OGGETTO: Richard Jewell, una tragedia americana
DATA: 23 Gennaio 2020
Una vicenda surreale, americana, americanissima raccontata come solo Clint Eastwood sa fare.
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Atlanta, Luglio 1996: durante le Olimpiadi, il centralissimo Centennial Park è gremito, migliaia di persone stanno ascoltando Jack Mack and the Heart attack. Qualcuno lascia uno zaino contro una panchina: contiene tre tubi bomba riempiti di chiodi ed esplode poco dopo l’una di notte. Un morto e 111 feriti, ma le vittime sarebbero potute essere decine se una guardia di sicurezza non si fosse accorta dello strano pacco. È un eroe, o forse no. 

Il Centennial Olympic Park di Atlanta a pochi giorni dall’attentato

Quella di Richard Jewell è una storia poco conosciuta in Italia, molto negli Stati Uniti, dove non c’è nessuna suspense negli spettatori che assistono sul grande schermo la vicenda della guardia giurata delle Olimpiadi. Una vicenda surreale, americana, americanissima, che per essere compresa costringe a capire qualcosa sugli USA che non è facile spiegare. Avviciniamoci con cautela, come Richard allo zaino sospetto che trova poggiato a una panchina. Lasciamolo lì, che si chiede cosa ci sia dentro, senza sapere che quel gesto gli costerà settimane di gogna mediatica, gli rovinerà la vita. Rendendolo, suo malgrado, un simbolo – ma di cosa? 

Ecco, per rispondere a questa domanda ci allontaniamo di qualche mese e di molti chilometri dalle Olimpiadi di Atlanta. Andiamo a Los Angeles, a Brentwood. L’orario è quasi lo stesso, è notte, quando vengono trovati morti un uomo e una donna, uccisi a coltellate. È il 12 Giugno del 1994 e la bionda che giace morta è l’ex moglie di Orenthal James Simpson. La vicenda di Richard Jewell ha evidentemente dignità e senso in sé, ma per la sua piena comprensione può essere interessante provare a leggerla controluce rispetto alla vicenda celeberrima di O.J., il cui giudizio – il processo del secolo – finì nel Novembre del 1995, pochi mesi prima dei fatti di Atlanta. 

Quindi iniziamo questo gioco dei contrari. O.J. è della California, della fresca San Francisco, mentre Richard sta ad Atlanta, nella torrida Georgia. O.J. è un eroe nazionale, uno sportivo, un attore; Richard Jewell è per molti un redneck, è white trash, un bifolco. O.J. ha una bella moglie con cui frequenta il jet set, Richard vive con sua madre e va a caccia di cervi. Il primo è un’atleta, il secondo è un panzone al punto che un infarto se lo porterà via appena quarantenne. 

O. J. Simpson

Uno è nero, l’altro è bianco. Conta ancora nei clintoniani anni ’90? Eccome se conta. Al punto che, come sappiamo, gran parte della costruzione mediatica e giudiziaria fatta sul caso O.J. nasce (e finisce) proprio nel dato razziale: malgrado la quantità di prove, malgrado una più che sospetta fuga trasmessa in mondovisione, malgrado l’essere stato condannato in sede civile per l’omicidio, O.J. si salva dalla condanna in sede penale. Come ha fatto?

Il dream team legale di OJ è un’alleanza di minorities composta (tra gli altri) da un ebreo, un afroamericano e un armeno che urlano assieme una scomoda ovvietà: l’America è razzista, la polizia di Los Angeles è razzista. Non sopportano un nero di successo. Sono gli anni incandescenti degli LA riots, delle brutalità e degli omicidi attribuiti alla LAPD. Il dream team convince il pubblico: forse non tanto che O.J. sia innocente, ma che la polizia di Los Angeles sia colpevole. Catarticamente, certa America arriva a godersi questa vendetta quasi tribale. Sulla carne delle vittime.

