OGGETTO: L'ora del raccoglimento
DATA: 26 Marzo 2024
SEZIONE: Geopolitica
FORMATO: Analisi
AREA: Russia
L'attentato alla Sala Concerti Crocus presenta a Putin l’occasione per demolire una volta per tutte il dissenso che serpeggia nel Paese in relazione al conflitto in Ucraina, per alimentare invece il senso di rivalsa, rinvigorito dalle fiamme che ancora divampano a Mosca. Immagini che risvegliano paure e ansie collettive, con l’Occidente che fiuta il pericolo di un cambio di passo repentino dello Zar.
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Il 23 ottobre 2002 fu il tempo del teatro Dubrovka, dove per tre giorni furono sequestrati e tenuti in ostaggio circa 850 civili da parte di un gruppo di separatisti ceceni che chiedevano il ritiro immediato delle forze russe dalla Cecenia. Dopo un assedio durato oltre due giorni, le forze speciali russe grazie all’immissione di un gas letale nel sistema di ventilazione dell’edificio, provocarono la morte di 129 ostaggi, secondo alcuni addirittura di più, e di 39 combattenti ceceni prima di riuscire a fare irruzione. Se gli attentatori del Crocus City Hall avessero deciso di vestirsi da sequestratori, le autorità russe avrebbero avuto scrupoli diversi nei confronti dei presenti nella più grande sala concerti di Mosca oppure avrebbero tenuto la medesima linea intransigente per ragioni di sicurezza nazionale? I terroristi hanno risparmiato al Cremlino le crude polemiche che una scelta del genere si porta dietro. Il bilancio provvisorio del Comitato investigativo russo è di 137 morti, in continuo aggiornamento. La sensazione è che l’evento se ne trascinerà dietro molti di più.

Il quadro lascia il sentore inquietante che sia soltanto l’inizio di qualcosa di più grande. L’ISIS-K, Stato islamico del Khorasan, divisione afghana dell’Isis e rivale dei talebani, ha rivendicato la strage e i video che continuano a circolare ne sono la conferma. I rapporti tesi della Federazione Russa con i fondamentalisti islamici hanno radici lontane che affondano nell’intervento militare in Afghanistan a supporto del governo afghano, il Vietnam Sovietico appena prima dello scioglimento dell’URSS. Le guerre in Cecenia, regione a maggioranza musulmana ora governata dal macellaio filorusso Kadyrov e all’appoggio alla Siria di Assad, completano il quadro dei rapporti tormentati fra l’Islam e la Russia. Sono probabilmente i rapporti che Mosca sta intrattenendo con i talebani ad aver rappresentato una motivazione ulteriore per scatenare la furia omicida. Una detonazione non priva di avvisaglie recenti. La linea di Al Naba, il magazine settimanale ufficiale dello Stato Islamico, dall’inizio della guerra in Ucraina è stata quella di considerare il conflitto come una grande, tremenda gioia per i musulmani di tutto il mondoperché finalmente ad ammazzarsi fra di loro erano gli infedeli“Un messaggio dal cuore ai nostri fratelli musulmani in Ucraina” è il titolo di un articolo anonimo uscito il 2 aprile 2023 che esorta i musulmani di entrambe le fazioni ad astenersi dal combattere per unirsi allo Stato islamico e combattere le forze russe per liberare l’intero Caucaso. L’autore prende di mira proprio l’attuale leader ceceno Kadyrov accusandolo di essere un fantoccio nelle mani di Putin. Nel settembre 2022, un attentatore suicida dell’ISIS-K in un attentato all’ambasciata russa a Kabul, ha ucciso due dipendenti e quattro civili afghani. In un contesto del genere le ragioni di un attacco alla Russia appaiono chiare e la risposta del Cremlino dovrà essere attentamente valutata alla luce anche della consistente presenza musulmana nel Paese. Secondo alcune stime i musulmani rappresenterebbero più del 10% dell’attuale popolazione. Una fetta importante a cui i terroristi islamici hanno appena lanciato un appello chiaro: insorgete. Il momento in cui l’attentato si innesta trova la leadership di Putin rafforzata dalle recenti elezioni ma alle prese con i propositi dell’Unione Europea e della NATO di rafforzamento militare giunti sino a paventare un intervento militare diretto in Ucraina. 

