomeni più chiaramente vaticinati della nostra epoca. I semi di tale processo erano infatti già visibili nel primo Novecento. Da una parte, infatti – sempre seguendo il ragionamento della D’Agostini – la filosofia “pura” della tradizione Hegeliana subisce un radicale ridimensionamento, ad opera degli eredi stessi del maestro tedesco. Già nel 1857 Rudolf Haym, nel suo saggio Hegel und Seine Zeit, aveva dichiarato:

«[…]il nostro non è più il tempo di sistemi […] è il tempo in cui […] la materia sembra essere diventata vivente»

Dall’altra, le pertinenze extrafilosofiche cominciano a “filosofizzarsi” sempre di più. È Jaspers che nel 1919 si chiede se il miglior filosofo fosse lo scienziato. Per penetrare i misteri della materia fattasi viva c’è bisogno di uno scarto metodologico forte, che suona un po’ come un’ovvietà: le scienze naturali spiegano meglio della filosofia quello che la filosofia ha cercato di spiegare per secoli. Ma non deve sorprendere affatto, la nascita della disciplina filosofica è legata a personaggi che erano un po’ di tutto: filosofi, scienziati, mistici, medici. Precisamente cinquant’anni dopo Jaspers, Heidegger pubblica un saggio decisamente tranchant, netto – sul quale in seguito tirerà un po’ il freno – intitolato La fine della Filosofia e il compito del pensiero in cui viene evidenziato come la diluizione della filosofia all’interno delle singole scienze fosse un evento irreversibile. La percezione era che la filosofia avesse esaurito il suo mandato, avendo guidato la nave in porto con tutto il vessillo. L’uomo ha, infatti, imparato a pensare tramite la disciplina filosofica, con il metodo filosofico. Ora che il novero delle scienze si è allargato e diversificato, questo metodo si è integrato in ognuna di esse

Da questa posizione si possono trarre due conclusioni: 1) che della filosofia importa (ed è sempre importato) il metodo più che la funzione; 2) che le nostre attuali conoscenze non sono conquiste pionieristiche di uomini illuminati venuti fuori chissà come da una progenie di bruti, ma sono solidamente ancorate a qualcosa di più antico. Se sulla prima conclusione ci sarebbe troppo da dire, sul secondo punto abbiamo modo di immaginare e concettualizzare in maniera precisa l’evidente e chiara derivazione delle scienze naturali dalla filosofia in termini epistemologici. In Laboratory Life, Latour e Woolgrave esemplificano le procedure in atto nella scienza da laboratorio e la mettono in relazione con le pratiche classiche del pensiero speculativo, evidenziando diverse affinità sostanziali nel modo di produrre dati e di direzionare le scelte. 

D’altro canto, il campo della fantascienza, che si muove su speculazioni meramente scientifiche, è inscindibile da riflessioni filosofiche. Si pensi alla traiettoria di autori come Asimov o Dick, ma anche Huxley o Zamjatin. Le complesse architetture dei mondi scientificamente avanzati sono semplicemente un vestito attraverso cui traspare l’intento filosofico delle opere. Il pensiero occidentale è attratto da un’anomalia, un’anomalia paradigmatica che ha a che fare con il fatto che una certezza (il pensiero filosofico) ha abbandonato la sua posizione, ed ogni verità, ogni sistema sembra impossibile, se non quella delle scienze.  

L’illusione di certezza delle scienze naturali è quella relativa al fatto di poter dimostrare in maniera incontrovertibile la validità o meno di un sistema inserendo progressive dosi di anomalia, di fatto, togliendo spazio alla filosofia. Ma, parafrasando il re del Piccolo Principe, sarebbe stupido chi chiedesse a un filosofo di spiegare la teoria delle stringhe, o di valutare la raccolta dati sulle oscillazioni orbitali di una stella. Il dominio della filosofia è tutto nel metodo in cui la mente umana esercita la sua posizione, ed è il linguaggio attraverso cui questo dispositivo si attua in ogni branca del sapere.  Sarebbe davvero impossibile non notare come, attraverso la costruzione di un romanzo di fantascienza avvenga contemporaneamente la strutturazione di un pensiero filosofico, un intrusione di quel metodo che per Heidegger abbiamo così bene interiorizzato da essere attivabile in praticamente ogni momento. Si potrebbe essere tentati di dire – provando a raggiungere l’icasticità dell’aforisma di Chesterton – che tutto è filosofia, persino, e soprattutto, ciò che non lo sembra affatto. 

Scienze naturali e filosofia non sono lontane. Al contrario, occupano, fin dall’alba dei tempi, due posizioni diverse nello scacchiere mentale dell’uomo, con la filosofia in posizione di evidente predominio in quanto metodo di conoscenza, mentre la scienza naturale ne è un dispositivo. L’opposizione tra scienza e filosofia è dunque un’illusione, una semplificazione che, per quanto utile a concettualizzare la differenza fra noi e il nostro passato, non può essere presa come un dogma.

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