Le crisi politiche riaffiorate nelle ultime settimane, che altro non sono se non rigurgiti di percorsi ormai consolidati da tempo, fanno emergere delle situazioni di allarme per l’Italia e l’Europa tutta. Il fallimento delle trattative politiche in Libia ha messo in luce i mai celati interessi della Turchia nello scacchiere mediterraneo, di quello che, da quando Erdogan è capo del regime, viene definito progetto “Neo-Ottomano”. Non perché Ankara abbia mai pensato di intraprendere un discorso coloniale post-1911, ma perché la confusione del mondo islamico mediorientale ha ripreso a perpetrare i propri effetti in tutto il mondo arabo, agitando la sponda meridionale del mediterraneo. La partita, oggi, si gioca sull’energia. L’annuncio di Erdogan di inviare un contingente militare a sostegno del Governo di Unità Nazionale di Tripoli guidato da Al-Sarraj è la sublimazione di un mosaico geopolitico che prende forma, e che sorride alla Turchia. Andiamo con ordine, ripercorrendo geograficamente il percorso.
1) In Algeria, confine occidentale della Tripolitania, Erdogan andrà ad installare le basi operative per il controllo delle operazioni a Tripoli, andando a stringere accordi con un Paese energeticamente strategico per l’Italia, dal quale noi attingiamo il 32% del nostro fabbisogno di gas naturale, attraverso il gasdotto Transmed, che fa approdare in Sicilia oltre 18 miliardi di metri cubi di gas all’anno. Eni ha un accordo vigente con Sonatrach fino al 2027, ma non è detto che in futuro si possano rilanciare situazioni più sfavorevoli, politicamente ed economicamente, e la presenza turca in Algeria di certo non aiuterà.
2) Sarraj in Tripolitania sta lasciando il passo ad Ankara. Inutile dire che per l’Italia è una regione di vitale importanza, dove siamo presenti con Eni, i cui interessi sono in pericolo dal 2011 anche a causa dell’ostracismo francese e, ovviamente, per l’eliminazione di Gheddafi. Il Fezzan, la regione a Sud della Tripolitania, altrettanto ricco di idrocarburi, è nelle mire di “conquista” da parte di Erdogan, e tutto dipenderà dalla volontà di Putin di scendere a patti con la Turchia rispetto alla spartizione della polveriera libica, vista la già consolidata presenza russa in Cirenaica a sostegno di Haftar. Sebbene le aspirazioni del Generale non siano quelle di divenire un vassallo di Tripoli, un eventuale accordo tra le parti potrebbe sicuramente costituire un nuovo ordine politico in Libia, in cui l’Italia pagherebbe il conto più salato, visto anche l’interesse francese verso la fazione di Haftar.
3) L’8 di gennaio Putin ed Erdogan hanno annunciato l’inaugurazione del TurkStream, il progetto nato dopo l’annullamento del South Stream, in cui Eni era consorziata alla pari con Gazprom. In quell’occasione, le pressioni europee per l’indipendenza energetica da Mosca e le sanzioni europee contro Gennady Timchenko, capo di Novatek, che avrebbe dovuto realizzare buona parte della condotta anche in Bulgaria, ne determinarono la cancellazione. Ad oggi, 30 miliardi di metri cubi di gas transiteranno attraverso il TurkStream, e 15 di questi resteranno in Turchia. Il resto, anziché transitare verso l’Europa meridionale, si muoverà verso l’hub austriaco di Baumgarten.
4) Nel quadrante orientale del Mediterraneo Israele, Egitto e Grecia si sono accordati (solo pochi giorni fa) per far partire il progetto del gasdotto EastMed, un faraonico progetto di una pipeline interamente sottomarina lunga 1900km, che trasporterà gas naturale verso l’Italia, attraverso il Poseidon, con approdo in Salento, solo 30km più a Sud di Tap. La questione si complica a seguito di un accordo strategico sottoscritto tra Turchia e Libia rispetto al riconoscimento delle acque territoriali reciproche, aprendo un “corridoio” al centro del Mediterraneo, proprio a Est di Creta, dove dovrebbe transitare EastMed. Nello scenario attuale sarebbe auspicabile che questi potenziali 20 miliardi di metri cubi di gas giungessero in Italia, in un’ottica di diversificazione delle forniture di gas, visto il monopolio teutonico sulle vie del gas russo in Europa. La Germania, con il raddoppio del North Stream, e l’Austria, dove approdano tutte le altre vie balcaniche, determinano ad oggi l’apporto di oltre 30 miliardi di metri cubi di gas naturale a beneficio dell’Italia, quasi la metà del nostro fabbisogno annuale. Questo accordo è naturalmente contestato dalla Grecia, che rivendica 40mila chilometri quadrati di mare libico presenti in quest’area, e la pluridecennale contesa sull’occupazione della parte settentrionale di Cipro da parte della Turchia non agevola i rapporti. Il problema è che, tuttavia, nella pratica della real politik, nessun tubo potrà transitare in quel braccio di mare senza che Ankara non esprima il suo consenso.
La Turchia, con Erdogan al potere, si è costruita uno scacchiere geostrategico lungimirante, con l’obiettivo di candidarsi come hub energetico del Mediterraneo. Il subbuglio mediorientale favorisce questa strategia di Erdogan, che allo stesso tempo si è spartito con la Russia le zone di influenza della Siria curda, ostacola le mire saudite di controllo dell’area e si insinua in Nord Africa, dove l’Europa non è pervenuta. La necessità di improntare una politica energetica nazionale deriva dal fatto che la diplomazia europea non è interessata a difendere gli interessi regionali di nessuno, dunque sarà l’Italia a dover agire nel proprio interesse nazionale. La transizione verso la decarbonizzazione ha l’obiettivo di assicurarsi la strutturazione della propria politica energetica che possa essere sicura, autonoma, e indipendente dalle decisioni politiche di chi rivaleggia come nuova potenza regionale. Erdogan potrebbe, purtroppo, ritrovarsi artefice del nostro destino, e potersi permettere di decidere per noi.