Venti di guerra soffiano dall’Europa. In un comunicato stampa dello scorso 19 marzo il Presidente del Consiglio Europeo è stato chiaro, in un frangente in cui aleggia sull’Unione la più grande minaccia alla sicurezza dalla Seconda Guerra Mondiale. Se l’Europa vuole la pace, deve prepararsi alla guerra sostenendo militarmente e finanziariamente Kiev. Dalla relazione del Consiglio Europeo riunitosi il 21 e 22 marzo, in seguito al rinnovato appoggio all’Ucraina, emerge nettamente la volontà di potenziare e rafforzare in maniera massiccia il settore della difesa. Al di là di risoluzioni generiche, si fa riferimento specifico al rispetto dell’impegno per l’aumento della spesa comune volta al potenziamento dell’industria europea per la difesa, eliminando gli ostacoli interni che impediscono un pieno accesso ai finanziamenti destinati a tale scopo. La linea è quella di lasciar trasparire, se non la propria preparazione attuale, la volontà di rispettare la Bussola strategica delineata nel 2022 per rafforzare nel breve termine la sicurezza e la difesa dell’Unione. Ma se la Bussola si inseriva in un contesto di proclami con l’intento di far desistere la Federazione Russa dall’azione militare appena intrapresa, adesso le decisioni del Consiglio lasciano trasparire la volontà di cambiare passo. Allo stato attuale la guerra commerciale fra L’Europa e la Russia è sul punto di evolversi.

Dalla suddetta relazione emerge che “Il Consiglio europeo ha esaminato i progressi compiuti in relazione ai prossimi passi concreti volti a destinare a beneficio dell’Ucraina, compresa la possibilità di finanziare il sostegno militare, le entrate straordinarie derivanti dai beni russi bloccati.” Gli Stati membri valuteranno se inasprire ulteriormente le sanzioni confiscando i 27 miliardi di euro di fondi russi congelati dall’inizio della guerra in Ucraina per poter finanziare la controffensiva ucraina, anche a costo disincentivare investimenti di Paesi stranieri in Europa spaventati dalla prospettiva di vedersi confiscati ingenti beni se adottano comportamenti sgraditi a Bruxelles. Il Cremlino, senza mezzi termini, ha dichiarato che una mossa del genere rappresenterebbe una “violazione senza precedenti del diritto internazionale”. L’Europa è pronta per inasprire davvero le sanzioni sin qui prive di effetti significativi sull’economia russa o finirà per lasciar perdere nella speranza, sin qui vana, che lo spettro della recessione possa frenare il Cremlino? L’approccio occidentale era basato sulla convinzione che le sanzioni avrebbero messo in seria difficoltà l’economia russa mentre così non è stato. La Russia non si è fatta trovare impreparata ed ha avviato relazioni commerciali con partner di rilievo quali l’India, il cui primo ministro si è congratulato recentemente con Putin per la rielezione, lasciando intendere che abili tessiture in tal senso fossero state avviate già prima del conflitto in Ucraina. L’inasprimento delle sanzioni nasconde il pericolo che la Russia cementifichi le relazioni con quegli Stati che già hanno sostituito i Paesi dell’Unione negli accordi commerciali. Il gasdotto siberiano fra Russia e Cina potrebbe diventare realtà per trasportare fino a 50 miliardi di metri cubi di gas l’anno fra le due potenze.

Dalla prospettiva dei Paesi NATO, a cui l’Unione Europea ha confermato il ruolo primigenio nella difesa comune, si valuta l’invio di truppe occidentali in Ucraina, secondo quello che sarebbe il primo passo dal sostegno all’Ucraina alla guerra alla Russia. Per quanto nella sostanza l’assistenza atlantica all’Ucraina abbia già raggiunto diverse tipologie di supporto, da quello prettamente tecnico-militare a quello umanitario, un intervento militare diretto rappresenterebbe un passo decisivo. Se uno degli obiettivi dichiarati della NATO è l’espansione verso est per incrementare la presenza nei paesi baltici, nell’ottica di migliorare la stabilità e la sicurezza nell’area euroatlantica, la reazione di Mosca insegna che l’obiettivo è stato ampiamente mancato. Reazione prevedibile che ha da sempre alimentato il sospetto che l’intento malcelato degli Stati Uniti fosse proprio quello di alimentare il focolaio del conflitto. Ad oggi molti Stati membri della NATO si stanno convincendo che se l’operazione di accerchiamento della Russia non ha sortito gli effetti sperati, è doveroso intervenire direttamente. Sottotraccia è ormai noto che l’Occidente sta già aiutando l’Ucraina più di quanto ammetta, ma cosa può accadere nel caso di un intervento militare alla luce del sole? Le avvisaglie di un conflitto planetario ci sono tutte, nonostante le timide rassicurazioni di Borrell. L’Europa sta vivendo uno dei periodi più critici della sua storia recente, con una crescente minaccia di conflitto militare su vasta scala, che non si era mai verificata dall’era post-seconda guerra mondiale. Gli eventi recenti suggerirebbero una prudenza diplomatica mai come ora fondamentale in un momento in cui la Russia è stata colpita. Meglio farebbero i leader occidentali ad evitare le forti dichiarazioni circolate nelle ultime settimane. Perché se di trattative con Mosca non se vuol sentir parlare sui tavoli dell’alleanza atlantica, quantomeno prevalga il silenzio che di fronte a certe accuse di connivenza ucraina può rivelarsi la miglior difesa. Resta, infine, sempre da chiedersi, qualora l’evoluzione degli eventi conduca inevitabilmente al negoziato, chi fra gli Stati NATO si alzerà per prendersi la responsabilità del veto a oltranza sulle negoziazioni con Mosca che ha condotto, almeno sinora, alle centinaia di migliaia di ucraini morti in questi due anni?

