Non siamo dentro La ribellione delle masse di José Ortega y Gasset bensì nel manuale di scienza politica per eccellenza della nostra epoca: La ribellione delle élite di Christopher Lasch. Dopo aver riempito il vuoto di potere con un lockdown integrale inquadrato da un “frame della paura”, ora che il Covid-19 si indebolisce da solo, Giuseppe Conte invece si è preso tutti i meriti celebrando la sua agenda personale con Gli Stati Generali di Villa Pamphili. Non c’è più tempo per i giochi di palazzo, la coalizione di maggioranza si è presa tutto senza lasciare nessun margine di azione ai suoi avversari (al punto che la manifestazione indetta il 4 luglio dal centrodestra a Roma è stata commissariata dalla prefettura con la motivazione a targhe alterne sugli assembramenti). La linea dura sull’epidemia ha spazzato via qualsiasi forma di contestazione. L’epidemia ha distanziato i populisti dal popolo. E ora il governo, malato di “governismo”, può andare avanti possibilmente fino al 2022, anno in cui si dovrà scegliere il nuovo Presidente della Repubblica.
Gli italiani si sono rassegnati, il tempo è sospeso, e se nello spazio si respira un’aria diversa, deriva dal fatto che Giuseppe Conte è stato blindato da tutti i corpi intermedi dello “Stato profondo”, dalla Commissione Europea, e indipendentemente da quale sarà l’esito del voto sul MES, sia dai parlamentari del Partito Democratico che da quelli del Movimento 5 Stelle, compreso Beppe Grillo che nel ritorno in scena di Alessandro Di Battista, ha subito fatto capire che l’alleanza di governo non si tocca insieme alla sua premiership. E chi aveva sollevato qualche critica, dalla Cei (riapertura tardiva delle messe) fino a Sabino Cassese, giudice emerito della Corte Costituzionale (“DPCM anti-costituzionali”), passando per il Ministro Dario Franceschini, “capo occulto” del PD (protagonismo di Conte), si è nuovamente riallineato nel solco della continuità. La verità è che Conte, da una prospettiva dell’establishment, forte del suo spirito (anche ideologico) di adattamento, e rafforzato da una leadership debole nei partiti che formano la maggioranza (Vito Crimi e Nicola Zingaretti hanno un peso nettamente inferiore a quello di Matteo Salvini e Luigi Di Maio), è diventato imprescindibile, quasi un rifugio nell’interregno dell’incertezza.
La traiettoria editoriale dei mezzi di informazione è interessante per comprendere questa dinamica nazionale che vede una linea molto morbida da parte da quelli principali (La Stampa, La Repubblica, Corriere della Sera, e Il Messaggero), pasionaria da parte del Fatto Quotidiano, intransigente per “partito preso” da La Verità, Libero e Il Giornale. Tra tutti, in questi mesi, il quotidiano più interessante e realista in termini di posizionamento è stato Il Sole 24 Ore. Quando gli altri davano i numeri in pieno Covid-19, senza verifiche, alimentando il clima di tensione e di allarmismo, il giornale diretto da Fabio Tamburini manteneva un profilo basso e guardava già oltre la crisi sanitaria. Più volte Confindustria ha tutelato gli interessi dei privati prima ancora di quelli del sistema Paese, tuttavia questa volta – poiché è stato il governo a imporre la chiusura di tutte le attività commerciali, di buona parte di quelle professionali e di molte industriali – ha sollevato forti perplessità sulla decisione politica di bloccare la filiera produttiva per fare fronte all’emergenza epidemica.
Difendere i produttori di ricchezza (gli imprenditori, i commercianti, le partite Iva, i lavoratori autonomi ma anche i dipendenti delle imprese) significa in qualche modo tutelare la concentrazione dei capitali italiani, dunque gli interessi dell’Italia perché inversamente, se i grandi capitali sono altrove, gli interessi del territorio diventano secondari. Non è un caso ancora una volta, che sempre Confindustria, attraverso Carlo Bonomi, è l’unica voce ad essersi sollevata agli Stati Generali indetti da Giuseppe Conte per sottolineare tutte le promesse non mantenute dal governo, dalle procedure a sostegno della liquidità fino ai ritardi dei pagamenti della cassa integrazione. Non sarà la realtà il peggior nemico di Giuseppe Conte tantomeno la legge finanziaria perché l’Ue a differenza dell’anno scorso non manderà nessuna lettera minatoria sui conti. E Confindustria prima o poi si siederà ai tavoli di Palazzo Chigi per negoziare. Il punto dunque non è se esistono oppositori a Giuseppe Conte, bensì che adesso è completamente inutile fare opposizione. Les jeux sont déjà faits. Siamo in piena “ribellione delle elite”. E se ci cercherete, noi saremo altrove.