L’esito del conflitto in Ucraina determinerà il peso della Russia rispetto agli attori geopolitici sulla scena internazionale. Kiev è il centro di attrazione di tutte le operazioni russe all’estero. Tale concentrazione di risorse impedisce alla Federazione di garantire il grado di coinvolgimento necessario in altri contesti in cui tradizionalmente operava con disinvoltura. L’Armenia è stata abbandonata e, grazie al non intervento Russo, l’Azerbaijan ha preso il controllo dell’intero Nagorno-Karabakh. Dal punto di vista armeno: un tradimento. Dal punto di vista russo: un compromesso. Opporsi all’avanzata azera avrebbe significato opporsi alle ambizioni regionali della Turchia e la Russia deve selezionare attentamente le proprie battaglie. In una fase della sua storia in cui tutto ruota attorno a Kiev, la scelta tra Ankara e Erevan è stata sostanzialmente obbligata. L’esperienza armena non è un modello sostenibile, è imperativo evitare l’erosione delle posizioni russe nello spazio ex-sovietico.
Schematizzando, la situazione Russa è la seguente: il “conflitto centrale” è loro favorevole, le recenti vittorie a Robotyne e Avdiivka sono significative, ma, ancora più significativa è la nomina di ambasciatore a Londra di Valerj Zalužnyj. In Ucraina c’è il rischio del crollo del fronte interno. Alla consapevolezza che i russi potrebbero avanzare significativamente verso l’interno (tanto da rendere necessario l’avvio della costruzione di una linea di fortificazioni difensive per consolidare il fronte) si aggiunge il fatto che a Kiev è evidentemente in pieno corso la “guerra per il potere”. Il troppo popolare Generale Zalužnyj oggi vincerebbe delle ipotetiche, e molto improbabili, elezioni, al Presidente Zelenski, quindi, non è bastato sollevarlo dall’incarico di Comandante delle forze armate, ha voluto anche allontanarlo il più possibile. Un segnale certo non positivo per gli alleati riguardo alla situazione interna.
Allo stesso tempo però, i vari “conflitti periferici” tendono a sclerotizzarsi a sfavore di Mosca. Oltre al già citato caso dell’Armenia, in Asia centrale la presenza cinese è in forte aumento e minaccia gli interessi economici russi (in Kazakistan in particolare); nel Caucaso settentrionale il terrorismo islamico si diffonde nonostante i numerosi interventi dal governo centrale e in Europa la NATO accoglie nuovi membri e l’Unione Europea sembra intenzionata a fare altrettanto. Buon posizionamento centrale, debole posizionamento periferico.
Sono consapevoli di questa situazione tanto a Mosca quanto a Kiev. Budanov, capo dell’intelligence ucraina, a febbraio era in Darfur. Indiscrezioni lo vogliono impegnato nella guerriglia contro il Generale Hemedti, che la Russia sostiene attraverso le brigate Wagner della Repubblica Centrafricana. L’Ucraina colpisce le periferie dove la Russia è più vulnerabile, la Russia allarga il fronte centrale dove è più forte: in Transnistria.
L’episodio del drone kamikaze ricordato nell’introduzione difficilmente è riconducibile all’Ucraina. È invece fortemente probabile che si sia trattato di un’operazione false flag condotta dalle stesse forze armate russe. È improbabile che le truppe della Federazione di stanza in Transnistria, circa 1500 soldati, vengano impiegate per attaccare Odessa (distante appena 100 km da Tiraspol). Quello moldavo è un fronte “di dissuasione”.
Sono da considerare due fattori: la recente risoluzione del Congresso della Transnistria e il processo di integrazione europea in Moldavia (o, nello specifico, Bessarabia).
I media occidentali hanno parlato molto della risoluzione del Congresso della Transnistria in risposta all’introduzione di nuovi dazi da parte della Moldavia. Tale attenzione derivava dalle dichiarazioni di Gennady Chorba, oppositore transnistriano, secondo cui il Congresso avrebbe chiesto l’annessione alla Federazione Russa. Nei fatti il Congresso si è limitato ad una richiesta di sostegno economico (peraltro indirizzata non solo alla Russia, ma anche ai Paesi occidentali). Ciò nonostante, l’apprensione occidentale non era ingiustificata: non è stata chiesta l’annessione alla Russia, ma era (a prescindere dalle indiscrezioni) un’ipotesi plausibile. Chorba ha ricordato al mondo quanto pericolosa possa diventare la Transnistria.
Le pressioni transnistriane devono essere considerate relativamente alle ambizioni europeistiche della Moldavia. I negoziati di adesione all’Unione Europea sono stati avviati ormai da più di tre mesi, difficile stabilire se sia una risposta meramente propagandistica al conflitto in Ucraina o meno, ma in ogni caso è impensabile per la Russia che la Moldavia entri a tutti gli effetti nel club dei Paesi occidentali. Il fiume Dnestr è percepito dal Cremlino come confine naturale del “Russkij mir” e la presenza di pochi ponti strategici a Ribnita, Dubasari, Gura Bacului e Bender permetterebbe una politica doganale estremamente efficace. Infine non bisogna dimenticare che in Transnistria, a Cobasna, si trova il più grande deposito di munizioni dell’Europa orientale.
In un panorama complesso e in rapida evoluzione il contesto regionale emerge come uno dei nodi cruciali per comprendere il conflitto tra Russia e Ucraina. L’episodio del drone kamikaze evidenzia la delicatezza delle dinamiche in atto e l’interconnessione di interessi strategici e politici. La presenza russa in Transnistria suscita preoccupazioni e tensioni, in particolare considerando il concomitante processo di integrazione europea in Moldavia e le aspirazioni occidentali del Paese. Il futuro della Transnistria diventa cruciale, non solo per la stabilità della regione, ma anche per le dinamiche geopolitiche più ampie che coinvolgono l’intera comunità internazionale.