Secondo il mio caro, fraterno amico Simone Cattaneo, Il principe di Machiavelli era “il più grande romanzo della nostra tradizione”. In qualche modo, aveva ragione. La nostra è una letteratura spuria, sporca, anomala, poco avvezza al romanzo, penzola sul crisma del saggio cinico: la Storia della colonna infame di Manzoni è più invasiva e terribile dei Promessi sposi, da lì germinano Sciascia e Gadda; le Operette morali sono un capolavoro, le autobiografie di Casanova e di Alfieri, i saggi di Pietro Verri, i diari di Carlo Dossi opere miliari. In Italia i grandi romanzi son tali se deviano dalla formula canonica del romanzo. Ma questo è altro affare. Il principe, in effetti, ha scrittura maschia, schietta, ‘romana’, classica e minatoria: si legge con gioia. Il mio amico Simone Cattaneo, va specificato, amava la letteratura americana: leggeva, in particolare, Saul Bellow e Denis Johnson, Delmore Schwartz e Erskine Caldwell; ascoltava Lou Reed, adorava Martin Scorsese.
Sto cianciando. Il tema del giorno è questo. L’inesauribile successo di Niccolò Machiavelli negli Usa da almeno un lustro. Tutti citano 1984, in molti discettano intorno alle ineffabili verità di Dune, ma è Il principe di Machiavelli a definire – e risolvere – la natura attuale degli States. Non lo dico io, barbarico Yawp urlato nella vecchia Europa: di Our Machiavellian Moment scrive Camila Vergara, che insegna storia delle dottrine politiche alla Columbia University, sulla “Boston Review”. Il saggio è uscito il 5 gennaio scorso, pare annunciare, con tracotanza visionaria, quello che sarebbe accaduto poche ore dopo.
Il 2020 è stato apocalittico – è ragionevole pensare che non abbiamo ancora toccato il fondo. La minaccia del disastro climatico e la guerra per le risorse prime, la costruzione di muri e campi profughi, la ricchezza esorbitante di potenti oligarchi paragonata alla povertà e alla precarietà dei molti, non saranno risolti da un vaccino né da un nuovo presidente. In mezzo al disastro, non c’è da stupirsi che Machiavelli sia tornato tra le nostre letture predilette. Come scrive lo storico Patrick Boucheron: “Machiavelli è l’uomo che filosofeggia quando i tempi sono terribili. Se torniamo a leggerlo proprio oggi, dovremmo preoccuparci. È tornato: svegliati!”
Il saggio ha due ragioni d’interesse. La seconda è peculiare alla centralità del pensiero americano oggi – non tanto centrale come allora. Camila Vergara commenta, infatti, il libro di uno storico francese, Boucheron, tradotto in Usa: Machiavelli: The Art of Teaching the People What to Fear (che in realtà, alla francese, s’intitola in modo più sobrio: Un été avec Machiavel). Tuttavia, Machiavelli è amato negli Usa: dal 1958 conto sette traduzioni diverse del Principe e innumerevoli edizioni, l’ultima è uscita l’anno scorso. Nel 2020 John P. McCormick ha pubblicato per la Princeton University Press Reading Machiavelli: Scandalous Books, Suspect Engagements, and the Virtue of Populist Politics.