Se un barlume di speranza che possano essere avviate trattative serie dipende da delicati equilibri internazionali, dal lato dei rapporti fra le intelligence coinvolte emergono considerazioni interessanti in ottica di mutua collaborazione. Secondo quanto riferito da Alessandro Politi, direttore della Nato Defense College Foundation, la collaborazione fra Usa e Russia sul versante della lotta al terrorismo non ha subito interruzioni. Gli 007 statunitensi avevano in mano informazioni che si sono rivelate di vitale importanza per la sicurezza nazionale russa. Il 7 marzo scorso avevano avvisato i connazionali presenti in Russia di evitare eventi affollati per il rischio di attentati terroristici nonostante le autorità russe avessero bollato l’allarme quale ennesimo tentativo di destabilizzare l’opinione pubblica. Se la condivisione di informazioni essenziali fra l’intelligence delle due potenze possa portare ad un livello tale da ristabilire un canale diplomatico, è ipotesi ardita. Vista la situazione sul versante ucraino, rimane difficile pensarlo. Se un barlume di collaborazione fra i servizi segreti è ancora in essere, ormai è cosa nota che la CIA si sia insediata nelle foreste ucraine aiutando Kiev nel tracciamento delle operazioni russe. Un insediamento che secondo un recente articolo del New York Times trarrebbe origine da uno scambio di informazioni fra l’intelligence ucraina e la CIA dal 2014, quando gli ucraini, già a guida filoccidentale, si guadagnarono la fiducia dell’intelligence statunitense fornendo loro dettagli rilevanti sul coinvolgimento della Russia nell’esplosione del volo della Malesia Airlines nei cieli ucraini. “Gli ucraini volevano il pesce e noi, per ragioni politiche, non potevamo consegnarlo”, ha ammesso un ex funzionario americano, “Ma eravamo felici di insegnare loro come pescare e consegnare l’attrezzatura per la pesca a mosca.”. Da lì in poi la stretta collaborazione ha fornito aiuti decisivi all’Ucraina durante il conflitto. Insomma soltanto finché si tratta di condivisione di informazioni vitali per la sicurezza interna, l’FSB pare essere disposta a tenere aperti canali di comunicazione con i corrispettivi a stelle e strisce, senza dimenticarne la presenza ormai stabile in terra ucraina. 

