Con la rielezione di Sergio Mattarella al Quirinale Draghi deve tornare al lavoro, ma il contesto economico e le tensioni nella maggioranza potrebbero non rendergli la vita facile. A questo si aggiunge la possibilità della riforma elettorale e le strategie dei partiti per le elezioni del 2023. Per capire quali scenari ci potrebbe riservare il futuro, abbiamo intervistato il professor D’Alimonte, professore ordinario nella Facoltà di Scienze Politiche della LUISS Guido Carli dove insegna Sistema Politico Italiano.
Mario Draghi a Palazzo Chigi, Sergio Mattarella al Quirinale e Giuliano Amato alla Corte costituzionale. Professore, è tornata la Prima Repubblica?
No, non è tornata la Prima repubblica, siamo ancora dentro la Seconda repubblica con pezzi della Prima.
Secondo Lei Mario Draghi voleva andare al Quirinale per uscire dalla palude dei partiti? E se sì, come si muoverà adesso?
È probabile che Draghi volesse andare al Quirinale per questo, adesso lui continuerà a fare il lavoro che ha svolto negli ultimi dodici mesi ma in condizioni più difficili; non tanto dal punto di vista dei partiti, ma dal punto di vista del contesto economico, nel quale le condizioni sono più difficili a causa dell’inflazione galoppante, i prezzi dell’energia sono fuori controllo e i tassi d’interesse sono in aumento. Quindi il contesto è molto difficile, più difficile di quello degli ultimi dodici mesi; quindi, da un certo punto di vista è una buona cosa che lui sia rimasto lì dov’è. È la persona giusta in un contesto così difficile.
Finito il periodo di emergenza, crede si tornerà al bipolarismo?
A meno che non cambi la legge elettorale si. Il bipolarismo è stato spezzato dal successo del M5S, che ha fatto saltare la dinamica bipolare, ma dato che ora è in crisi e pare abbia fatto una scelta di campo, cioè non più il terzo polo di prima. Ci sono segni evidenti quindi che stiamo tornando verso un formato bipolare, se ovviamente non cambierà la legge elettorale in senso proporzionale.
Secondo lei quante probabilità ci sono di questo ritorno al proporzionale?
Poche, perché Salvini credo sia quello che deve decidere, e ad oggi non mi sembra intenzionato a volere il proporzionale. Gli altri senza di lui è difficile che lo possano fare.
In caso avvenisse chi sarebbe il vincitore di questo ritorno al proporzionale?
Il vincitore sarebbe il M5S, Renzi, Calenda, Toti, LeU, tutti i partiti più piccoli insomma. Anche da una fetta del Pd sarebbe gradito.
Parlando del M5S: tornerà quello delle origini riarruolando Di Battista, o continuerà la strada del dialogo con il Pd per creare una coalizione di centrosinistra?
Il dialogo con il PD se non cambia la legge elettorale mi sembra ineluttabile, quindi Di Battista o no, il M5S cercherà qualche tipo di accordo con il PD.
Lei ha sostenuto in un’intervista che la politica italiana si trova in un momento simile al 1994 e al 2013, per la voglia di novità nell’elettorato. Da qui all’elezioni dobbiamo aspettarci la scesa in campo di un nuovo personaggio, oppure c’è spazio per una terza via centrista o populista?
Io non vedo all’orizzonte personaggi nuovi al momento, anche se non ho la sfera di cristallo. Vedo che c’è un tentativo di creare un terzo polo, una volta era il M5S, quello di adesso come ho detto già in altre interviste più che un centro mi sembra un grande pollaio.
Un’ultima domanda. Professore, che idea si è fatto di questa offensiva trasversale – dopo il caso Palamara – contro la magistratura? Una critica legittima, un riequilibrio dei poteri, oppure c’è qualcos’altro?
La critica è legittima. Perché come si è visto la magistratura ha diversi problemi, che sono legati a mio avviso a diversi fattori, ma il motivo principale è il ruolo che ha assunto la magistratura negli ultimi trent’anni di fronte ad una politica debole. Quindi c’è un problema nei rapporti tra politica e magistratura ed è necessaria una riforma.