Raramente una decisione accontenta tutti. Si dice che la politica sia tipicamente una questione di compromessi. In condizioni normali la politica è guidata dai principi del do ut des, del win–win, del colpo tanto al cerchio quanto alla botte. Eccezionalmente giungono momenti diversi, dove è richiesta una decisione storica. Le decisioni storiche sacrificano oggi gli interessi di alcuni, cosicché un domani non vengano meno quelli di tutti. Gli anni Venti del XXI secolo sono, per gli europei, terreno fertile per le decisioni storiche. In questi giorni ed ore si sta facendo la storia tra Rio de Janeiro, Roma e Bruxelles.
Diciotto e diciannove novembre, in Brasile si ritrovano i leaders del mondo intero per il G20. L’evento offre ai partecipanti una occasione per negoziare su di una moltitudine di piani, taluni paralleli e taluni incidenti. I media italiani si sono inizialmente concentrati sul dialogo riguardante i conflitti in Ucraina e Medioriente, nonché sulla annessa COP di Baku. Poi, a ciel sereno, una pioggia di notizie testimonia il movimento di un ingranaggio rimasto a lungo in sordina. Si potrebbe chiudere una questione durata 25 anni: la ratifica del trattato di libero commercio tra Unione Europea e MERCOSUR. L’abbattimento dei dazi tra le due unioni doganali è stato negoziato già a partire dal secolo scorso. Nel 2019 si era giunti a un testo definitivo, ma cambi di guardia a livello politico avevano congelato il discorso. Ci si era programmati di ridiscuterne a fine 2024. Veti, contro-veti e incomprensioni avevano minato la nascita di un trattato-autostrada per il commercio tra, da una parte, i 27 e dall’altra Brasile, Argentina, Paraguay, Uruguay e Bolivia.
I tempi per concludere sono propizi, e ci sono molti motivi per considerare l’accordo un imperativo non procrastinabile. L’economia europea è interamente basata sul commercio, basti pensare all’energia e alle materie prime. In campagna elettorale il futuro Presidente Donald Trump ha promesso dazi nei confronti degli europei – una notizia terrificante, considerando che gli USA sono il primo partner commerciale dell’Unione. Le carte dei flussi economici globali si stanno per rimescolare, e l’UE con i suoi Stati Membri ha bisogno più che mai del MERCOSUR. Gli scambi con la Russia sono limitati, il friend shoring districa lentamente Cina ed Occidente, l’Africa è giovane ma necessita in primis di investimenti. Assieme all’India, ostico negoziatore, rimane un solo grande sbocco nel globo. Uno sbocco necessario in particolare per le industrie tedesche in panne; all’Italia e all’Europa la salute della loro áncora e cuore importa eccome. E ha senso parlare tanto della Commissione quanto delle capitali nazionali. Come vuole il Trattato sul Funzionamento dell’Unione, articolo 207, è la Commissione a negoziare gli accordi commerciali a livello europeo; d’altro canto, sono gli Stati Membri attraverso il Consiglio a indirizzarla e ad approvare gli accordi firmati con una maggioranza qualificata.
L’occasione è politica, oltre che economica. Il progresso nella creazione di una difesa comune ricorda quanto sia fondamentale, per l’Unione, dimostrare continuamente di esistere e di essere un cantiere che procede, per quanto lentamente. L’UE deve costantemente giustificare la sua esistenza, e nulla è meglio di un accordo di marcata natura strategica. Grazie ad esso i paesi europeidimostrerebbero di sapere prendere decisioni divisive e storiche; assicurerebbero l’accesso alle straordinarie risorse minerarie e agricole del Sudamerica; confermerebbero il ruolo dell’UE, oggi più teorico che reale, di araldo del libero commercio a livello globale; cavalcherebbero in anticipo le onde turbolente degli ipotetici dazi trumpiani. Una Europa che sia un soggetto e che non si chiuda al mondo come gli Altri, e bensì si avvicini al Sud globale, è un biglietto da visita la cui forza narrativa produrrà dividendi politici per decenni. Infine, i soggetti politici al di sotto dell’equatore devono essere presi sul serio. L’Argentina, ad esempio, ha prima sfidato l’equivalente contemporaneo della Dottrina Monroe; sotto Milei ha poi respinto le advances di Pechino, ma non per legarsi solo agli USA, ma aprendosi flessibilmente all’intero mondo libero. Del Brasile non serve neanche parlare. Quale migliore segno di forza ed efficacia per gli Europei che cogliere rapidamente una occasione unica? Riempire i vuoti efficacemente è, nelle relazioni internazionali, una manifestazione di forza.
Unirsi al MERCOSUR però non è una mera grande decisione. Le decisioni storiche non si definiscono tali solo per la mole delle loro conseguenze, ma soprattutto per la loro rischiosità. Gran parte dei leaders d’Europa si trova in una posizione più ambigua del Cancelliere Scholz. L’insuccesso negoziale del passato ritorna nei tentennamenti odierni. Negli anni Novanta e Duemila si volevano conquistare i mercati sudamericani senza dovere sacrificare l’agricoltura piccola e sussidiata del Continente, e con essa una articolata serie di regole ambientali. Brasile ed Argentina coltivano ed allevano in massa, disboscano, fertilizzano chimicamente, puntano alla monocultura. Questo è il fondamento delle loro esportazioni – o lo si accetta, o non si può pretendere di sospingere Stellantis, Bayer e simili laggiù. Gli eventi internazionali degli ultimi anni hanno rafforzato la fazione dei favorevoli, ma i contrari ancora ci sono, eccome. Gli agricoltori francesi, in particolare, sono efficientemente sindacalizzati, e con una maggioranza molto labile il Presidente Macron non può permettersi di deluderli in toto: si è schierato con forza contro il trattato. I governi di Polonia, Romania, Spagna ed Italia parimenti dovrebbero colpire duramente la terra favorendo la meccanica e la chimica. La Politica Agricola Comune, il sistema di sussidi che tiene viva l’agricoltura europea, costa; sussidiare molto per riparare i danni dell’economico manzo argentino farebbe venire meno la buona fede necessaria per un accordo stabile. Decisione storica: deludere una fascia sociale fondamentale o rischiare di perdere nel lungo periodo l’economia intera?
