OGGETTO: Cronache di una società autoimmune
DATA: 20 Gennaio 2023
SEZIONE: Recensioni
FORMATO: Letture
L’ultimo libro di Fabio Armao allunga lo sguardo “dietro le quinte” delle dinamiche della base sociale nel mondo odierno, indagando sugli ingranaggi del “totalitarismo neoliberale”.
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Cupio dissolvi. È una sensazione che ricorre in maniera persistente e insidiosa dall’inizio alla fine di La società autoimmune. Diario eretico di un politologo (Meltemi, 2022),ultimo libro della trilogia concepita da Fabio Armao, professore di Relazioni internazionali all’Università di Torino. Un libro che si spinge lungo sentieri di ricerca poco battuti, si interroga sulla solidità di teorizzazioni comunemente considerate intangibili, rifugge dall’ossessione moderna per la specializzazione. Appunti sistematizzati di un viaggio avvincente che ruota attorno a una domanda di ricerca ambiziosa e carica di inquietudine: chi governa il mondo?

Concetto suggestivo e sorprendentemente versatile, oikokrazia è il termine che Armao conia per descrivere la rete invisibile ed estesa a livello globale di moderni gruppi a base clanica. Focalizzando l’attenzione su un mosaico in apparenza frammentato di tematiche, dalle metamorfosi della criminalità organizzata alla geopolitica della finanza, dalle più recenti evoluzioni della guerra all’economia delle dipendenze, il libro si propone di rappresentare nel modo più efficace possibile la pervasività dei clan, abili nell’accumulare capitale sociale e nell’attingere risorse dalla sfera politica, da quella economica e dalla società civile. Clan che gestiscono gli affari di interesse pubblico secondo i modi dell’amministrazione degli interessi privati. Risalendo alle radici della proliferazione di tali reti di potere, si potrebbe individuare nel frangente storico del 1989 l’origine di un totalitarismo neoliberale, in cui gli Stati di foggia westfaliana hanno progressivamente dichiarato la resa rispetto alla capacità di affermare e tutelare i diritti civili, politici e sociali della persona e della collettività. 

«In realtà, è ancora peggio di così. Il problema è che sono le istituzioni in cui si sostanzia il corpo sociale che, con sempre maggiore frequenza e già al primo manifestarsi dei sintomi di qualsiasi conflitto, concorrono esse stesse a scatenare reazioni autoimmuni più che a sviluppare terapie: anziché riconoscere e rendere innocui gli agenti patogeni […] contribuiscono intenzionalmente a distruggere quel che resta della capacità di ristabilire l’equilibrio omeostatico, cioè di produrre gli aggiustamenti necessari a proteggersi dalle minacce alla propria integrità – che sarebbe poi il compito precipuo della politica come arte del governo»

F. Armao, La società autoimmune, Meltemi, 2022, p. 11

A subentrare al dominio dello Stato moderno è stato il mito dell’economia di mercato, ritenuta in grado di autoregolarsi e di “ridistribuire” i vantaggi del capitalismo. L’autore recupera dalla tradizione biblica la creatura mostruosa del Behemoth, già adoperata da Franz Neumann per descrivere il nazismo, allo scopo di dare un nome e una struttura organica al nuovo totalitarismo, di cui il terzo libro della trilogia esamina le molteplici manifestazioni: “Vere e proprie patologie sociali in grado di provocare danni concreti alla salute fisica e psichica di milioni di persone e di diffondersi incontrastate, perché alimentano alcuni dei settori a più alta redditività del capitalismo […]”. (Ibidem, p. 19) Nel capitolo terzo, intitolato Una partita a golf a Mar-a-Lago: “The crony capitalism, stupid!”, vengono ricostruiti nel dettaglio i fattori determinanti per il livellamento del terreno di azione del “villaggio globale”. Negli ultimi trent’anni, osserva Armao, il crony capitalism, che ha dilagato attraverso i canali di trasmissione della globalizzazione, ha sfondato ovunque, nel mondo democratico e in quello dei regimi non democratici, eludendo le barriere nazionali. 

Secondo l’autore, il capitalismo si sarebbe quindi affrancato dai residui vincoli stabiliti dalle entità statuali, giovandosi dell’ampliamento di un intreccio di relazioni interpersonali e, grazie a questa rete, permeando rotte commerciali, flussi finanziari e comunicazioni umane. A quanto detto si aggiunge la cifra significativa dell’omologazione sociale e culturale, che si traduce nell’applicazione di un solo idioma e delle medesime regole comprensibili in qualsiasi area geografica, indipendentemente da valori e dal sostrato culturale delle singole comunità, anche tramite la quarta dimensione del web. Se si assume che il cronyism si concretizzi in uno scambio reciproco tra membri di una comune rete sociale, comportando un danno per chi non ne è membro, inizia a delinearsi un quadro più completo del collocamento dei nuovi clan nell’attuale contesto storico. Prenderebbe così forma un mercato globale fortemente integrato e regolato dalle leggi dei modelli sociali complessi: è perciò che Armao riconosce i caratteri di un patrimonialismo clanico.

