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Il congedo del Duca

Una cerimonia antica.
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Assolato, accaldato, confuso, sparso ed intarsiato ritratto pulverulento di sudore d’amore per un uomo ancora incandescente. Ritratto d’incisione secca e netta medievale di campane d’uomini e di sagome lontane di divise schierate nell’orizzonte che vibra alla forza del sole dove il tempo si confonde e i soldati si fanno cavalieri d’armatura rilucente nello sfondo bianco di marmo assolato accaldato confuso e sparso ed intarsiato volto di uomini e donne e bambini di bandiere e cori e di urla e di mercanti giunti nella piazza lontana nel tempo e nello spazio sconfinato d’una cattedrale per piangere ridendo con affetto della morte del Duca di Milano, Silvio Berlusconi.

Rintocchi di campane, principi stranieri, presidenti ed emirati, principesse e principini, artisti e giullari, menestrelli e cantori, adulatori, seguaci, amanti, figli illegittimi, nemici, nemici piccoli, amici sconosciuti pieni di tatuaggi, volti di guerrieri di curva rosso nera rigati dalle lacrime scosse dai lancinanti e radiosi versi d’omelia di un Dottore, incastonati nel sole immancabile di una piazza assolata, accaldata, confusa, sparsa ed intarsiata nel ritratto pulverulento di un capo, che se ne va alla vista dei suoi figli maschi, nei loro lineamenti così simili, di fronte a una chimera dai mille volti, una piazza agitata ed eccitata d’amore, scolpita nella luce di una sporca estate, il volto di una dinastia politica, irrefuggibile, inevitabile, a fianco dei Visconti, degli Sforza, i Berlusconi, accaldati, addolorati, confusi, risvegliati dal fiume impetuoso della Storia e dal suo fragore.

Le campane di Milano intonano un inno dionisiaco nel calore nauseabondo di una sporca estate, i clacson, le frenate e le derapate al verde serpente del semaforo si sovrappongono alle urla di sgomento, chi di gioia maliziosa, i pescivendoli tornano ad urlare nei mercati e l’italiana società moderna si disfa stanca dei suoi panni contemporanei, torna medievale, antica, brutale, a ritrovarsi o a scoprirsi nuda di fronte al Signore, ora di fronte alla Storia che congeda un’epoca per inaugurarne una novella. I Buckhardt dei giorni nostri diranno che sarà rinascimento, gli Huizinga diranno che sarà un autunno, ma i giornali del mondo intero intero assistono alla geometrica e antica cerimonia di una piazza affollata in una città che si è fermata. Piazza Cordusio costellata di palazzi dedicati a banchieri eroi nazionali è desolata. Piazza affari è un quadro di De Chirico, nella luce metafisica del pomeriggio silenzioso. Solo due sagome indefinite si manifestano sullo sfondo, un vecchio che chiede l’elemosina a una brutta vecchiaccia, ben vestita e tutta raggrinzita, che gli risponde “vai in Piazza del Duomo, che ci sta Berlusconi che ti dà i soldi”.

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