Doveva essere agitato in quel viaggio verso Parigi, nella primavera del 1672 il giovane Leibniz. La missione era tanto chiara quanto difficile: convincere Luigi XIV, il Re Sole, l’uomo più potente d’Europa a non attaccare i Paesi Bassi, distogliere il suo sguardo dal continente e indicargli una preda più succulenta e facile da prendere nel vicino Oriente: l’Egitto. Un giovane diplomatico come Leibniz, amante dei numeri e della logica combinatoria, non poteva che trovare in un’equazione lo strumento argomentativo in grado di indicare allo stesso tempo la somiglianza e la differenza delle due conquiste. Il grande e glorioso Egitto, simbolo per antonomasia di un regno eterno e luminoso al posto della piccola e anonima Olanda, regione da sempre alla periferia della storia; le scure acque del Reno e della Mosa buone solo a formare acquitrini e paludi malariche, sostituite dalle fertili anse del Nilo, il re dei fiumi, culla di civiltà e padre d’Imperi; e, infine, una popolazione relativamente docile, ormai da millenni abituata al comando straniero, invece che un covo di eretici e repubblicani, pronti a sacrificare la vita piuttosto che sottomettere la propria libertà al dominio straniero. Nel caso in cui questi ragionamenti non avessero fatto breccia nel cuore dell’ambizioso Luigi, l’ambasciatore tedesco avrebbe sempre potuto sfoderare l’arma retorica e ricordare come illustri predecessori avessero già compiuto l’impresa: Alessandro Magno, il greco che ha portato ai piedi delle piramidi la scienza e la sapienza occidentale e Cesare, il romano che ha insegnato e imposto ai popoli orientali le istituzioni e le leggi. Ora tocca a Luigi, il francese, portare la luce redentrice del cristianesimo dinanzi gli occhi della Sfinge.
Gottfried Wilhelm Leibniz, il protagonista di questa vicenda, è conosciuto dai più come l’inventore del calcolo infinitesimale, da qualcuno per le sue teorie filosofiche e da pochissimi per il suo lavoro di diplomatico e consigliere. In realtà, se ci avventuriamo nella sua biografia ci rendiamo conto di come il suo lavoro di studioso, matematico e filosofo sia intervallato costantemente da incarichi diplomatici che ne hanno plasmato la mentalità e la visione generale. Poco più che ventenne spacciandosi per un alchimista riesce a entrare come segretario nella società proto-massonica dei Rosacroce, che gli apre le porte alla carriera diplomatica e, nel giro di pochi mesi, guadagna le grazie dell’Elettore di Magonza, di cui diverrà consigliere e ambasciatore. Proprietà magiche della materia, sette segrete, delicati incarichi internazionali, sono presenti tutti gli elementi per un thriller contemporaneo, invece ci troviamo nel cuore dell’Europa all’indomani della Guerra dei Trent’anni. Il 1600 è un secolo decisivo per il destino dell’Occidente, un’epoca a cavallo tra il Medioevo e l’età Moderna, momento privilegiato in cui riescono a convivere i retaggi della tradizione con le spinte emancipative della ragione moderna. La pace di Westfalia ha stabilito un nuovo ordine e un codice di condotta che reggerà i rapporti politici tra i vari stati fino al 1914, la rivoluzione scientifica sta mettendo in crisi tutte le credenze e le autorità del passato gettando le basi per il progresso e la supremazia tecnologica europea, l’Inquisizione appare l’ultima fiammata, la più viva e potente come in tutti i fenomeni storici, del potere temporale della Chiesa. In questo turbinio di cambiamenti vive e lavora Leibniz che fin da subito si rende protagonista delle vicende politiche europee.
Una delle prime missioni riguarda la successione al trono del regno di Polonia. Il filosofo tedesco viene incaricato di redigere una memoria per sostenere l’elezione del conte palatino Filippo Guglielmo di Neuburg, uno dei cinque candidati alla corona polacca dopo l’abdicazione del vecchio sovrano. Attraverso delle argomentazioni geometriche Leibniz dimostra come il suo candidato sia il più adatto a ricoprire la carica in questione e l’unico in grado di governare rettamente il regno. Nonostante il fallimento dell’opera persuasiva leibniziana, verrà infatti eletto il conte polacco Michele Wisnowiecki, possiamo rintracciare alcune traiettorie geopolitiche interessanti, che appaiono immutate fino ai nostri giorni. I grandi potenti tedeschi, allora come oggi, si interessano delle sorti dell’Europa orientale tentando di strapparla dall’ala d’influenza della Russia, che proprio in quegli anni sta maturando la sua compagine statale e si appresta a gettarsi nelle vicende europee. Il consolidamento di un territorio cuscinetto tra Russia ed Europa centrale rimarrà il leit motiv della politica estera tedesca, che nei successivi 350 anni oscillerà perennemente in questa dinamica attrattiva-repulsiva.
