Con la vittoria di misura dell’Unione alle elezioni parlamentari di domenica, il leader della CDU Friedrich Merz si avvia a diventare il decimo Cancelliere della Germania dopo un’attesa durata un ventennio. Durante la lunga campagna elettorale, iniziata in autunno con le prime avvisaglie di crisi del governo Scholz e proseguita sin dopo l’insediamento di Trump, l’opinione pubblica tedesca è stata scossa a più riprese da fattori esogeni, da tempo estranei alle dinamiche del voto.
La tendenza delle competizioni elettorali ad appiattirsi su dinamiche interne è un lontano e forse colpevole ricordo. Dopo un iniziale periodo di incertezza successivo alla riunificazione, gli anni di Schröder e Merkel hanno visto gli aspetti prettamente economici prevalere su temi di politica estera, a partire dal collocamento della Germania. Così, anche un elettorato maturo e affezionato alle urne (l’82% di affluenza è un unicum in Europa), ha potuto disinteressarsi di aspetti chiave, che invece avrebbero dovuto investire la leadership tedesca.
Non sorprende dunque che la coalizione verdi-liberali-SPD sia andata rapidamente in frantumi, travolta da una serie incontrollata di eventi, in realtà più che prevedibili. La tanto declamata dipendenza dagli idrocarburi russi non è certamente una novità per Berlino. I rischi di un rapporto sbilanciato con il Cremlino si erano palesati sin dalla crisi del gas del 2006 tra Mosca e Kiev, senza che questo minasse la consapevolezza della Cancelliera Merkel. Altrettanto si può dire sul piano militare, dove l’attivismo della Russia nei confronti dei suoi vicini ha preso le forme di una lunga escalation, sin dal discorso di Vladimir Putin a Monaco del 2007 e all’invasione della Georgia di Saakashvili l’anno seguente. Anche il ricorso all’export come leva di crescita dimenticando la domanda interna è stata una scelta tanto scellerata quanto voluta. Eppure, le tensioni commerciali con Pechino non sono una novità sin dall’elezione di Trump nel 2016, così come la necessità di Xi Jinping di far evolvere la manifattura cinese verso standard più elevati. L’eccesso di fiducia dell’industria tedesca che ha sovrastimato il valore aggiunto dei prodotti esportati, dalle Mercedes alle talpe meccaniche, ha innescato una reazione a catena che si è abbattuta sui paesi fornitori, come l’Italia.
Se la diagnosi è impietosa, la cura proposta rischia di essere se non dannosa quantomeno inefficace. Dimenticando per un momento i tweet di Elon Musk e le magnifiche sorti di Afd ferma al 20%, la CDU di Merz sconta da subito le aspettative elevatissime della comunità internazionale e dei mercati, che chiedono un reale cambio di passo alla Germania. Non è chiaro come la metamorfosi auspicata possa avvenire, tantomeno lo sono i tempi, spesso incerti, della politica. Il cancellierato Friedrich Merz avrà come probabile perno il partito socialdemocratico, venuto fuori a dir poco malconcio dai 3 anni di convivenza forzata con i liberali di Lindner. È facile ritenere che le trattative per la formazione del governo saranno intervallate dalle recriminazioni di una sconfitta, che per Scholz potrà apparire come ingenerosa, e che ha posto fine anticipatamente alla sua leadership. Altrettanto dubbie, sono le concessioni che l’SPD dovrà accordare alla CDU Merziana, che si colloca ben più a destra degli anni di Angela Merkel, sul piano sociale e dell’ambiente, con la revisione del Green Deal.
Il successo oltre le aspettative della Linke, la tenuta dei Verdi e l’affacciarsi di forze rossobrune come l’alleanza di Sahra Wagenknecht contraddicono alla radice il famoso detto pas d’ennemis à gauche. Il rischio è che la polarizzazione della politica tedesca finisca per mietere vittime prima a sinistra che a destra, con una Afd imbrigliata nella dialettica merziana e i socialdemocratici costretti a difendere il fortino dagli assalti di avversarsi in apparenza più presentabili.
La matassa appare persino più aggrovigliata sul piano internazionale, con il disimpegno degli Stati Uniti di Trump dall’Europa che solletica le ambizioni francesi e il rischio di una pace frettolosa e inadeguata tra Russia e Ucraina, che lascerebbe a Bruxelles i cocci di una ricostruzione complicata. Come possa la Germania del Schuldenbremse, il freno al debito che ha tarpato le ali all’Unione, porsi alla guida dei 27 in modo credibile e realistico è tutto da dimostrare. Dalla prima sfida dell’esecutivo, gli sforzi di Merz rischiano di essere risucchiati dalla stagnazione asfittica dell’economia e dalle tensioni sociali ingenerate dalla mancata integrazione dei migranti, accolti sulla scia di un solidarismo oggi quasi del tutto rinnegato. A quasi 70 anni, 2 in meno di Adenauer quando divenne Cancelliere, la parabola di Friedrich Merz che non sarà certo ventennale, rischia di essere persino più caduca di quanto preventivato.