John Kenneth Galbraith, nel suo Il nuovo stato industriale delineò una nuova fase della storia umana, in cui alla sovrapposizione marxiana tra struttura, sistema economico, e sovrastruttura, quello ideologico, si aggiungeva un ulteriore livello: la tecnostruttura. La tecnostruttura è la convergenza di forze impersonali ed autorità invisibili che muovono l’economia e le logiche degli stati, non sono gli uomini a muoverle, ma sono essi, invece strumenti del Capitale, della Finanza, delle Istituzioni. Tali forze con la pandemia hanno accelerato i loro processi di intrusione e direzione delle società occidentali che si stanno trasformando in democrazie palliative, in cui in nome della sicurezza si impone una deriva burocratica e statalista capace di imporre un dispotismo soft, invasivo e rassicurante. Tutto questo è Sotto scacco (LiberiLibri) di Lorenzo Castellani. Un testo visionario in cui il professor Castellani delinea una spietata e lucidissima analisi delle forze e delle dinamiche che muovono la nostra società, dallo scontro tra populismo e tecnocrazia, al nuovo paternalismo green e umanitario, mostrando l’inquietante avvicinamento tra Occidente e Oriente che si consuma giorno dopo giorno sotto le sirene delle emergenze. Se ne L’ingranaggio del potere, Castellani aveva individuato il principio elitista di una nuova aristocrazia tecnocratica, che si fonda su basi manageriali, in grado di sottomettere la rappresentanza democratica in nome del proprio primato tecnico-economico, in Sotto scacco, lo scontro la tecnocrazia e il populismo, figli dello stesso mondo antropologico, sono solo un elemento dell’affermazione di un nuovo stato postdemocratico che diviene il tema principale di una ricerca che vuole comprendere fino in fondo la deriva della società di mercato verso una pestilenza burocratica ed emergenziale che sta dissolvendo i rapporti di potere alla luce di un mondo nuovo, diviso tra scientismo e complottismo, establishment e popolo, isteria e brainwashing. Farsesco e apodittico, il regime globalitario e tecnopopulista si presenta, nell’analisi del professor Castellani, come un pendolo che oscilla tra lapidazione mediatica e politicamente corretto, la guerra civile e la società anestetizzata, un po’ striscia di Gaza, un po’ Striscia la notizia. Ma da questo stato esiste una via di fuga? Chiediamolo all’autore stesso.
-Professor Castellani perché Sotto scacco e come nasce l’idea di questo libro?
Perché i nostri sistemi stanno scivolando verso forme soft di dispotismo tecnocratico: la nostra è una società sempre più condizionata dalle organizzazioni e da istituzioni non rappresentantive, lontane dalla vita reale. L’idea è nata durante la pandemia con le sue restrizioni e prescrizioni e più precisamente mentre ero in fila per la prima dose di vaccino al centro di un meccanismo burocratico e securitario perfetto. Davanti ai miei occhi c’era tutto: il complesso militare-industriale-tecnologico; lo Stato protettore e paternalista; i meccanismi di paura e obbedienza; la burocrazia nelle sue plurime forme; le nevrosi diffuse ovunque. Troppo per non farci una riflessione.
-Dal big state asiatico alla società post pandemica europea, grazie alle sirene delle emergenze si sta riducendo la distanza tra Occidente e Oriente?
È innegabile che le società occidentali stiano diventando più burocratiche, tecnocratiche e stataliste. I governi agiscono in modo più paternalistico dalla pandemia e gli strumenti di controllo dispiegati sui cittadini sono più imponenti. Dunque sì, almeno in questa fase, c’è un avvicinamento con i sistemi asiatici, quello cinese in particolare. Ciò non vuol dire ovviamente che ci stiamo trasformando in un totalitarismo o che la libertà sia soppressa, ma ci sono dei campanelli di allarme.
-Capitalismo, pandemia, tecnocrazia. Secondo lei, come sosteneva Schumpeter, il sistema razionale capitalista si sta incamminando verso un nuovo stato industriale che, eliminando i propri “guardiani”, si avvia in una fase in cui sia i corpi intermedi, sia le barriere democratiche-politiche, diventano un ostacolo all’espansione della tecnostruttura capitalista?
La storia procede per cicli. Noi siamo entrati in un ciclo in cui protezione-sicurezza-controllo contano di più di libertà-fiducia-responsabilità. I poteri politici per proteggere e proteggersi spezzano o piegano tutte le istituzioni spontanee e intermedie e svuotano la rappresentanza, dunque la capacità dei molti di controllare i pochi. Lo stesso avviene sul piano economico: l’era neoliberale finisce con enormi monopoli e oligopoli, con una concentrazione di capitale elevatissima e con la sconfitta dell’industria diffusa e dell’impresa medio-piccola.
-Secondo lei il fallimento del populismo è da alludere alla mancanza di una gerarchia o una burocrazia? L’era del populismo è finita per mancanza di una élite?
Anche per quello. I populisti si sono fatti fregare dalle vecchie élite: non erano attrezzati bene per governare, la loro proposta politica è stata catturata dall’establishment che per sopravvivere ha attuato i programmi populisti sul piano economico e sociale. Il ricambio populista è riuscito solo a metà e i movimenti anti sistema sono stati addomesticati, si pensi a Tsipras, il Movimento 5 Stelle, Podemos e la Lega.