Leibniz lavora per le corti dei più importanti nobili e passa con disinvoltura per i gabinetti reali dell’epoca: la Vienna imperiale degli Asburgo, la Versailles che ammalia e ghermisce del Re Sole, la Berlino della nascente Prussia che da allora mantiene il ruolo di centro nevralgico dei destini europei. Nel corso di tutta la sua vita cerca di promuovere la cultura e il progresso scientifico: è uno dei fondatori dell’accademia di Prussia a Berlino, intesse scambi epistolari con gli intellettuali e filosofi dell’epoca ed è soprattutto famoso per essere il protagonista della querelle scientifica più conosciuta del secolo. Leibniz, infatti, scopre il calcolo infinitesimale contemporaneamente e in maniera autonoma rispetto agli studi di Newton, ma per molto tempo le sue dimostrazioni non vengono prese in considerazione e i suoi risultati sono ritenuti un plagio all’accademico inglese. Sebbene gli studiosi siano ormai concordi nel ritenere l’autenticità degli studi matematici di Leibniz e lo abbiano ampiamente riabilitato, nell’opinione pubblica permane ancora una certa subalternità tra il genio inglese e il filosofo tedesco. Possiamo leggere questa disparità di giudizio come una questione squisitamente politica, che pone in questione lo statuto della scienza. Il fatto che dietro alle scoperte di Newton ci sia la Royal Society, l’accademia scientifica più prestigiosa e strutturata dell’epoca, uno dei primi esempi di come il potere può istituzionalizzare la scienza e la cultura, mentre Leibniz sia uno studioso autonomo ed eclettico, capace di imporsi all’attenzione degli addetti ai lavori solo grazie al genio delle sue ricerche, ha sicuramente influenzato la ricezione delle scoperte. E se nel 1714 il tedesco Giorgio Ludovico, già duca di Hannover salito nel frattempo al trono d’Inghilterra, dall’alto della sua nuova carica avrebbe potuto riabilitare il nome del suo connazionale, sono ancora dei calcoli politici a contaminare l’imparzialità della scienza. Il nuovo sovrano alla guida dello stato britannico non ha nessuna intenzione di irritare l’élite londinese da poco diventata sua suddita: che gli inglesi si tengano pure le leggi astratte dei numeri e delle stelle, ma quelle terrene sugli uomini e sulle cose rimangano in mano di un tedesco.
Ritorniamo però sul progetto di spedizione d’Egitto che il giovane Leibniz vuole presentare a Luigi XIV. La conquista della terra dei faraoni non può che portare benefici alla Francia. Anzitutto le difese degli ottomani sono poche e male organizzate, il Cairo non dispone che di una manciata di cannoni, una passeggiata per l’esercito più potente dell’epoca. L’Egitto non solo è facile da prendere, ma si trova in una posizione strategica per le ambizioni di egemonia mondiale della Francia. Ottenere il governo dell’istmo di Suez permetterebbe ai mercanti francesi di evitare la circumnavigazione dell’Africa e dimezzare la durata dei viaggi verso l’estremo oriente e la Cina. Ai benefici che la Francia otterrebbe da questa conquista, dobbiamo sovrapporre i motivi politici che spingono Leibniz in tale impresa. Dirottare le forze francesi in oriente significa salvare l’Olanda da un attacco imminente, che in caso di vittoria aprirebbe le porte all’esercito del Re Sole sulla regione tedesca ancora frammentata in una miriade di staterelli e città libere inadeguate ad affrontare una simile guerra. Strappare l’Egitto ai Turchi, inoltre, significa indebolire l’Impero Ottomano che sta spingendo sempre di più contro i confini austriaci, infatti di lì a pochi anni arriverà ad assediare la stessa Vienna. Distrarre la Francia dalle sue mire espansionistiche europee e catapultarla in un’impresa orientale per indebolire il vero nemico: è questo l’obiettivo del filosofo tedesco. Nella visione ideale di Leibniz la Francia e l’Austria rappresentano i due difensori dell’Europa e della cristianità, da una parte gli Asburgo si impegneranno a combattere i Turchi in Europa orientale, dall’altra Luigi XIV con la conquista d’Egitto spazzerà l’egemonia mediterranea dei mori, fiaccherà il loro potere e porrà le basi per una riconquista della Terra Santa.
Se queste argomentazioni avessero potuto far breccia nel cuore del Re Sole non lo sapremmo mai. Per una manciata di giorni il giovane ambasciatore manca l’incontro con Luigi XIV, che sta già pianificando l’attacco ai Paesi Bassi e che inizierà poche settimane dopo. Sembra di essere di fronte a uno di quei momenti fatali, in cui il destino di interi popoli è deciso da inezie del caso, in cui la storia si trova a un bivio e la decisione di intraprendere un sentiero al posto di un altro appare dipendere da un capriccio irrazionale della sorte. In una vertigine controfattuale ci potremmo immaginare il mondo a partire da questa svolta e ricostruire i tre secoli e mezzo che ci separano da quell’incontro mancato: la disgregazione dell’Impero Ottomano e la conseguente spartizione delle influenze europee nella regione, la creazione di Stati fantoccio che non rispecchiano le differenze etniche e culturali delle popolazioni, l’utilizzo della leva religiosa per fomentare o spegnere ribellioni, la scoperta di giacimenti di combustibili fossili… Tutto sommato la realtà a volte supera l’immaginazione.