OGGETTO: Alla ricerca di un nuovo equilibrio di potenza
DATA: 16 Aprile 2025
SEZIONE: Geopolitica
FORMATO: Analisi
Per gli Stati Uniti rinunciare alla “globalizzazione”, posto che il controllo sugli oceani resta pressoché assoluto, significa rinunciare alla propria stessa essenza imperiale. Il sogno parallelo e opposto dell’America profonda e dell’America europea. Vivere in maniera isolata o normale, il tutto mentre lo scontro ideologico tra coste e interno potrà assumere col tempo connotati sempre più violenti.
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“D’altro canto, nulla vieta di pensare a uno spegnimento senza sussulti, ‘una caduta senza rumore’, uno sprofondamento nel senza-storia, nella sopravvivenza zoologica. Declino lento, agonia dolciastra in cui sul mondo si diffonde un tardo pallore epigonale, di tanto in tanto attraversato da lontani bagliori al tramonto”

Descrivendo, nel “Declinare del mondo”, il lento dissolversi della civilizzazione euro-occidentale fattasi globale, Di Dario ha messo in luce un aspetto solitamente poco contemplato della vita e della contesa in corso nella nostra epoca tra le massime potenze. Il nucleo di qualsiasi analisi puramente teorica degli scenari in atto è che a una superpotenza succeda per forza un’altra superpotenza. Ciò è quanto la storia ci avrebbe insegnato fino a questo momento. Ai babilonesi gli assiri, agli assiri ancora i babilonesi e poi i persiani. Ai persiani i greci e infine i romani. E ancora, in tempi moderni, con gli spagnoli superati dai francesi, questi a loro volta dagli inglesi, infine soverchiati dagli Stati Uniti.

L’idea della translatio imperii sembra vivere ancora oggi negli scenari che si addensano intorno al primato di Washington, destinato a cedere dinanzi all’avvento della potenza imperiale della Cina. A uno sguardo più attento, in realtà, si evince come tali passaggi epocali siano stati molto meno netti di quanto non appaia a prima vista. Costellati di lunghi vuoti di potere e, soprattutto, di fasi in cui all’egemonia subentra l’equilibrio di potenza. Quest’ultimo, su diretta volontà degli interessati.

Il declino della potenza assira fu caratterizzato dall’affermazione di una costellazione di potenze incapaci di ascendere al rango imperiale dei sovrani di Ninive. Così anche nel caso del passaggio tra l’impero persiano e quello “greco”, che diede semmai vita a un sistema di monarchie ellenistiche e un “concerto di potenze” ante litteram nel Mediterraneo, includente anche Cartagine e Roma. In epoca moderna l’impero asburgico lasciò il posto ai numerosi tentativi egemonici francesi in Europa, da Luigi XIV in avanti, i quali si risolsero in un meccanismo (creatosi con la pace di Vestfalia) di contenimento e di alleanze incrociate. Solo un’evidente superiorità sul piano demografico, economico, militare e ideale, come fu la Francia rivoluzionaria, fu in grado di spezzare temporaneamente l’equilibrio europeo. Aprendo, poi, a un nuovo concerto di potenze, il più celebre. Centrato sul Congresso di Vienna, sulla Quadruplice Vienna-Londra-Mosca-Berlino e sulla progressiva ma ormai inarrestabile ascesa alla primazia globale da parte degli inglesi. Primato ostacolato (apparentemente) dai russi. Di fatto oggetto di un duplice assalto da parte della Germania prussiana e poi nazista.

Medesima prospettiva che sembra profilarsi oggi, una sorta di “trappola di Tucidide” che aprirebbe i cinesi all’assalto del potere mondiale, scalzando gli Stati Uniti in declino. Questo scenario sembra trovare delle ragionevoli prove a favore nel ruolo sempre più centrale del Celeste Impero nella globalizzazione, in cui sarebbe dovuta essere “ingabbiata” (telefonare a Bill Clinton per informazioni), nella presenza ormai capillare e pervasiva nel cosiddetto “Sud Globale” o “Mondo Contro”, nell’assorbimento economico del gigante russo, nella dipendenza quasi assoluta dell’ “Occidente allargato” dalle catene di approvvigionamento cinesi. La Cina detiene il monopolio assoluto delle terre rare, è fondamentale in tutte le produzioni riguardanti l’automotive e la produzione di dispositivi tecnologici, in piena corsa nello sviluppo dell’intelligenza artificiale, padrona dei propri dati e con un potente social network, quale è TikTok, che è strumento di guerra ibrida senza esclusione di colpi.

