Epiteto che Bernard Henry Lévy non gradisce molto, ma che risulta, di fatto, essere vero, come ha scritto egli stesso nel diario-memoriale intitolato Le bys et la cendre, in cui si prese il merito di essere stato l’artefice di diversi incontri tra i vari inquilini dell’Eliseo e rappresentanti di Stati e istituzioni governative: dall’incontro all’Eliseo tra il presidente bosniaco Alija Izetbegovic e Francois Mitterrand, durante la Guerra civile jugoslava; oppure di avere accompagnato otto ufficiali peshmerga curdi per negoziare con Hollande i finanziamenti per combattere lo Stato Islamico. Ma il servizio di Bernard Henry Lévy per monsieur le Président non si è concluso solamente in quei due episodi. L’ultima occasione è stata quando ha rappresentato la Francia, insieme ai presidenti di Polonia, Ucraina e Germania, per la commemorazione del massacro di Babij Jar, quando nel 1941 vennero ammassati in un burrone più di trentamila cadaveri di ebrei da parte della Wehrmacht.
Ma chi è Bernard Henry Lévy? Esponente e fondatore della cosiddetta Nouvelle philosophie insieme ad André Glucksmann, Bernard Henry Lévy può essere considerato l’emblema dell’intellettuale da salotto francese che, tra un evento mondano e l’altro, a volte si ricorda di essere stato allievo di Derrida e Foucault all’Ecole Normale (e non perde occasione di gridarlo ai quattro venti). Nel 1971 l’audace e ambizioso Lévy, appena terminati gli studi universitari, conobbe André Malraux, che lo convinse a partecipare alla costituzione di una brigata militare internazionale per la liberazione del neonato stato del Bangladesh. Come scrisse nel suo successo editoriale Les Aventures de la liberté, che lo rese famoso al grande pubblico francese:
“Ma ciò che in fondo più mi fa sognare, in questo susseguirsi di Brigate, forse è la parola ” internazionale” se vi sono così tanto affezionato, se nessuna critica è riuscita a intaccare il rispetto che mi ispira, è perchè da nessun’altra parte vedo una tale coesione di persone di ogni specie e provenienza, oltre alla capacità che hanno certe nazioni , e il particolare la mia, di uscire dai propri confini e rivolgersi al mondo”.
Bernard Henry Lévy, Les Aventures de la liberté
La molla decisiva che gli fece prendere un aereo per il Bangladesh fu l’incontro con Charles Bettelheim, economista marxista eterodosso e amico di Malraux che, sulla soglia del suo studio, in preda ad una crisi maniaco depressiva, proferì le seguenti esclamazioni:
“Gli uomini! gli uomini reali! Mi raccomando , non dimenticare di parlare degli uomini reali! Il nostro nemico è l’oblio!”
Per parlare e conoscere gli uomini bisognava fare “un’analisi sul campo”. C’era bisogno di fare un’indagine di stampo positivista per vedere gli effetti e, da lì, studiare le cause in modo da partorire il logos in uno spazio aperto e puro. Lo stesso termine “cosmopolitismo” per Bernard Henry Lévy aveva un significato vuoto, che ha avuto la sua genesi fallace nell’ideologia della Grecia antica, quando la polis era composta da una struttura sociale classista uguale al sistema delle caste indiano. Lo straniero, colui che veniva da un’altra polis, era un altro soggetto politico, non un “hospes” ma un “hostis”, ovvero il barbaro nemico, colui che era ai margini:
“Gli stranieri , i reietti, gli invisibili, i paria, coloro che stanno al di fuori del sacro cerchio della città , nazione o stato che sia”.
Sentendosi un novello Platone, che cercava di riscrivere il lessico della polis, BHL accusava anche il cristianesimo delle origini di aver fallito, reo di aver diviso i cristiani dai giudei rendendoli nemici. Stessa colpa, seppur in maniera diversa, era imputata anche alla filosofia illuminista tedesca e francese che, con il concetto di diritto universale standardizzato a tutti i paesi e in tutti i tempi, non ha fatto altro che creare altre disuguaglianze di tipo intellettuale.