Nella primavera del 1992 una rivolta che causò 54 vittime e più di 2000 feriti devastò Los Angeles fu originata dall’assoluzione dei poliziotti della LAPD accusati dell’omicidio Rodney King

Ecco, Jewell potrebbe benissimo essere uno dei poliziotti che hanno incastrato O.J. Un po’ ce lo fa capire addirittura Clint che siamo davanti ad un apprendista caporale, nell’accezione di Totò. Un mitomane sfigato. Se O.J. è un personaggio famoso accusato di aver commesso omicidio, Richard è accusato di aver commesso omicidio per diventare famoso. Il dato della vicenda di Atlanta più facile cogliere è quello comune con il processo del secolo a Los Angeles: la spettacolarizzazione. Solo che non c’è dibattito, quella nei confronti della guardia giurata è un’aggressione mediatica, incarnata dalla reporter d’assalto Olivia Wilde, incapace a scrivere e brava a fare tutto il resto, la quale, disposta a vendersi l’anima per uno scoop decide di beh, vendersi l’anima per uno scoop. Salvo poi pentirsene.

Giunti a questo punto, distanti come siamo nel tempo e nello spazio da Atlanta ’96, potremmo allora credere che il senso del film sia questo: l’accusa infamante verso Richard è un’accusa rivolta dall’America di oggi. Cosa siamo disposti a fare per diventare famosi? Se siamo disposti a credere che un uomo possa compiere una strage solo per sventarla e diventare famoso, significa che abbiamo ormai standard davvero bassi. Ed è d’altronde effettivamente così, in un’epoca in cui la gente fa a gara di cretineria e si umilia in diretta nazionale per avere quindici secondi di discutibile fama. 

Uno dei reality show più famosi, “Al passo coi Kardashian”, vede protagonista la famiglia di Robert Kardashian, uno degli avvocati difensori di O.J. Simpson

Sì, potrebbe essere questo il punto, se il regista fosse altro da Clint. Invece, alla guida c’è proprio lui. Sappiamo che ha due espressioni, quella con cappello e quella senza cappello, ma in entrambe le pose se ne sbatte le palle dei reality. Forse non sa cosa siano, vorrebbe certamente non saperlo. No, a parlarci per immagini è un uomo dell’America profonda, quasi affogata, che raramente affiora fino agli occhi di noi oltre-oceanici. Ne vediamo qualche brandello attraverso gli squarci della macchina culturale a stelle e strisce, ma raramente ci è davvero conoscibile.

E non possiamo forse nemmeno pensarla, ma dobbiamo limitarci a provare a sentirla. Piantiamoci nel mezzo di un campo di grano del Kansas. Scivoliamo per le montagne aspre del West Virginia. Corriamo nei boschi di contrabbandieri del Kentucky. Rammolliamoci nelle paludi della Florida. Perdiamoci nel mezzo del deserto texano. L’America è spazio vuoto quasi in ogni direzione, quasi ovunque. Poi arriva qualcuno a romperti i coglioni: quello è il nemico. Viene a dirti cosa devi fare, parla una lingua strana, ha tutta una serie di regole di cui non sai che farti. Ti vuole togliere la libertà, e i soldi, sicuro, e magari anche il lavoro per darlo a qualche forestiero, su ordine di qualche papavero della costa. Non è il tuo sceriffo, nemmeno il giudice della contea che hai eletto, lo conosci bene quello, è il figlio del vecchio Sam. No, quel nemico infido è lo Stato federale. E tu hai pochi alleati: la tua famiglia, qualche vicino magari. E il tuo fucile. O i tuoi molti fucili.

