Imperdibili polemiche che segnano il destino dell’umanità ci costringono a compulsare i social network. Che succede mai? Succede che Massimiliano Parente (scrittore da novanta, mica uno de passaggio, per citare Mario Brega) scrive sul Giornale un articolo del tutto parentiano, cioè da polemista culturale senza peli sulla lingua, che se può punzecchiare punzecchia con piacere e se può prendere in giro lo fa con la libidine di un opossum sul nettare. Stavolta Parente ha sbeffeggiato le book influencer (queste sì “due de passaggio”), cioè fotografe di copertine di libri che ne ricavano post smielati e tardo-romantici, nonché un tantino onanistici, da piazzare su Instagram. Il risultato è stato il massacro di Parente, condito di insulti perfino ad amici e parenti, perpetrato dalle book influencer, da siti di autoproclamata informazione e perfino intellettualoidi con disfunzioni alle ghiandole lacrimali, fino a farlo espellere da Instagram.
Applichiamo un po’ di meritocrazia, una buona volta. Il merito di Parente è di aver ”sbertucciato” un sistema pop-mediatico che consente la proliferazione di persone senza arte né parte, che trattano i libri come gattini o pezzi di design instagrammabili, e che sembra li leggano solo per estrapolarne frasi da copiare nei post. Dovrebbe ricevere applausi. D’altro canto il merito delle book influencer è quello di avere del buongusto nella composizione domestica – tipo le foto di quelle perfette librerie tirate a lucido, con i peluche e i fiori a sorvegliare libri disposti secondo editore, collana, autore e colore; o le foto dei volumi tascabili Adelphi (non la Biblioteca, quella si presta meno) disposti a ventaglio secondo una tenue scala cromatica. Povera Adelphi, è passata dall’essere l’editore di riferimento dei designer di interni, che ne compravano i volumi a metri per dare tono alle case medio borghesi, all’essere il must delle book influencer. Saranno le tonalità pastello, saranno i quadri in copertina: chissà.
Non è questo, ad ogni modo, il discorso. Il nocciolo della questione lo evidenzia Parente: le book influencer trasformano i libri, che possono essere maestri, compagni di viaggio o anche oggetti contundenti, in gattini domestici da fotografare e accarezzare mentre si pronuncia il sempiterno “vieni qui, pucci pucci!” in rigoroso falsetto. Se questo non è un danno alla letteratura, qualcuno ci dica cos’è. Nessuno vuole essere così crudele da depauperare le book influencer del loro quarto d’ora di celebrità ma, ad essere in disaccordo con Parente, bisogna essere o in malafede, o sprovvisti di consapevolezza sul potere pervasivo dei social network e della psicologia sottesa all’uso delle immagini.
Nel bel mondo dell’intellighenzia nostrana però nulla di ciò conta. Il problema è un altro. Parente è un uomo che scrive su un giornale di destra, mentre le book influencer sono tutte donne che immaginiamo, fantozzianamente, medio-progressiste. Potevamo risparmiarci il fuoco di fila dell’esercito moralista, e invece no: anche stavolta accuse di sessismo e misoginia a non finire, su Instagram, su Twitter, perfino su Wired (non è uno scherzo). Gli intellettuali hanno dovuto subire secoli di vessazioni per stabilire il principio che un intellettuale dice quel che vuole e nessuno lo censura, mentre ora questo principio è rovesciato dalla comunità eterea di questorini perbenisti, che si auto assolve di ogni peccato e si attribuisce poteri inquisitori mai visti prima. Capintesta è la madre badessa dei moralisti, la Michela Murgia che, ovunque c’è da evangelizzare il volgo fustigando gli eretici, appare col frustino in mano per dispensare giustizia e verità (anzi Giustizia e Verità), deliziandoci con un tweet in cui, prematurata la supercazzola misogina, dall’alto della sua montagna di libri venduti, sentenzia: “in un mondo culturale normale di quello che pensa Parente nemmeno ci si accorgerebbe”. A tale finezza di giudizio si risponde che, in un mondo culturale normale, la Murgia sarebbe rimasta blogger, altro che contratti Rai ed Einuadi.
La miracolata che sconsacra i miracoli altrui non si può vedere. Visto cha la Murgia ha pubblicato un libro sulla cui copertina campeggia una vignetta di Mauro Biani che proclama che “fascista è chi il fascista fa”, per deduzione L’Intellettuale Dissidente è oggi in grado di regalare ai suoi lettori uno scoop: la Murgia è fascista! Il perché lo si capisce leggendo Simonetta Sciandivasci che, sul Foglio, in un articolo che sprizza intelligenza da ogni carattere, mette la Murgia sullo stesso piano di Salvini, il pericolo fascista pour excellence, notando come
gli ingredienti cari alla Bestia ci sono tutti: la mostrificazione di quello che non la pensa come te, lo svilimento del suo pensiero, l’accusa di opposizione per invidia, la sottolineatura dell’irrilevanza numerica (noi siamo quelli che vendono e vincono premi, Parente no; uguale a Salvini che ritiene che essere in testa ai sondaggi dia il diritto a disporre di pieni poteri).
Com’è bella la vita di chi misura il mondo col “sessistometro” e il “fascistometro”: i problemi sono definiti in partenza, le analisi già apprestate, si vive nella convinzione di avere ragione, si evita di mettersi in discussione e si guadagna di più a fine mese. Che pacchia! Ma stavolta la Murgia è scivolata sulla buccia di una delle banane che lei stessa va gettando qua e là giacché, come l’abisso per il filosofo, se guardi troppo a lungo dentro il fascismo, il fascismo guarderà dentro di te. E la Murgia deve averci perso più di una diottria.
Alla fine, la chiosa migliore ce l’ha regalata il fumettista Gipi, amico di Parente, e per questo insultato ed esortato a ripulirsi la coscienza abbandonando l’ignobile odiatore di donne:
Preferirò sempre le più storte, le più ignobili, irresponsabili, maldestre, infelici creature di questo mondo a questa generazione di preti che mi ritrovo intorno e alla quale fate a gara per appartenere.
Per fortuna c’è ancora chi non si stancherà mai di denunciare l’inquisizione moralista dei tutori dell’igiene concettuale – chiamatela, se volete, polizia del pensiero – che in nome della correttezza pretende di estirpare tutto ciò che sfugge ai suoi canoni. Gente che non ha nemmeno letto Il Maestro e Margherita, altrimenti ricorderebbe di quando Woland diede dello stupido a Levi Matteo, che lo disprezzava in quanto tenebra e agognava un mondo di sola luce, e gli rammentò che sono gli alberi, gli uomini e tutto ciò che è vivo a proiettare ombra. Per stemperare una classe culturale di soli Levi Matteo, vivano i Woland! Giacché un mondo di sola luce è un mondo morto.