OGGETTO: Lagardenomics, o della liquidazione totale
DATA: 16 Dicembre 2024
SEZIONE: Economia
FORMATO: Analisi
AREA: Europa
Hanno fatto discutere le parole della Governatrice BCE Christine Lagarde, che ha proposto di rispondere alle future politiche economiche trumpiane incoraggiando un maggiore consumo americano. Una contrarietà a dinamiche di tit-for-tat, ossia ‘occhio-per-occhio’, che in mancanza di reciprocità è difficile pensare non andranno comunque a concretizzarsi.
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È apparsa quasi come una supplica fuori luogo quella della governatrice della Banca centrale europea Christine Lagarde, che al Financial Times ha rilasciato delle dichiarazioni quantomeno discutibili rispetto all’approccio che l’Ue dovrebbe avere verso la politica commerciale americana targata Donald Trump. 

Politica commerciale che, almeno lato europeo, sembra coerente con degli obiettivi che richiamano lo “splendid isolation” di britannica memoria e che, ricordiamo, funzionava soltanto perché la Gran Bretagna tra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento era la maggiore potenza economica e militare a livello mondiale, con un dominio coloniale che le consentiva di dettare le regole a proprio piacimento e con risultati soddisfacenti. 

Oggi il mondo è profondamente cambiato, quelli che prima chiamavamo Paesi in via di sviluppo sono le nuove potenze emergenti, le regole di ingaggio sono cambiate, l’Occidente non è più – da tempo – il centro del mondo. È necessario che anche l’approccio alla crescita economica cambi paradigmi e ritorni ad una dimensione pre-globalizzata. Ci siamo tutti resi conto che oramai la lotta per la competitività è il nuovo mantra dell’economia mondiale, nella quale l’Europa fa la parte della comparsa ai margini del palco. Per tale ragione non più tardi di pochi mesi fa era stata commissionata la “Cura Draghi”, di cui avevamo già discusso, e che pare essere stata a questo punto messa ampiamente da parte in qualche scaffale impolverato. 

Da un lato si chiedono investimenti monstre in innovazione e produttività per essere competitivi, dall’altro si incoraggiano governi e consumatori verso il Buy American, che dovrebbe, nella logica lagardiana, dissuadere Trump dall’adozione di politiche commerciali aggressive verso il resto del mondo, e quindi anche il Vecchio Continente. Le parole della Lagarde spingono all’incentivo all’acquisto di materie prime energetiche e armi dagli Stati Uniti, e anche su questo ci sarebbe molto da obiettare, considerando che la politica energetica europea (quando ancora ce n’era una) puntava alla diversificazione delle fonti per affrancare l’Europa dal gas russo (che ancora acquistiamo) e una completa inversione ad U nei confronti della politica di costituzione della difesa europea comune. Insomma, tutto svanito in una bolla di sapone. La crisi dell’industria tedesca è la cartina al tornasole di una politica completamente fallimentare

Questa notizia fa il paio con la sottoscrizione di uno spazio di libero scambio con i Paesi del Mercosur, che porterà ad aumentare l’esportazione di beni ad alto tasso tecnologico verso l’America latina e l’importazione di prodotti energetici, materie prime e beni agricoli. Tutto molto bello e logico, se non fosse che la potenza regolamentare europea, negli ultimi 25 anni, si sia indirizzata verso la costruzione di un castello normativo incredibilmente restrittivo in materia di salute e sicurezza alimentare, che ha imposto la realizzazione di standard qualitativi dai quali i paesi sudamericani sono lontani anni luce. In questo modo, le nostre tavole saranno ricche di prodotti coltivati con l’utilizzo di prodotti chimici tossici che hanno reso l’agricoltura europea poco competitiva e poco conveniente, provocando l’abbandono del settore da parte della forza lavoro. 

Insomma, la ricetta perfetta della specializzazione che segue i paradigmi ottocenteschi dell’economia ricardiana, fondata sul costo opportunità e sul vantaggio comparato, ovvero, importo ciò che non mi conviene produrre. In questo modo si va verso una forzata specializzazione dell’economia, nella quale andremo a produrre soltanto ciò in cui investiamo energie e risorse, diventando completamente dipendenti su altri fronti. Un po’ quello che era stato rimproverato alla Gran Bretagna – a volte ritornano – nel contesto della Brexit. 

Un altro punto latente della questione riguarda l’ambito di applicazione di questa dottrina. Contrariamente a quanto si pensa, le attività legate alla produzione agroalimentare hanno un impatto ambientale notevole, tra consumo di suolo, acqua ed emissioni. Depotenziando la produzione interna di prodotti agroalimentari si va compiendo un disegno di transizione ecologica che va a spostare le esternalità negative verso le potenze emergenti, che si troveranno ancor di più impossibilitate a far fronte alle agende di sviluppo sostenibile a livello internazionale. 

L’indirizzo dato alla politica commerciale europea è tutt’altro che sostenibile, non solo in termini ambientali. Il principio fondativo del commercio internazionale è la reciprocità dei rapporti, ceteris paribus. In mancanza di condizioni paritarie una delle due controparti si troverà a soffrire delle condizioni svantaggiose, che in questo caso si dirigono proprio verso l’Europa. Forse non è del tutto sbagliato ripensare delle politiche protezioniste che salvaguardino il comparto produttivo interno, che da tempo soffre la competitività sbilanciata dei prodotti extra europei, in una conversione forzata del sistema che lascia indietro i più piccoli. Lo stiamo facendo nei confronti delle auto elettriche cinesi, ritenute colpevoli di concorrenza sleale, possiamo farlo nei confronti delle merci dei Paesi ‘amici’. Negli ultimi anni molti Paesi, compresa l’Italia, hanno investito nel commercio internazionale come principale fonte per drogare la crescita del Pil. Politica che, in presenza di imposizione di tariffe, avrà un effetto boomerang sull’economia europea. La governatrice Lagarde si è detta contraria a dinamiche di tit-for-tat, ossia ‘occhio-per-occhio’, ma in mancanza di reciprocità è difficile pensare che si possa fare diversamente. Come ha ricordato Ignazio Angeloni, sarebbe meglio se Christine Lagarde si occupasse di politica monetaria, per la quale è più che sufficientemente retribuita. 

Se Trump vuole la guerra dei dazi, forse è giusto scendere a lottare su un terreno comune e approfittare per sviluppare una politica economica ed industriale efficace con una duplice funzione: da un lato, la crescita e l’irrobustimento di un sistema produttivo distrutto dalla globalizzazione – non perché si debba considerare la globalizzazione il male assoluto, ma semplicemente perché accettiamo supinamente le regole altrui -, dall’altro la spinta della domanda interna, attraverso la creazione di occupazione e l’incremento della capacità di spesa dei cittadini europei.

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