Nell’aspro contesto internazionale la Russia ferita tende a compattarsi intorno al proprio leader, dando prova di unità di fronte alla tragedia a partire dal 24 marzo, giornata di lutto nazionale. A Mosca ed in altre città russe i pannelli elettronici mostrano l’immagine di un’unica candela accesa con scritto “Skorbim”, ovvero “piangiamo”.  La vittoria alle elezioni è stata schiacciante, la più larga di sempre, ma sono arcinoti i dubbi che aleggiano sul reale consenso intorno allo Zar. La rivolta di Prigozhin e l’ombra di un colpo di Stato avrebbe dovuto indebolire le istituzioni russe ma hanno finito per rafforzare ulteriormente l’immagine di Putin, a differenza di quanto ritenuto dai media occidentali per mesi. Il dissenso è realmente sepolto con Naval’nyj o residuano strascichi di malumore in seno al popolo russo per la politica estera del Cremlino? La storia insegna che i dissidenti si possono controllare sino a renderli inermi ma estirparli rischia di consacrarli a martiri. Il potere maturo che pretende di durare a lungo sa imparare a convivere con la presenza di un’inevitabile minoranza contraria per trarne vantaggio in tempi difficili, quando è necessario fare fronte comune. Magari ridicolizzandola. Questo lo sa Putin, che del pragmatismo di fronte alle difficoltà ne ha fatto un mantra. Più che la vittoria alle elezioni allo Zar serviva il collante sociale per eccellenza, il cordoglio. Una tragedia che unisca il popolo, quello stesso che lo ha appena eletto, è terreno fertile per i salvatori della patria. Se lo spauracchio di un attacco terroristico alimenta la paura, quando questo si realizza diventa carburante per un regime che si prepara ad inasprire misure di sicurezza interna. Nella migliore delle ipotesi per il precario equilibrio internazionale l’attacco al Crocus City Hall potrebbe essere ricordato come l’11 settembre della Federazione Russa. Le alternative sul tavolo destabilizzerebbero gli equilibri internazionali in maniera decisiva e il tragico evento diverrebbe la miccia in grado di scatenare un incendio più grave di quello che divampava sul tetto del teatro. Dalle dichiarazioni delle autorità russe continuano ad aleggiare i sospetti su un coinvolgimento ucraino. Una circostanza che se provata potrebbe avere ripercussioni decisive sul conflitto ucraino, come preannunciato nell’immediatezza dell’attacco da Medvedev. 

Roma, Dicembre 2023. XIII Martedì di Dissipatio

Allo stato risulta difficile ipotizzare un coinvolgimento diretto dell’Ucraina proprio per l’avversione che l’ISIS-K ha dimostrato nei confronti non solo della Russia ma anche dell’Ucraina, avamposto dell’Occidente. Nel discorso alla nazione Putin ha specificato che prima di essere fermati gli attentatori sarebbero stati diretti in Ucraina, insinuandone la connivenza nell’operazione. Il sottotesto è fin troppo chiaro. Difficile, anche se come pare l’iniziativa sia esclusivamente riconducibile all’ISIS-K, che le autorità russe ammettano durante i prossimi giorni l’estraneità del governo di Kiev. La narrazione al momento punta dritta verso l’Ucraina. Se davvero tracce di dissenso serpeggiano nella Federazione Russa per le conseguenze della guerra, si presenta a Putin l’occasione per stroncarle una volta per tutte alimentando il senso di rivalsa, rinvigorito dalle fiamme che divampano sul Crocus City Hall. Immagini che risvegliano paure e ansie collettive con l’Occidente che fiuta il pericolo di un cambio di passo repentino dello Zar. Il 12 marzo scorso il comandante delle forze armate polacche, il generale Wieslaw Kukula, aveva lasciato presagire che la Russia si stesse preparando alla guerra contro i Paesi della Nato perché “Nonostante le pesanti perdite subite in Ucraina, la Russia sta riorganizzando le sue truppe e facendo lavorare intensamente la sua industria militare”.

La paura della Polonia è papabile. Soltanto ieri uno dei missili russi ne ha violato lo spazio aereo passando vicino alla città di Oserdow, al confine con l’Ucraina, alimentan-do lo spettro di un conflitto imminente. Non è credibile che la Russia si stia preparando ad attaccare la NATO, come invece pare emerge-re dal rapporto dell’Institute for the Study of War (ISW), piuttosto è altamente probabile che si stia preparando a fronteggiare uno schieramento ucraino nettamente rafforzato. Nell’atmosfera di dubbi e incertezze il leader del Cremlino tiene alta la tensione per uscire dalla ragnatela del terrore e mostrare il volto forte che lo contraddistingue. Come ricorda Dario Fabbri in Geopolitica umana, “Le élite occidentali si emozionano quando a Mosca o a San Pietroburgo esplodono manifestazioni antidittatoriali. Ma i russi non vivono di benessere, né di economia: categorie sconosciute, specie nel Paese profondo. Piuttosto, giudicano i reggenti dagli obiettivi perseguiti nell’agone internazionale.” Se è chiaro che il timore di Putin è quello di essere ricordato come il leader che ha perso l’Ucraina, ciò che frena i leader dell’alleanza atlantica dall’intavolare un negoziato è lo spettro di cedere alle richieste russe facendo la fine dei Presidenti di Francia e Inghilterra alla Conferenza di Monaco che, citando Churchill, “potevano scegliere fra il disonore e la guerra. Hanno scelto il disonore e avranno la guerra”.

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