La seconda ragione è questa. Machiavelli, nel Principe, si scaglia contro le virtù promosse dagli ipocriti, pallida maschera – e macchinazione – che cela ferocia, ruberia, codarda crudeltà. L’uomo è malvagio per natura, fare il pio, dunque, non serve a nulla, se non per ingentilirsi le folle: il principe deve saper domare la fortuna, bestia bastarda, lasciva, inafferrabile. “Io iudico bene questo: che sia meglio essere impetuoso che respettivo; perché la fortuna è donna, ed è necessario, volendola tenere sotto, batterla e urtarla. E si vede che la si lascia più vincere da questi, che da quelli che freddamente procedono”. La vita, ecco, va rischiata con audacia, il potere si mantiene sapendo mutare come muta il vento, non si pianta in palude. L’uomo è un impreciso incrocio di pietà e furia, “pertanto a uno principe è necessario sapere bene usare la bestia e lo uomo… sendo spesso necessitato, per mantenere lo stato, operare contro alla fede, contro alla carità, contro alla umanità, contro alla religione”. L’esercizio del potere chiede, con dosi esatte, spietatezza e accuratezza, dedizione verso l’inganno, dissimulazione. “Essere gran simulatore e dissimulatore” è in effetti il carattere fondamentale del principe, che, come si sa, deve essere golpe e lione. Dovessimo leggere in filigrana i recenti fatti americani, pare che Trump abbia fatto il leone scoprendosi ratto; rivelando, piuttosto, la natura contagiosa, puntiforme, pungente della frustrazione americana. Che tra i modelli inimitabili di principe Machiavelli segnali papa Giulio II, uomo di Dio dominato da “ferocità e impeto” aggiunge al suo trattato qualcosa di ironico. Fin qui, però, appunto, abbiamo la trama di fiction seriali di successo alla House of Cards. Piuttosto, scrive la Vergara, Machiavelli va usato come antidoto alla realtà dei fatti: ogni potere si cristallizza in tirannia, anche la democrazia tende a snaturarsi smisuratamente in gesto oligarchico, espresso da clan (i Kennedy, i Bush, i Clinton). “In qualità di filosofo ‘del risveglio’, il cui pensiero si scaglia, come un fiume impetuoso, contro le fortezze che detengono una opaca rappresentazione di quella che a fatica possiamo definire democrazia, Machiavelli è il compagno ideale in questi tempi turbolenti in cui le istituzioni canoniche vengono messe in discussione negli Stati Uniti, e sono rese fragili da disastro economico e minaccia pandemica. Quando il crollo pare inevitabile, il realismo, l’irriverenza, l’impegno di Machiavelli per la libertà della gente comune sono un porto sicuro”.
Le proposte lievi, liete, azzurre della Vergara ricordano quelle di Gian Mario Anselmi nell’edizione Bollati Boringhieri delle Grandi opere politiche di Machiavelli. “Il principe non può essere riduttivamente letto come una sorta di vademecum dello Stato assoluto o – peggio – tirannico: anzi Machiavelli è lontanissimo da tale prospettiva. Il sovrano può fondare la sua legittimazione proprio negando l’arbitrio, il semplice possesso privatistico, la gestione faziosa e tirannica del potere… Che questo percorso, che il raggiungimento di questo fine possano essere lastricati di sangue, violenza, inganno Machiavelli né lo nega né lo occulta: egli semplicemente prende atto di una realtà in cui i ‘profeti disarmati’ sono destinati a soccombere”. Nel mondo del potere – perfino ecclesiastico, se non soprattutto – non c’è spazio per i buoni di cuore. Machiavelli insegna a riconoscere i governi coercitivi: dobbiamo rovesciarli?
Coltivare la strategia, adorare la parola che ipnotizza le masse, calmare il caos con l’efferatezza: anche la Cina ha il suo Machiavelli, all’eccesso. Nonostante siamo indotti a pensare che sia Confucio il padre filosofico del reame cinese, è il Signore di Shang il suo autentico ispiratore. “È nella natura degli uomini inseguire il profitto, così come l’acqua segue la linea di maggior pendenza; sono gli interessi egoistici a muovere gli uomini”, attacca lo stratega, vissuto nel IV secolo prima di Cristo, vegliato dalla dannazione postuma (“parlare di lui insozza la bocca e la lingua”, scriverà il poeta Su Tung-p’o un millennio dopo), lettura ineluttabile. “Se governi con punizioni, il popolo avrà paura; avendo paura, non commetterà scelleratezze e, non essendovi scelleratezze, la gente sarà felice per ciò di cui gode”: questa è la sintesi del potere col bastone del Signore di Shang. “La porta che conduce alle ricchezze e all’onore deve consistere nella guerra e in nient’altro”, ci insegna questo granitico alfiere della crudeltà. D’altronde, non si può governare alcuno senza il pieno dominio di sé:
Chiunque faccia assegnamento sull’impero viene rifiutato dall’impero; chiunque faccia assegnamento su se stesso vince l’impero. Colui che vince l’impero è uno che considera suo primo dovere vincere se stesso; colui che ha successo nel conquistare un forte nemico è uno che considera suo primo dovere conquistare se stesso.
Machiavelli scrive della fortuna quando è in rovina, redige Il principe quando principi e principati lo costringono all’ozio coatto. Solo quando si è fuori dalla Storia la si riesce a comprendere; solo al di là dell’uomo si carpisce, dell’uomo, l’angelo a quattro zampe, la bestia, il candore nella ferocia.