Dall’altra parte della barricata gli Stati Uniti arrancano. Riprendono fiato per concentrarsi sul “nemico principale”, ovvero quella Cina dalla quale andrebbe difesa con le unghie e con i denti l’isola di Taiwan, la porta verso il Pacifico. Si disimpegnano dall’Europa, sicuri (a ragione) che la Russia sia in condizioni quasi disperate. Nel frattempo blindano la fortezza nordamericana, provando a trincerarvisi senza avere né le capacità né le risorse per riuscirvi. Al momento il cammino verso l’“autarchia” sembra arridere più a Pechino, forte delle sue risorse strategiche. E i dazi americani hanno accelerato tale processo, preparando forse il terreno al prossimo assalto cinese a Taiwan e allo scontro con gli americani.

Roma, Aprile 2025. XXVI Martedì di Dissipatio

Per gli Stati Uniti rinunciare alla “globalizzazione”, posto che il controllo sugli oceani resta pressoché assoluto, significa rinunciare alla propria stessa essenza imperiale. Il sogno parallelo e opposto dell’America profonda e dell’America europea. Vivere in maniera isolata o normale, il tutto mentre lo scontro ideologico tra coste e interno potrà assumere col tempo connotati sempre più violenti. Gli arruolamenti sono in crisi, meno di due americani su dieci sono idonei alla guerra. La cantieristica a stelle e strisce è in condizioni disperate. La produzione civile e militare quasi in ginocchio. Stante tali condizioni, la “trappola di Tucidide” parrebbe pronta a realizzarsi. Una Cina in ascesa decisa creare una nuova egemonia globale.

Eppure i dati rendono la questione oltremodo complessa. I dati demografici non arridono ai mandarini. Inoltre la cintura di sicurezza marittima intorno a Pechino è piuttosto solida, al di là di abboccamenti con la Corea del Sud e il Giappone. Posto che gli Stati Uniti cedano, per sfinimento, su Taiwan, la Cina presenta già diverse crepe. Non fa presa dove vorrebbe, né in Europa, né in Medio Oriente, né quanto vorrebbe in America Latina. Ed è circondata da nemici nella “sua” Asia orientale. Questi ultimi sarebbero un’ulteriore cerniera all’espansionismo mandarino.

Da qui gli appelli, nonostante tutto, incoraggianti che apriranno a una nuova fase. Incoraggianti perché forse non avviati a una deflagrazione mondiale, che tuttavia potrebbe scomporsi in una serie di conflitti più circoscritti, frutto di una crescente incertezza e del ritiro degli Stati Uniti. Chiamato e invocato come “multipolarismo”, da russi e cinesi, ora anche dagli americani. Un momento che al tentativo egemonico planetario statunitense sostituisce una fase di incerta coabitazione tra le principali collettività. Un faglia aperta nel solco delle ipocrisie e delle incongruenze insite nell’insano e mitologico “ordine liberale internazionale”, prodotto dell’impero di Washington.

Una faglia in cui però, lungi dal concretizzarsi i fantasmi di una nuova “controegemonia”, sembra profilarsi una concorrenza forzata. Una spartizione in zone di influenza, tra gli Stati Uniti in arretramento, la Russia e l’Iran impegnati a sopravvivere, la Turchia e la stessa Cina in ascesa ma senza poter ambire al dominio planetario per taglia o per evidenti squilibri interni. Un concerto di potenze esteso a tutta la Terra, in cui ognuno sarà impegnato a impedire un eccessivo rafforzamento di uno degli altri, per conservare un certo spazio di azione e interesse.

Certamente il declino e il tramonto dell’egemonia americana, pur non sostituibile da altri concorrenti, sarà l’evento più interessante dei prossimi decenni e (molto improbabile che durino così tanto) secoli. Collasso dai tratti paranoici, di cui l’esempio di Roma ha già mostrato tutte le catastrofiche conseguenze. L’ultima emanazione della civilizzazione europea, nel cuore dell’America settentrionale, attende il suo ultimo imbarbarimento, dopo aver reso il mondo economicamente una propria immagine, sul solco del denaro, della tecnica e del capitalismo. Destino previsto e immaginato più di un secolo fa da Oswald Spengler:

“Come già il periodo imperiale cinese e quello romano ci insegnano, l’essere desto con tutta la ricchezza delle sue forme è destinato a tornare silenziosamente al servizio dell’essere, della vita; il tempo trionferà sullo spazio ed è esso che col suo corso inesorabile incanalerà quell’accidente fuggevole, che sul nostro pianeta rappresenta la civiltà, in quell’altro accidente, che è l’uomo.”

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