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Lo studio di Leonardo Tosoni su "La Carta del Carnaro" (Libreria Europa, 2021) ricorda come Gabriele D'Annunzio riuscì a forgiare una sintesi perfetta delle principali idee rivoluzionarie del suo tempo in un unico, impareggiabile, documento.
Lo studio di Leonardo Tosoni su "La Carta del Carnaro" (Libreria Europa, 2021) ricorda come Gabriele D'Annunzio riuscì a forgiare una sintesi perfetta delle principali idee rivoluzionarie del suo tempo in un unico, impareggiabile, documento.
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Un apollineo lirismo di vita e di ideali ispirò l’intera esistenza di Gabriele d’Annunzio, che nell’impresa di Fiume riuscì a sublimare la più pragmatica delle azioni politiche e dar vita alla più poetica delle costituzioni, cui rende omaggio Leonardo Tosoni nel volume La Carta del Carnaro (Libreria Europa, 2021, 196 pp.). Il merito dell’opera è quello di indagare con lineare organicità gli aspetti ideali, politici e giuridici alla base della Carta, restituendo i caratteri al contempo immanenti e trascendenti di quella “forma costituzionale troppo a lungo negletta”.

Compiuta la fase rivoluzionaria, si rendeva necessaria per il fiumanesimo una veste giuridica, fondamento di un modello alternativo “tanto al massimalismo socialista, quanto al lassismo della società liberale borghese”, in linea con la volontà del Vate di “forgiare una risposta d’azione al sistema costituitosi con la Società delle Nazioni”. Principio fondativo di tale progetto era proprio la Carta del Carnaro, testo in cui trovarono convergenza molteplici ed eterogenee dottrine, da quella sociale mazziniana a quella sindacalista soreliana, passando per le istanze futuriste, l’arditismo e il modernismo nazionalista. Nella Carta, etica ed estetica si avvicendano e assolutizzano, giungendo alla perfetta sintesi tra le istanze del sindacalismo rivoluzionario di De Ambris e gli ideali metapolitici del Vate, animato secondo Tosoni da un “nazionalismo particolare, fortemente spirituale e agganciato sempre ad una visione estetica dell’esistenza”. Ne deriva una costituzione votata all’armonica realizzazione del singolo nello stato, definito da D’Annunzio “volontà comune e sforzo comune del popolo verso un sempre più alto grado di materiale e spirituale vigore”. 

Con l’intento di correggere le storture dei sistemi parlamentari e presidenziali, la forma istituzionale adottata fu la “democrazia diretta”, locuzione inizialmente prevista da De Ambris e resa poi dal Vate col ciceroniano “res populi”, a rammentare il carattere democratico – non demagogico, si badi bene – della Città di vita. Lo conferma la particolare attenzione al riconoscimento della sovranità “di tutti i cittadini senza divario di sesso, di stirpe, di lingua, di classe e di religione”, a cui erano garantite “le libertà fondamentali di pensiero, di stampa, di riunione e di associazione”. Merita una menzione, inoltre, il richiamo al principio dell’habeas corpus a tutela dell’inviolabilità della persona dai soprusi del potere giudiziario. Stabilendo l’autonomia della magistratura dal potere esecutivo, la Carta del Carnaro assicurava un virtuoso garantismo ante litteram che Tosoni, a ragione, contrappone alle derive del potere giudiziario quale “esercente di una giustizia subordinata e delegata dal potere esecutivo”.

Proprio in ambito giudiziale la Carta si mostra notevolmente lungimirante: il potere legislativo era affidato ad un “tricameralismo di tipo nuovo” al fine di risolvere “il conflitto tra le parti laddove né il liberalismo né il socialismo erano riusciti”, mentre il potere esecutivo faceva capo ad un collegio di “sette Rettori” con lo scopo di dirimere “gli inconvenienti del parlamentarismo e del presidenzialismo”. L’attività di giurisdizione veniva svolta da cinque corti, e vale la pena di sottolineare la regolamentazione di una procedura settennale di revisione costituzionale “al fine di serbare l’aderenza della Carta stessa ai cambiamenti imposti dai tempi”.

Nell’ambito sociale, la dignità del cittadino è riconosciuta e valorizzata da norme innovative, che vanno dall’istruzione “in scuole chiare e salubri” alle misure previdenziali “nelle infermità, nella invalitudine”. Per quanto concerne il rapporto Stato-religione, a Fiume vige il “rifiuto di dare un’impronta confessionale” secondo una ratio ad includendum che, lungi dall’affermare la supremazia del razionalismo sullo spirituale, garantiva la tutela di ogni culto. L’“uguaglianza politica e civile dei due sessi” (De Ambris) si concretizza nel suffragio e nell’eleggibilità femminile fino al grado di dictator. Alla proprietà privata si conferisce “un fine sociale che rifiuta la logica dell’accumulo fine a se stesso”, secondo un carattere dinamico teso al “benessere della società”; il lavoro è definito un “momento di elevazione sociale” e vale citare l’articolo XIV della Carta che, meravigliosamente, stabilisce che esso “tende alla bellezza e orna il mondo”, mentre un intelligente interclassismo di natura mazziniana conduce all’adozione di una struttura corporativa, i cui rappresentanti venivano resi partecipi dell’attività legislativa tramite il Collegio dei Provvisori. Si tutelano dunque una serie di diritti “nuovi” poiché, ben spiega Tosoni, “lo Stato considera l’assenza di tali diritti come causa che rende vana e irrisoria ogni altra garanzia di libertà”.

La ricerca di una libertà elevata, le definizioni pressoché liriche in ogni ambito della Carta sottintendono la volontà del comandante di forgiare un “uomo intiero” con l’animo disposto alla bellezza, in quella città tanto poetica da elevare la musica a “istituzione religiosa e civile”. Se il Natale di sangue rigettò un’intera stagione in quella che Lèon Kochnitzsky definì “una notte dolorosa”, e se i lucori dell’alba appaiono ancora oggi ben lungi dall’apparire, il bel saggio di Leonardo Tosoni ripercorre i bagliori dannunziani di una politica poetica inattuale, inattuabile e perciò necessaria in un’epoca satura di cagoia. Un breviario fiumano per andare, alla maniera del Vate, verso la vita.

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