«Le pagine a seguire non avranno pertanto niente a che fare con la filosofia del dilettante o con i pensierini della sera del guerriero nostalgico. Ne uscirà – confido – qualcosa di somigliante ai racconti di Le Carré o ai momenti cult di Fauda, la serie di Netflix sulle operazioni speciali contro i jihadisti in Medio Oriente. Con la differenza che io non ho bisogno di lavorare di fantasia. Mi basta la memoria.»
“Le Regole del Gioco” edito da Rizzoli, prodotto dalla penna di Marco Mancini, è il libro di un ex Agente del RIS (la squadra anticrimine Carabinieri del Generale Dalla Chiesa) durante gli anni di piombo, poi agente di spicco del SISMI fino alla riforma dei servizi del 2007 e infine uomo del DIS prima di essere congedato con un pre-pensionamento in seguito alla nota vicenda dell’incontro in autogrill con Matteo Renzi a Fiano Romano il 23 dicembre 2020. Atterrato nelle librerie come un meteorite neanche una settimana fa, il caso letterario ha già sollevato una nube complessa di reazioni più o meno favorevoli nella stampa e non solo. Dunque un primo obiettivo (non l’unico) è stato raggiunto: lo scandalo.
Causa ed effetto costituiscono un evento. La causa non va, come spesso accade, separata dall’evento, perché essa ne è parte costituente. L’evento in questione è a tutti gli effetti rientrante nella categoria dello “scandalo”. Dal greco, inciampo, trappola; dal sanscrito, coperto, segreto. Dalla radice indoeuropea “skand”, scendere, cadere. Cadere in trappola. Lo stesso tipo di trappola in cui cadde Marco Mancini il 23 dicembre 2020 a Fiano Romano nell’incontrare Matteo Renzi nel parcheggio di un autogrill. Pedinato Renzi o Mancini, o entrambi? O si trattò solo di una s-fortunata coincidenza? Poi una bella fotografia, precisa, da parte di una persona si dice si trovasse lì per caso, una professoressa di liceo. La fotografia dell’incontro finisce su tutti i giornali, cinque mesi dopo che l’istante è stato tradotto in immagine ed isolato dal flusso continuo del tempo. Mancini è bruciato, caduto in trappola. La sua immagine è ormai una matrice che replica suoi doppi bidimensionali sulla carta stampata dei giornali, sugli schermi delle televisioni, dei computer, dei telefoni. È uno scandalo, naturalmente mediatico.
Dopodiché: pre-pensionamento per Mancini, formalizzato il 12 maggio 2021 dal Direttore generale del DIS, Elisabetta Belloni (ed ex Segretario Generale della Farnesina nel 2016 durante il governo di Matteo Renzi), allora in coppia con l’Autorità delegata ai Servizi del Prefetto della Polizia Franco Gabrielli, durante il governo Draghi. Oggi al posto di Gabrielli c’è Alfredo Mantovano, Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con Delega ai Servizi, il quale pochi giorni fa ha commentato con poche parole non proprio gentili il libro di Mancini a Palazzo Dante, durante la cerimonia di consegna del premio annuale “Una tesi è per la sicurezza nazionale”.
«Domandarono a Confucio – inizia così il suo intervento Mantovano – “Dove cominceresti, se dovessi governare il popolo?” Il discepolo si attendeva una risposta del tipo: “sterminerò i nemici, costruirò un ponte, o un enorme palazzo imperiale”. Invece Confucio rispose: “Metterò ordine nel linguaggio”. Per Confucio, infatti se il linguaggio non è preciso, ciò che si dice non è ciò che si pensa, allora le opere non si realizzeranno, e la nazione non conoscerà il fondamento su cui si fonda, per questo non si deve tollerare alcun arbitrio nelle parole (…). Se parliamo di servizi segreti e non di intelligence, si pensa subito a luoghi nascosti, oscuri, senza possibilità di accesso, e poi con una certa cadenza vengono pubblicati libri che contengono un bel po’ di trash»
L’evento in questione si è svolto in presenza del Direttore Generale del DIS, che invece non si è ancora espresso. Nel volume l’ex spia porta all’attenzione del lettore la presenza di figure descritte come “non adatte” per determinati ruoli interni all’intelligence, eppure tuttora in carica. Il 20 settembre 2022 Dagospia riprendeva un articolo di Alessandro Da Rold scritto per La Verità, in cui si racconta come a pochi giorni dalla fine del governo Draghi, all’ufficio che cura il coordinamento e la gestione delle attività propedeutiche per il golden power si sia insediato Bernardo Argiolas, sostenuto dall’allora sottosegretario alla Presidenza del Consiglio. Un incarico di spessore da cui dipende la nostra politica industriale all’estero, ma secondo Da Rold l’iter per la nomina sarebbe stato molto snello nonostante Argiolas fosse un dirigente di seconda fascia proveniente dall’Autorità Trasporti. Inoltre, l’incarico di capo del personale DIS, dopo che la posizione era rimasta vacante per sei mesi – se ne occupò tramite consulenza esterna, Franca Triestino, Prefetto, già vicecapo di gabinetto del Viminale, molto vicina a Luciana Lamorgese – è stata affidata, con sponsor PD, ad Angelo Tanese (dal 2014 direttore generale ASL Roma 1; nominato nel 2014, riconfermato il 28 marzo 2022 con la firma del Presidente della Regione Lazio Nicola Zingaretti; laurea alla Bocconi in Economia delle amministrazioni pubbliche, perfezionata presso la Sciences-Po di Parigi, dove Enrico Letta ha diretto la Scuola di affari internazionali; artefice della fusione delle tre sanitarie ASL Roma A, E ed Azienda ospedaliera San Filippo Neri).