«All’interno del “mondo nuovo”, l’ethos capitalista si reincarna nel vecchio oikos che sembrava essere stato definitivamente sconfitto dalla nascita dello Stato moderno: il clan è in grado di ridurre i margini di incertezza dell’agire economico mentre rifugge dai vincoli di legge, di offrire identità e appartenenza – una patria, al di fuori della nazione -, di far circolare merci e denaro a prescindere dal rispetto di qualunque principio di giustizia redistributiva»

F. Armao, La società autoimmune, Meltemi, 2022, p. 105)

Ci si guardi bene dal derubricarlo ad attività di mero lobbying, poiché c’è da considerare che il patrimonialismo clanico risponde agli interessi di un gruppo privato costituito da una pluralità di categorie sociali e che il rafforzamento del gruppo avviene totalmente all’oscuro delle opinioni pubbliche nazionali. Nello sforzo di trarre beneficio dall’espansione dell’unico mercato globale, i clan andrebbero nella direzione di accelerare l’autodistruzione della società, a causa di saccheggi e manipolazioni dell’ambiente naturale, fenomeni di atomizzazione delle comunità umane e di inurbamento spesso fuori controllo. Con la fine della diarchia tra Stato e capitalismo, la sfera politica si è già scoperta stritolata dalle logiche di profitto delle reti transnazionali a base clanica. Nel caso italiano, sono, ad esempio, i partiti politici nati all’indomani di “Mani pulite” a instaurare una forma di oikokrazia, che ricalca l’idealtipo formulato dall’autore: 

«I clan […] fanno appello al potere evocativo di una famiglia immaginata come ambito di una condivisione che può assumere i connotati più diversi […]; impongono al proprio interno forme di controllo sociale tali da consentire l’autoregolazione del gruppo e la necessaria conformità sociale […]; sviluppano una rete di attività comuni che assume i connotati di una nuova forma di patrimonialismo […]»

F. Armao, La società autoimmune, Meltemi, 2022, p. 65

Solo con queste chiavi interpretative ben chiare in mente, presentate nei primi capitoli del volume, ci si può approcciare alla lettura del resto del libro nella consapevolezza che esiste un filo conduttore. È un filo che rimanda al livello macroscopico della ricerca e alla comprensione profonda del Behemoth neoliberale: nell’opera, si passa dai movimenti e dalle formazioni partitiche di marca identitaria, ritenute da Armao in parte responsabili del deconsolidamento delle democrazie occidentali, all’accentuazione del leaderismo in molti regimi (democratici e no); dall’importanza dei “paradisi fiscali” per la sicurezza dei patrimoni dei clan alle derive più allarmanti della corsa al profitto, il capitalismo “della guerra” e “delle dipendenze”, che non solo alimenta le disuguaglianze, ma arriva anche a esigere in tributo la vita dei consumatori (si pensi all’abuso di droghe e medicinali). 

Al temine del libro, l’ottimismo della volontà preferirebbe astenersi dal ragionare sulle estreme conseguenze degli scenari tratteggiati dall’autore. Assemblando le tessere di un mosaico dai colori cupi, Armao non lascia nulla all’immaginazione, affonda le mani nelle viscere della “bestia delle bestie” e getta un fascio di luce sulle periferie del mondo che rischiano di essere dimenticate dai cluster del potere politico, economico, finanziario e militare globale, situate nelle grandi città a vocazione internazionale o in singoli quartieri. Resta lodevole l’operazione di critica sul metodo della politologia e di sviluppo della ricerca politologica compiuta dall’autore. Ma l’impressione che si può trarre dal libro nel suo complesso è che la trilogia sia tutt’altro che un approdo definitivo, quanto piuttosto una sfida lanciata alle nuove generazioni di ricercatori. 

«Oltre al passato, questo ancora ci unisce: l’acuta esperienza del dissidio e dell’alleanza fra l’azione e la parola, e il sapere che solo l’azione è viva, ma solo la parola rimane, nello spettacolare deserto delle città sporche e dei musei troppo grandi»

Eugenio Barba, La canoa di carta in F. Armao, ibidem

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