-La pandemia ha accelerato i processi “evolutivi” della nostra società verso un nuovo stato post-industriale? Oggi siamo disposti a tollerare qualsiasi tirannia purché anonima?
Sicuramente c’è un tema di invisibilità del potere. Siamo entrati nell’era delle autorità ibride. A fianco della rappresentanza ci sono autorità tecniche, economiche, giuridiche, organizzazioni sovranazionali e internazionali che sfuggono al vecchio costituzionalismo. Non userei il termine tirannia: il tiranno è uno e in genere ben visibile. Questa è l’era dei custodi dell’ordine.
-Perché dice che complottismo e scientismo, populismo e globalismo sono i figli degenerati dello stesso modello razionalista, costruttivista?
Perché il modello razionalista e costruttivista nei secoli ha rimosso Dio, le forme di autorità tradizionali, poi lo Stato, le ideologie e i partiti. I fabbricatori di verità, nel bene e nel male, sono stati distrutti. Si è pensato che l’uomo occidentale potesse vivere senza un credo o una fede, ma cosa resta? Fare di Dio la scienza oppure vedere complotti ovunque. Lo stesso vale nella politica pura: trionfano le mitologie e i fanatismi che possono riguardare il popolo oppure le élite. C’è un grande distacco dalla realtà, dalla Ragion di Stato. Senza autorità diffusa e senza legami forti non resta che la guerra civile.
-In questa fase il tecnopopulista Mario Draghi è il fautore della cosiddetta “restaurazione liberale”?
No, non credo. Draghi è stato tra i primi a capire che andava pagato un prezzo ai populisti per salvare il sistema e la classe di governo. Anche di recente, prima di cadere, Draghi ha rilanciato l’allarme sul ritorno del populismo. È un uomo di establishment che però ha capito molto più altri le dinamiche sociali e politiche chi ci circondano.
-Siamo arrivati al massimo compimento di una post-democrazia manageriale? La disintegrazione delle coalizioni prodotta da Draghi come sta cambiando il quadro politico?
La post-democrazia, cioè l’alleggerimento del peso della rappresentanza nazionale e locale, è già in corso da anni. I vincoli esterni che gravano sulla politica nazionale hanno diluito la capacità di autogoverno. Draghi è stato il sintomo di un sistema che per rispettare i vincoli esterni si è auto commissariato. Il parlamento ha resistito un anno e mezzo alla supremazia dell’esecutivo, poi l’ordine è crollato anche a causa della situazione internazionale. I risultati di questo commissariamento autoimposto si vedono chiaramente: le coalizioni sono saltate (a sinistra) o sono fragili (a destra). L’eredità di Draghi, evocata da molti, è invece incerta.
-L’ambientalismo green di massa è l’ultima forma di paternalismo, dopo quello sanitario, a livello internazionale?
L’ambientalismo deriva da una serie di fattori: studi scientifici, l’esigenza di creare una nuova bolla speculativa da parte della finanza americana, la necessità dei governi occidentali di legittimare ideologicamente una nuova ondata di investimenti pubblici. Il problema è che per rincorrere la tutela ambientale si è finiti in alcune contraddizioni (l’elettricità è un vettore e ci si è accorti che per soddisfare la domanda servono i combustibili fossili) e soprattuto in una pianificazione dirigistica dove i governi scelgono quali aziende (e lavoratori) possono svilupparsi oppure morire. L’ambientalismo a tappe forzate mostra il volto peggiore sia dello statalismo che del capitalismo.
-Come afferma Nick Land nella storia contemporanea della Cina ci sono cent’anni di futuro prossimo occidentale? L’occidente di fronte alla crisi degli ultimi anni ha assimilato gli anticorpi delle autocrazie per rispondere alle sfide dell’emergenza o sta usando tali sfide per riorganizzarsi?
L’Occidente ha un patrimonio di libertà costituzionali che lo differenzia dalla Cina. È una differenza culturale, del modo con cui noi ragioniamo, viene dalla storia. I cinesi hanno origine invece nelle società agro-manageriali, dove l’amministrazione prevale sul diritto e la libertà individuale. Ciò detto burocratizzazione, controllo tecnologico, commistione tra capitalismo pubblico e privato, dirigismo economico rendono le nostre società meno libere e plurali quindi più simili e vicine alla Cina. La competizione tra blocco occidentale e Cina si svolge all’insegna dell’emulazione: prima i cinesi si sono dovuti aprire all’Occidente, oggi noi siamo spinti verso un maggior controllo in stile cinese per cercare di contenerli e serrare i ranghi. In fin dei conti, successe qualcosa di simile anche con l’URSS nella fase più tesa della guerra fredda.
-Come uscire da questa situazione di stallo che descrive nel libro?
Non si può uscire. Siamo intrappolati. Serve una forza morale, un’autostima e una fiducia reciproca per resistere all’ingranaggio del potere tecnocratico di cui oramai siamo sprovvisti. Rimanere liberi e responsabili è troppo per noi, siamo oramai intolleranti con l’eccentricità, assuefatti dall’intrattenimento e dipendenti dalle strutture dell’autorità. Nessuno vuole più autogovernarsi, rischiare, cercare di essere sovrano sul proprio destino. Sia come collettività che come individui. Possiamo solo sopravvivere ed evitare il collasso definitivo di ciò che resta della nostra vitalità sociale, cioè finire in una realtà à la Huxley. Ci riusciremo? Ho qualche dubbio. Siamo sotto scacco e ci resteremo parecchio.