L’Italia è il paese chiave nel voto del Consiglio. Con la Germania di qua, e la Francia di là, l’Italia il più grande tra gli stati i cui interessi tirano da ambo i lati: da una parte l’industria, dall’altra le campagne. Il Settentrione della Penisola, coadiuvato da distretti minori nel Centro e Sud, è una macchina da esportazione di manufatti formidabile. Questo è forse l’unico settore che abbia retto alla crisi del 2008 – 2014, ovvero che non si sia sgonfiato e anzi sia cresciuto. Le medie e grandi aziende italiane già oggi sono presenti nello spazio MERCOSUR. Confindustria si dichiara apertamente a favore della conclusione di un accordo per eliminare i dazi tra le due aree. Si oppone invece apertamente Coldiretti, portavoce di interessi parimenti importanti per l’attuale governo. L’agricoltura italiana, come quella di gran parte dell’UE, deve sottostare a regole sulle pratiche produttive molto più severe di quelle sudamericane. L’UE stessa, strutturata così come la conosciamo oggi, nacque per gestire un sistema di sussidi che permettesse all’agricoltura e all’allevamento europei di reggere alla concorrenza straniera. Con crisi idriche e climatiche incombenti, e con una importanza maggiore del settore primario in aree rurali e del meridione (già in sofferenza), aprire l’Europa ai prodotti del MERCOSUR sarebbe un colpo letale per alcune realtà. Le imprese agricole appenniniche o siciliane sono già oggi sul filo del rasoio, e con la loro morte si desertificherebbe una parte consistente del Paese. La sovranità alimentare si può ottenere certamente con una buona politica estera e commerciale, ma soprattutto con la produzione locale. Non si può per l’ennesima volta sfavorire il Sud con la politica commerciale: la libertà favorisce chi è già forte, e punisce chi necessita di protezione.
Prestando attenzione ai rappresentanti istituzionali dell’Italia si può ipotizzare quale scelta sia stata fatta. Recentemente commenti espliciti sulla negoziazione UE – MERCOSUR sono stati affidati al Ministro dell’Agricoltura, Lollobrigida, che dal Consiglio dell’Unione ha sottolineato l’insufficienza delle garanzie contenute nella bozza dell’accordo. Già in ottobre il Ministro degli Esteri Tajani visitava Brasile ed Argentina per avviare le rinegoziazioni di rispettivi accordi commerciali bilaterali; le dichiarazioni pubbliche dalla Farnesina volevano dare l’idea di scambi in espansione, ma senza mai parlare di Unione. Con l’occasione del G20 la Premier Meloni pare aver confermato il desiderio italiano di sfruttare a pieno le opportunità commerciali concesse da Brasile ed Argentina senza modificare l’assetto legale dei rapporti UE – MERCOSUR. L’Italia pare essersi schierata per la conservazione, ma in un modo più indiretto delle prese di posizione macroniane. Le interpretazioni disponibili sono due. Ci si potrebbe star trovando davanti a del tatticismo negoziale, con l’Italia pronta a far pagare il suo voto nella molteplicità di partite a livello europeo: dalla nomina della nuova Commissione, appena sbloccatasi, fino al futuro della finanza pubblica comunitaria. Se c’è uno stato europeo che ama la strategia del peso determinante, questo è l’Italia. Oppure, potrebbe essere stata presa una decisione (importante, ma non storica secondo la definizione precedente): dare all’industria qualcosa, non colpire l’agricoltura, sacrificare una nuova visione strategica ed insistere nella comprovata efficacia della diplomazia commerciale italiana.
Se questa è stata la scelta, è tutto sommato comprensibile. Intanto, ciò che è rotto non va riparato. Poi, l’attuale coalizione di governo trova una parte consistente del suo elettorato nell’Italia che sarebbe svantaggiata da un passaggio del commercio transatlantico dall’America angla a quella latina. Si tratta dell’Italia che ha recentemente votato in Umbria, e che non può essere tradita in toto. Va sottolineato però che non compiere una scelta rischiosa è, purtroppo per la destra italiana, una situazione lose-lose dal punto di elettorale: l’altra grande fonte di voti cui attinse nel 2022 è il Nord-Est delle PMI. L’attivismo diplomatico dell’attuale governo in campo commerciale è stato notevole, dagli accordi chiusi con l’Algeria ed una serie di stati dell’Africa subsahariana e quelli in progressione con Brasile, Argentina, India ed altri. Sono però mosse che colgono vuoti che si aprono, ma segnalano una mancanza di capacità rivoluzionaria. Far fallire ancora una volta l’accordo UE – MERCOSUR significa non prendersi cura di quel modello multilaterale, aperto e globale grazie a cui l’Italia ha prosperato. O meglio, significa non trovarne i resti in un mondo dove ogni soggetto è battitore libero. Sia che si apprezzi sia che si sospetti delle istituzioni di Bruxelles una cosa è certa: con la reputazione dell’Europa geopolitica si accompagna quella dei singoli stati europei, nani in un mondo di giganti.