La sortita in Bangladesh fu, quindi, un viaggio iniziatico per il neo laureato-normalista. Portò con sé, a mo di breviario, il saggio di Roger Stéphane Ritratto di un avventuriero, con una prefazione di Sartre, in cui venivano rappresentate le biografie del suo “maestro” Malraux, Lawrence d’Arabia, Ernst von Salomon e di Louis Russel, capo militare della Comune di Parigi. Questi scrittori venivano presentati sotto la veste di avventurieri, non tanto per le loro peculiarità letterarie ma come uomini d’azioni, di prassi: Malraux, durante la partecipazione nella guerra civile spagnola, era convinto che la causa più importante nella sua vita fosse quella di aver combattuto in Spagna rispetto allo scrivere romanzi; oppure Lawrence, convinto che promuovere una rivolta araba e sconfiggere un battaglione di ottomani era l’unica cosa degna della sua esistenza.
Nel 1971, a guerra appena conclusa, la capitale del Bangladesh Dacca era completamente da costruire, e BHL si occupò di pianificare dei progetti per la costruzione dei pozzi per l’acqua potabile, stilare dei piani per eliminare il denutrimento dei minori, ed allo stesso tempo diventò un consigliere del neo primo ministro Mujibur Rahman. Sentendosi un po’ come Platone, quello della VII lettera, che propose i suoi servigi al tiranno di Siracusa, oppure come Leibniz, il pensatore e allo stesso tempo il diplomatico al servizio dei principi prussiani.
BHL. l’uomo del mezzo, che per metà si siede insieme agli ultimi, degli sconosciuti, degli uomini che subiscono la storia, ma allo stesso tempo si siede anche al tavolo dei Dionisio di turno, per l’appunto l’uomo che sussurra ai presidenti. BHL giustifica tutto questo con una proposizione semplice, forse anche banale: ” cerco di influenzare il futuro“, facendosi portatore di ciò che per lui è moralmente ed eticamente giusto, inserendosi dove la storia è in atto.
Passione per “influenzare il futuro”, che lo ha portato nel 2020, in piena pandemia, a compiere una serie di viaggi che poi sono diventati dei reportage pubblicati periodicamente su varie riviste e quotidiani, raccolti in un volume edito in Italia per La Nave di Teseo dal titolo, Sulla strada degli uomini senza nome. Viaggio nei luoghi dell’anuns mundi, come li ha definito BHL, che lo hanno riportato in Bangladesh, quasi cinquant’anni dopo il suo primo viaggio, e la sua visita non poteva che essere a quella alla premier Sheik Hasina, in cui gli consegna una missiva da parte di Macron, dove però non menziona il contenuto; oppure la sortita in Ucraina, dove prima visita un’ ospedale da campo nel Donbass e poi va a Kiev ad incontrare il presidente Zelenskij. Dopo l’Ucraina tocca all’Afghanistan, dove va a trovare il figlio di Massoud nella remota valle del Panshir:
“… Il nuovo Massud sarebbe dunque un nuovo cavaliere deciso a dare scacco ai signori della guerra che ormai , di fronte al pericolotalebano, sono solo le ombre di quel che erano? È possibile che in quest’ultimo scontro in cui si gioca il nostro destino, ci sia almeno un protagonista che dica no all’oscurantismo”.
