“In un tempo squallido è possibile diventare grandi solamente facendo cose meschine”. Nella sua riflessione finale, lo scrittore fallito, protagonista di Instadrama, mostra tutto l’orgoglio misto a pessimismo che per le 186 pagine del romanzo guida le sue azioni. Un fallito, “vittima di un sistema” che non premia lo studio, la cultura, ma solo l’apparenza, le scemenze da social, e il vivere superficiale. Un fallito vero e proprio, che passa gli anni migliori della sua vita a scrivere libri che nessuno ha mai letto, per poi risvegliarsi a trent’anni senza aver conquistato nulla. Né una donna, né una propria indipendenza (vive a casa dei genitori, colpevoli di non averlo cresciuto con abbastanza rigore), né un briciolo di riconoscimento sociale, ciò che brama più di tutto il resto.
Così, in un’improvvisa fiammata di vita, decide di rapire il figlio della coppia social più famosa d’Italia, che vive a Milano, fra le torri di City Life. Quel bambino è la personificazione delle dinamiche che opprimono la sua creatività, che premono la sua testa al suolo, come si fa con i cani quando c’è da insegnar loro a non pisciare in casa. È nato con tutto ciò che sia desiderabile ottenere nella vita. Ricchezza e popolarità gli sono arrivate come fossero diritti naturali; mentre lo scrittore, che potrebbe surclassare non solo lui ma tutto il suo nucleo familiare in una discussione su qualsiasi tema, si ritrova le tasche bucate, e un’invidia da ulcera.
Tutto si traduce in uno sfogo creativo che idealmente dovrebbe essere quello del poeta, finalmente capace di rendere le proprie azioni all’altezza delle pagine dei romanzi che vorrebbe celebri. Il protagonista, occorre sottolineare, è ossessionato dalla fama, e probabilmente molto più dipendente dalla dopamina di quanto non voglia ammettere. L’influenza che le tette e gli impulsi erotici feticisti da Instagram esercitano su di lui, rappresentano un’anomalia nel suo mondo idealizzato otto-novecentesco, dove regna la meritocrazia e dove senza dubbio uno col suo talento sarebbe già stato pubblicato da anni, o quantomeno letto da qualcuno fuori dalla sua cerchia di conoscenze. Gli influencer, e tutto il carrozzone di belli, ricchi e senza talento che attorno a loro gravita, sono parassiti: colpevoli di catalizzare l’attenzione e rincoglionire le menti, rendendo chi li segue, direttamente o indirettamente, incapaci di arrivare alla fine di un libro senza abbandonarlo sul comodino per settimane, accanto all’abat-jour e a un pacchetto di fazzoletti. Arrivano addirittura a influenzare la sua mente, e questo è troppo davvero.
In uno dei passaggi finali del romanzo, il protagonista rimane incollato allo schermo del suo computer, con ancora pochi secondi a disposizione prima che il suo sogno di diventare l’influencer italiano con più follower svanisca. Khaby Lame è a un passo, e superarlo vorrebbe dire diventare il numero uno in qualcosa, finalmente. Alla fine la motivazione del protagonista sta tutta qua: primeggiare. Non c’è volontà alcuna di ristabilire gli equilibri di un mondo preda dell’immagine, nemmeno la lotta di classe vaporosa del terzo millennio lo interessa. “Possedere” è l’unica cosa che conta. Difatti è certo che se il giorno prima del rapimento una qualsiasi casa editrice avesse mostrato interesse per i suoi lavori, offrendogli magari un misero stipendio, allora addio rivoluzione e benvenuta nuova vita. Con magari annesso periodico “mi piace” ai post di chi un tempo odiava. Lo scrittore fallito finisce per essere rivoluzionario solamente per via delle contingenze, come spesso accade. Ma nei suoi sproloqui (il romanzo è scritto sotto forma di diario personale) non si fa fatica a notare come la conoscenza sia per lui un’arma da usare per imporsi, non una medicina per guarire i mali del mondo. La sua sarà dunque una rivoluzione che solamente altri falliti frustrati come lui seguiranno. E a nulla porterà se non a un peggioramento delle condizioni di partenza.
Instadrama fa ridere. A partire dai Doc (Marco Travaglio/Trav/Trans/Luxuria/Vladimir Putin), la tourette tutta interiore del protagonista che lo porta a collegamenti mentali assurdi, ma anche a pensieri orribili su cui è bene non soffermarsi. Fa ridere nelle situazioni assurde che propone: piccolo bambino obbligato alla noia, privato della sua vita iper-stimolata, forzato alla lettura dei classici della letteratura (“ti fa male la testa perché stai pensando per la prima volta”). Ma specialmente nelle pagine finali, quando lo sfogo del protagonista prende finalmente forma. Uno sfogo che rappresenta ciò che chiunque, almeno una volta nella vita, ha desiderato avere. Sedersi a un tavolo (anche virtuale) con uno qualsiasi dei finti personaggi acchiappalike e chieder loro: “ma tu sei felice?”. Lo scrittore fallito si è guadagnato la possibilità di farlo, è riuscito a buttare fuori la sua frustrazione conquistandosi un posto in paradiso: finalmente è famoso, e grazie alla popolarità si ritrova a guadagnare un po’ di soldi per i diritti dei suoi lavori, esattamente come i genitori degli influencer, che pubblicano grazie alla popolarità dei figli. Nel finale la trasformazione è completa: anche lui inglobato nel sistema e salito sul carrozzone degli accoliti. Non si fa troppa fatica a immaginare il nostro protagonista, anni dopo gli eventi del romanzo, ospite di qualche trasmissione, poi infine normalizzato al punto tale da vederlo in una intervista delle Iene rispondere alla domanda: “sopra o sotto?” (sottosopra/Stranger Things/Twin Peaks).
Un esordio dunque promettente per lo sconosciuto C.Palis, autore del manoscritto pervenuto in forma anonima alla casa editrice (Gog Edizioni), che ha poi deciso di pubblicarlo. Instadrama è un romanzo che non dubitiamo possa dividere, tanto quanto unire. Così come uniti e divisi sono i follower della fiammata di vita del nostro scrittore frustrato, che nel loro piccolo danno sfogo ai loro pensieri con un commento su Instagram. Uno dei tanti.