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Da Parigi a Vladivostok

Il presidente francese sta guidando il fronte filorusso d'Europa dopo anni di stallo e gelo, nonostante l'opposizione di altri paesi e la guerra sotterranea con gli Stati Uniti.
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Le incessanti proteste popolari ed il crollo del consenso domestico non stanno impedendo a Emmanuel Macron, il fu alfiere del liberalismo europeista riciclatosi pragmatico erede di Charles de Gaulle, di portare avanti la propria agenda estera per la Russia. Il presidente francese non ha mai nascosto qual è la propria opinione (negativa) sul Cremlino e l’ha recentemente ribadita in un’intervista che ha fatto molto discutere per il “The Economist”: il suo destino è o l’implosione o l’inglobamento nell’orbita cinese, perciò l’unica alternativa reale e valida che ha è la collaborazione con l’Unione Europea.

Nonostante questa ferrea convinzione sembri pregiudicare ogni sorta di riavvicinamento e il fallimento dei precedenti tentativi di intermediazione fra Ucraina e Russia, Macron ci ha riprovato, invitando a Parigi il neopresidente ucraino Volodymyr Zelensky e Vladimir Putin. Si tratta dell’ultimo di tanti eventi e messaggi lanciati dall’Eliseo in direzione del Cremlino, come ad esempio lo stop temporaneo alla procedura d’adesione all’Ue di Macedonia del Nord ed Albania, le dichiarazioni sulla necessità di ripensare gli obiettivi e la natura della Nato perché Russia e Cina non sono i nemici dell’Occidente, le prime mosse verso l’eliminazione del regime sanzionatorio, l’annuncio recente di collaborazione bilaterale sull’Artico, i sempre più frequenti riferimenti alla massima gollista dell’Europa “da Lisbona a Vladivostok”.

Il vertice di Parigi ha prodotto dei risultati e rappresenta senza dubbio un buon punto di partenza verso la fine della crisi ucraina. Le parti hanno raggiunto un accordo che prevede prolungamento e piena attuazione del cessate il fuoco, ulteriori scambi di prigionieri, de-militarizzazione delle aree di guerra, un nuovo incontro fra quattro mesi per valutare gli sviluppi del disgelo, e maggiore collaborazione per quanto riguarda lo statuto politico del Donbass – da cui dipende il successo o il fallimento di ogni dialogo. La Russia, infatti, vorrebbe una revisione costituzionale assicurante un regime speciale per le repubbliche separatiste, l’Ucraina non vuole fare alcuna concessione territoriale – e ritiene ogni concessione autonomista una sconfitta in tal senso.

Mentre Putin e Zelensky hanno lasciato intendere che, nonostante la storicità dell’evento non è tempo per eccessivi e dannosi entusiasmi, Macron è stato di tutt’altro parere ed, è infatti, lui, l’unico e vero vincitore del vertice. A Macron non interessa il consenso interno, sebbene sembra voglia puntare ad una rielezione, ma il futuro della Francia in quanto prima potenza del Vecchio Continente e il suo cambio di rotta in chiave filorussa si inquadra in questo contesto di ricerca di grandezza e prestigio.

È emblematico che la vigilia del vertice sia stata macchiata dall’annuncio dell’Agenzia Antidoping Mondiale dell’esclusione della Russia da future competizioni sportive di rilievo planetario per i prossimi quattro anni, incluse Olimpiadi e Mondiali di Calcio. Emblematico, ma non casuale: era un monito da parte di Washington a Parigi. Il semaforo verde alla ripresa delle relazioni con il Cremlino, infatti, avrebbe dovuto provenire dalla Casa Bianca, essendo l’Unione Europea un suo satellite senza diritto di autonomia alcuna in campo internazionale. Quella luce non è mai stata accesa, l’amministrazione Trump si è anzi rivelata più bellicosa della precedente nonostante i proclami aperturisti, e Macron ha quindi deciso di andare avanti da sé.

La Germania, che ha accettato a malincuore l’implementazione del regime sanzionatorio per via degli interessi strategici che la legano alla Russia, soprattutto di natura energetica, si sta lasciando trascinare dalla Francia e sta facendo intenso lobbismo affinché il gasdotto Nord Stream 2 venga realizzato. Anche per quanto riguarda Berlino, un monito molto forte è stato lanciato: il nuovo governo boliviano ha annullato degli accordi presi da Evo Morales con la compagnia tedesca ACI Systems per lo sfruttamento dei giacimenti di litio del paese, litio che sarebbe servito a rifornire l’industria automobilistica tedesca per i prossimi decenni, dando un incredibile impulso allo sviluppo delle vetture ad elettricità.

La partita che Macron ha scelto di giocare è molto pericolosa e potrebbe costare caro alla Francia, fra operazioni ibride e guerre commerciali, ma potrebbe essere il segno che qualcosa si muove in seno alla classe politica europea. Se a scegliere di guidare il fronte del disgelo è, poi, un liberale europeista convinto, significa che la nuova guerra fredda sta provocando più danni del preventivato e che l’unica strada percorribile è realmente quella della coesistenza.

Fra i sogni russi di Macron e la loro realizzazione pesano, però, numerose incognite: la Nato continua ad allargarsi nello spazio post-sovietico, l’Ue è profondamente divisa (oltre che infiltrata da Washington) e alcuni paesi sono inamovibili sul tema (Polonia, Finlandia, baltici, Romania, ecc), il destino dell’Ucraina, il dopo-Macron, e le ultime sacche di influenza russa nel continente sono vittime di continue pressioni – ultima in ordine di tempo la Bielorussia, in cui manifestanti sventolanti la bandiera dell’Ue stanno protestando contro il progetto d’integrazione Minsk-Mosca.

I politici non sono perfetti, in quanto anch’essi sono esseri umani, e Macron è indubbiamente una delle figure più odiate attualmente, sia in Francia che in Europa, ma non è la prima volta che mostra grande lungimiranza negli affari esteri. De Gaulle ebbe il coraggio di disallinearsi a guerra fredda in pieno corso, Macron dovrebbe seguire le orme del predecessore non solo nel campo delle idee, ma soprattutto in quello dell’azione, gettando le fondamenta di un’Europa che si estenda davvero da Lisbona a Vladivostok, passando ovviamente per Parigi.

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