Ritornando all’evento di Palazzo Dante e alle parole di Mantovano, la notizia è stata ripresa dall’Huffington Post il 20 ottobre con il titolo “Volano stracci nei Servizi. Mantovano s’appella a Confucio contro il libro di Mancini”. Nello stesso articolo si evidenzia che proprio la deontologia degli appartenenti “all’intelligence potrebbe essere presto sottoposta ad una nuova normativa di legge (magari con la riforma), con sanzioni amministrative e pecuniarie, per evitare che, come nel caso di Mancini, la sottoscrizione di un accordo di non divulgazione di quanto appreso nel corso di una carriera di alto profilo venga squadernato pubblicamente. Sull’esempio di quanto avviene con dirigenti apicali di grandi aziende”. Reazione di senso contrario, dunque, ma non certamente la prima.
Nel libro in questione si accusa peraltro una deficienza di “controspionaggio offensivo” e di HumInt (Human Intelligence – ovvero 007 in carne ed ossa operativi sul campo) eccessivamente ridotta, da parte degli apparati italiani, rispetto all’ausilio di strumenti tecnologici (Signal Intelligence). In un’intervista rilasciata ad InsideOver e pubblicata il 6 giugno del 2021, Umberto Saccone, ex funzionario dei servizi ed ex direttore della security di Eni, proponeva di aprire alla divisione del comparto non più per confine geografico ma per funzione, dividendo la Human Intelligence dalla Signal Intelligence. Riguardo invece la questione sollevata da Maria Antonietta Calabrò nel virgolettato di cui sopra, sempre Saccone spiegava nella medesima intervista che “per operare in serenità e servire la Nazione e non interessi di parte, i Servizi dovrebbero stare fuori dall’attuale perimetro giuridico e, parallelamente a quanto già è successo per interi settori di pubblico interesse, essere incardinati, per esempio, nella gestione equilibrata e indipendente di enti come le authorities, ovvero organismi amministrativi dotati di un grado molto elevato di autonomia e di poteri sia regolamentari sia sanzionatori e con competenze specifiche e capacità decisionali che, in coerenza con le necessità dell’Intelligence, siano in grado di esercitare celerità provvedimentale e operativa che mal si concilia con le tradizionali ed attuali tempistiche tecnico-amministrative”.
Dalle colonne di Tiscali Notizie, invece, la firma di Repubblica e dell’Unità, Claudia Fusani, ha scritto che rispetto alle mancanze dell’intelligence nostrana descritte da Mancini, andrebbe invece evidenziata l’efficienza dei nostri apparati securitari, che pochi giorni fa sono intervenuti a Milano (stessa città dove ebbe inizio il caso Abu Omar, dove Mancini fu coinvolto: arrestato nel 2006 e nel 2007 per sequestro di persona, detenuto a Pavia per sei mesi e poi ai domiciliari fino al 2009 quando è stata confermata la sentenza di non luogo a procedere per lui e per Nicolò Pollari) con l’arresto di “due egiziani troppo attivi sul fronte della propaganda jihadista”. Anche questo articolo, una reazione (banalmente) in senso contrario al volume di Mancini. Probabilmente, invece, una coincidenza il tempismo nell’arresto dei due egiziani a Milano a pochi giorni dalla pubblicazione del libro.
