Sembra una vita fa quando il Movimento 5 Stelle entrò per la prima volta in Parlamento. Pochi ormai si ricorderanno la ferocità della maggior parte dei mezzi d’informazione contro questa nuova formazione politica nata tra i Meet up e la Casaleggio Associati, che aveva fatto del libro La Casta di Sergio Rizzo e Gianantonio Stella una sorta di manuale di guerriglia da impugnare, leggere, applicare radicalmente nella narrazione come nell’azione legislativa. Al taglio dei propri stipendi da parlamentari, aveva seguito una strategia comunicativa potentissima, unica al mondo, secondo la quale bisognava restare il primo schieramento per numero di voti – e così era – senza mai presenziare ai talk show televisivi. Dentro il Paese reale, nel territorio e sulla rete, fuori dalla cittadella culturale e giornalistica. La logica era la seguente: ogni parola pronunciata contro il Movimento 5 Stelle doveva portare ancora più consensi.
Con il passare del tempo, Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio, si sono poi dovuti scontrare con la complessità degli apparati dello Stato, ma soprattutto col contenimento di quel clima di protesta che ormai non sembravano riuscire più a controllare. C’è un episodio della storia recente repubblicana che ci dice molto su quello che poteva accadere (e che non accadde). Siamo ad aprile del 2013, e il dibattito televisivo e parlamentare è tutto incentrato sull’elezione del nuovo Presidente della Repubblica. Gli elettori del Movimento 5 Stelle scendono in piazza al grido di “Ro-do-tà” (battuto poi da Giorgio Napolitano, 738 voti contro i 217, e nominato il 23 aprile). A un certo punto fuori dal Parlamento, la manifestazione, da pacifica, diventa sempre più calda. Non si registrarono episodi di violenza pertanto i vertici del M5S vennero probabilmente chiamati dagli uomini della sicurezza, in evidente difficoltà. Sono attimi di grande concitazione. Nessuno sa davvero come andrà a finire. I cellulari di Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio non smettono di squillare, così come quelli dei parlamentari pentastellati, prigionieri in Aula. Lasciare correre o contenere?
Alla fine i più popolari fra loro scesero da Palazzo Montecitorio per calmare gli animi, dialogare con i manifestanti, sostenere in forma democratica e non violenta le loro istanze. Vincerà la linea di contenimento. In compenso qualche giorno dopo – senza voler creare alcun collegamento con le richieste legittime degli elettori del M5S – è necessario ricordare, per comprendere la tensione di quelle settimane, l’episodio che vide due carabinieri che presidiavano la sede del Parlamento e del governo, rimasti feriti dopo un attacco di un uomo, vestito in giacca e cravatta, armato di una pistola che aveva come obiettivo alcuni politici (come confessò più avanti).
Per la prima volta il Movimento 5 Stelle ha fatto i conti con la violenza della realtà, ma soprattutto con la complessità della filosofia politica applicata all’azione. Da lì forse è cambiata radicalmente la strategia pentastellata per la conquista del potere, non più all’opposizione, da ora in poi articolata sulla penetrazione del sistema attraverso la mediazione e se necessario il compromesso. Consapevoli di non poter mai raggiungere il 51 per cento dei voti, deciderà prima di allearsi al governo con la Lega, poi con il Partito Democratico. È una scelta di campo, non necessariamente contraddittoria, che pertanto non segue la logica elitista fino in fondo.
Perché se con la Lega, il Movimento 5 Stelle era al governo ma non al potere, col Partito Democratico le cose sono leggermente diverse al punto che Giuseppe Conte, loro emanazione, è diventato intoccabile. Senza entrare nel merito del referendum costituzionale sul taglio dei parlamentari, tantomeno del risultato così prevedibile, la demagogia al potere, ormai, con questa alleanza, è una narrazione fallimentare perché non è credibile. Se è giusto “evolvere” per qualsiasi schieramento in “movimento” è necessaria anche una riflessione profonda su chi si è e dove si vuole andare. E alla battaglia nazionale contro la casta, in molti si aspettavano piuttosto un’elaborazione teorica sul processo di selezione della classe dirigente interna al M5S. Sono passati sette anni, e questa non c’è mai stata. Per questo alla “sanificazione” della politica italiana seguirà la “cannibalizzazione”.