Il viaggio prosegue nel Kurdistan siriano, nel carcere di Deik, a sud di Qamishli, riservato ai militanti dell’Isis, dove incontra il generale Abdi, il comandante in capo dell’esercito curdo. Dopo la toccata e fuga in Kurdistan è la volta della Somalia. A Mogadiscio, dove regna un clima surreale in cui la è città completamente circondata dai miliziani di Al-Shabaab. BHL va a rapporto da Richard Rouget, l’uomo forte della Nato in Somalia. Tramite le sue milizie mercenarie della Bancroft, alter ego della Wagner, sponsorizzate a suon di dollari dalle potenze occidentali, è l’ultimo baluardo contro le milizie terroristiche islamiche a Mogadiscio:
“È pazzesco, ma è così, questa città Mad Max e senza legge , dove l’esercito spaccato in fazioni tribali, dove i contingenti fratelli dell’Amisom pensano solo a rientrare in patria e dove i servizi segreti sono infiltrati del Qatar e dallo stesso Al-Shabaab, ha messo il suo destino, mi viene da pensare nelle mani di un centinaio di mercenari usciti da un romanzo di Conrad…”
Il suo viaggio non finisce in Somalia, infatti, fa anche tappa in Nigeria. Ma nel paese africano non ha modo di incontrare nessun esponente governativo o dell’esercito, ma vede con i propri occhi una guerra di sterminio contro la comunità cristiana locale, da parte di milizie islamiche affiliate a Boko Haram. BHL racconta che nella parte centrale della Nigeria, si sta diffondendo un nuovo archetipo di terrorista islamista per mezzo di una tribù di pastori Peul, i “fulani”, una tribù elitaria nell’alto Sahel, che scesi verso sud per trovare sempre nuovi pascoli per le loro greggi, si sono convertiti all’Islam sempre più radicale. Durante la notte, i fulani assaltano i villaggi abitati da cristiani al grido di “Allah Akbar“, sgozzando etagliando teste a vecchi e donne, colpevoli di essere cristiani.
Dopo essere stato testimone di una guerra che l’Occidente non vuol vedere e sentire, anche Bernard Henry Lévy si concede una gita a Lesbo, altro luogo d’eccellenza dell’ anus mundi. Nel campo profughi più grande d’Europa, dove ventimila disperati vivono come dei derelitti, dove avere dell’acqua potabile è un privilegio per pochi e i bambini sono costretti a giocare insieme ai ratti. Ma il problema a Lesbo, oltre all’igiene, è il continuo aumento dei suicidi tra i bambini e gli adolescenti. Il soggiorno a Lesbo del filosofo francese che vuole cambiare il mondo finisce con l’incontrare i notabili dell’Isola, dei piccoli ras locali che sono: il governatore, una sorta di sindaco, e diversi residenti che compongono il consiglio dell’Isola, che accusano i migranti di essere militanti infiltrati dell’Isis che vanno in giro per l’Isola a violentare le donne locali.
Ma è in Libia, l’ultima tappa del suo viaggio, che BHL dà il meglio di sé, nel tentativo di inserirsi nella lotta per il potere all’interno del vecchio governo di Tripoli, tra il ministro degli esteri Fathi Bashagha, pensando erroneamente che BHL fosse l’uomo della provvidenza che avrebbe potuto essere l’interlocutore tra lui e Macron, in modo da far schierare apertamente la Francia con il governo di Tripoli, così da togliere l’appoggio ad Haftar bilanciando l’influenza esterna di Mosca e Ankara. Ma il livello del gioco era troppo grande per il filosofo. A detta di BHL, la sua missione in Libia si è conclusa con un flop clamoroso a causa del premier, all’epoca in carica, Al Serraj, competitor diretto per il potere di Bashagha, che quando è venuto a conoscenza dell’arrivo di Levì, gli ha organizzato un comitato di accoglienza con i botti: dapprima facendo fabbricare una campagna mediatica denigratoria sui quotidiani nazionali e in quelli della vicina Algeria, apostrofandolo come una spia di Haftar, poi su Facebook tramite una campagna denigratoria con l’utilizzo di troll, fornendo informazioni dettagliate sul suo viaggio. Il risultato finale è stato che un commando libico formato da giovanotti in divisa di qualche sconosciuta milizia, forse al soldo di Al-Serraj, ha crivellato, a colpi di Kalashnikov, il suo pick up dove viaggiava in direzione di in un villaggio chiamato Tamboura, tra Misurata e Tripoli, dove pochi giorni prima era stata scoperta una fossa comune contenente i resti di 47 cadaveri. Il risultato è stato uno mesto ritorno in Francia del nostro filosofo.
Forse l’epiteto affibbiato a Bernard Henry Lévy dell’uomo che sussurra ai presidenti è quello giusto. Alla chiusa del suo libro, lo dice lui stesso: il suo obiettivo di influenzare i potenti di turno serve solo per cercare di interferire in coloro che hanno l’autorità politica per prendere decisioni secondo il suo paradigma del tutto personale. Allora, possiamo dire che Lévy, più che ambire a diventare un Platone redivivo, può aspirare ad essere un nuovo sofista.