Carlo Bonini, da Repubblica scrive un pezzo molto critico, nel quale allude al fatto che l’ex agente segreto abbia scritto il libro per ripicca, non essendo stato nominato vice-direttore dell’AISE poco prima di essere silurato. Il giornalista qui fa notare come Mancini non abbia scritto delle attività del SISMI di Pollari in Calabria; né del controspionaggio offensivo operato dagli stessi in Via Nazionale a Roma; nemmeno del fatto che il SISMI avesse contribuito ad assoldare giornalisti come propri informatori. Inoltre nell’articolo Bonini definisce come di supplichevole natura la lettera aperta a Giorgia Meloni in conclusione al volume. Una risposta, questa, a quanto scritto negli ultimi capitoli del libro, ovvero il seguente passaggio:
“Carlo Bonini, sulla «Repubblica» del 4 giugno 2021, quando in presa diretta annuncia «la resa senza condizioni di “doppio Mike” Marco Mancini, la spia pret-a-porter [mancano l’accento circonflesso e quello grave sulla a, prêt-à-porter, ma nessuno è perfetto, N.d.A.]» con «l’umiliazione della destituzione» e lo «smaltimento delle ferie arretrate». Che dire: bravo! Sarei andato in pensione il 16 luglio successivo e il giornalista conosceva il mio residuo di ferie ancora da fruire. Anche questa volta, chi l’ha informato? Con pregevole coerenza, direi, nel giugno 2023 (leggo da fonti aperte) il citato giornalista è stato incaricato dal direttore Elisabetta Belloni della conduzione, nella sede centrale del Dis, di un incontro con magistrati, in vista dei lavori di modifica della legge 124 del 2007 sugli apparati di sicurezza.”
L’astio di Mancini nei confronti di Belloni, dunque, non è affatto velato nel volume, come non sono velati i suoi sospetti su chi, a partire dal 2014 lo abbia minacciato prima attraverso la consegna presso il suo domicilio di una lettera anonima, poi attraverso una serie di SMS minatori, intimandogli di ritirarsi a vita privata. Stando a quanto scritto dall’autore, Paolo Scarpis (ex direttore ad interim del SISMI) dichiarò che secondo lui le minacce ricevute per messaggio dall’ex-agente imolese non sarebbero potute che provenire dall’interno della nostra intelligence. Fu Gabrielli, come scritto nel libro, a decidere di togliere la protezione a Mancini quando il suo volto divenne pubblico e dopo i messaggi ricevuti. Fu sempre Gabrielli a decidere la sua rimozione e ad indicare a Elisabetta Belloni di avvalersi del segreto di Stato nei due interrogatori cui venne sottoposta dalla difesa di Mancini (Luigi Panella e Paolo De Miranda), nell’ambito dell’inchiesta aperta a Ravenna a carico dell’autore del servizio di Report, Giorgio Mottola, e del direttore Sigfrido Ranucci.
Come faceva notare circa due anni fa Aldo Giannuli (anticipando lo scenario politico del presente con largo anticipo), la vicenda dell’autogrill di Fiano va analizzata nella partita che fu per il Quirinale e che infine vide come vincitore Mattarella, una partita che ha sancito l’inizio per nulla pacifico di una redistribuzione dei poteri interna al nostro Paese. A partire dalle guerre interne alla magistratura, sino ad arrivare a quelle interne agli apparati securitari, ove i sintomi emersi vanno dalla pubblicazione della lista di “filorussi” sino alla fuga dell’oligarca russo dagli arresti domiciliari a Basiglio (Milano). Questione, che nel volume viene affrontata suggerendo un’infiltrazione russa interna agli apparati securitari che appunto avrebbe verosimilmente contribuito alla fuga del magnate.
Ad ogni modo, quelle messe in fila in questo articolo sono solo una parte (per nulla esauriente) delle reazioni suscitate dalla pubblicazione del libro (recensioni positive vengono ad esempio dal Messaggero, con un articolo di Francesco Bechis, ma poco ci segnalano riguardo i misteri irrisolti a parte rimarcare l’innegabile importanza che Marco Mancini ha avuto per la sicurezza del nostro Paese), ma certamente altre ne devono ancora venire. L’autorevole rivista online di intelligence Formiche.net, ad esempio, per il momento non ha ancora pubblicato alcuna recensione dello scritto, probabilmente per il taglio più tecnico della sua linea editoriale. Il caso in questione si preannuncia dunque come “sintomo” (che è sinonimo di “spia”), di un terremoto interno ai nostri apparati securitari che solo ora emerge in superficie, destinato (forse) ad espandersi e a raggiungere (forse) pubblicamente i decisori politici, che potrebbero agire da un punto di vista legislativo, in una riforma dell’intelligence italiana.