Il secondo emendamento della Costituzione degli Stati Uniti d’America garantisce il diritto di possedere armi, anche in numero talvolta impressionante

Hai anche un altro alleato, a dire il vero: la Costituzione. Sacra, come la bandiera a stelle e strisce che sventola sul fienile, sulla cisterna, su ogni casa. Occorre un grande sforzo di immaginazione, a noi del vecchio continente, per comprendere il significato intimo di una confederazione nella quale la massima fonte della legge serve contro il potere politico. Il governo europeo, nasce dalle costituzioni, da astrazioni; quello statunitense nasce dalla forza, viene (af)fermato dalla Costituzione e, se serve, per qualcuno anche da un colpo di carabina, da una milizia, da un attentato, come ce ne furono in quella america con la a minuscola per qualcuno che con la fine del comunismo e della guerra fredda non sapeva più da che parte del mondo abitavano i nemici; quella white America che non è solo white, e che della globalizzazione vedeva solo i meno posti di lavoro e le facce nuove in città.

Ecco, quello che il caso O.J. e il caso Jewell hanno davvero in comune è la sostanziale e generalizzata sfiducia dell’Americano medio nei confronti di chi lo governa, specie a livello federale: lontano, lontanissimo, da certe aree degli sconfinati USA. Clint ci descrive un uomo banale, mediocre, un po’ meno reazionario di lui, forse neanche un brav’uomo dopo tutto: uno scemo, sotto molti punti di vista. Che vive la sua vita banale da scemo. Poi arriva qualcuno, qualcuno più scemo di lui, che prova a incastrarlo ma non ci riesce: l’FBI.

Uno dei molti confronti tra Jewell e gli agenti federali nel film di Clint Eastwood

E a giudicare anche da come Clint ha trattato il fondatore della polizia federale, Hoover, nel suo biopic con Di Caprio, il Bureau qualcosa a Eastwood deve aver fatto. I federali infatti passano tutto il film a cercare di incastrare il povero Richard con mezzucci talmente ridicoli che persino un cretino se ne renderebbe conto. E infatti Richard, seppur con calma, se ne rende conto.

Trucchi che smaschera invece subito l’eccezionale Sam Rockwell, avvocato di Jewell, che ha lasciato la grossa compagnia per cui lavorava (una di quelle che globalizzano e delocalizzano) perché non voleva farsi dire da qualcuno cosa fare, e che nel suo ufficio di periferia dietro la scrivania ha un adesivo con l’eloquente scritta 

“Ho paura del governo più che dei terroristi”

Affermazione pesantissima se consideriamo che Atlanta e il 1996 sono vicini ad Oklahoma City, dove il 19 Aprile 1995 un attentato di terroristi antigovernativi uccise 168 persone e ne ferì più di 600. Eppure anche la segretaria – poi moglie – dell’avvocato, quando si tratta di dare credito all’improbabile cliente sentenzia: “Dalle mie parti, se il governo dice che uno è colpevole, vuol dire che è innocente”

Gli americani sono più spaventati dalla corruzione governativa (74%) che dalla morte di un caro (56%)

Ecco allora che Richard Jewell è il controcanto al caso O.J., nel dirci che non c’è solo la persecuzione verso gli afroamericani, perché non c’è disagio solo nella black america. Anche certi bianchi sono minoranza, scambiati per delinquenti solo perché assomigliano troppo a quei miliziani che infestano le praterie. C’è anche una parte dello Stato che se la prende con la white america, debole, ignorante, reazionaria in senso ultralibertario. Quella di cui parla Clint. C’è differenza? Eccome se c’è.

Clint tira fuori una questione scomoda sempre, oggi il doppio, nella quale non c’entra niente il razzismo, ma il disinteresse e l’incapacità dell’apparato federale. La sua e la loro difesa è la Costituzione, quella che continuamente l’avvocato invoca per proteggere Jewell, quella che ti difende contro il Governo, quella che permette di avere in casa un arsenale per andare a caccia di cervi e una bomba a mano come fermacarte. Clint sta dalla loro scomoda parte e ci descrive la parabola di un uomo forse stupido, che si fidava dello stato e che ora non si fida più: il problema degli americani è l’America.

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