La decisione di inviare i più potenti carri armati tedeschi e statunitensi sulla linea del fronte ucraino ha riacceso il dibattito sull’efficacia e gli effetti degli aiuti militari a Kiev. Una parte dell’opinione pubblica crede che l’invio di armi sempre più distruttive acceleri l’escalation militare che porterebbe l’Europa sul baratro di un conflitto aperto con la Russia. Ci troveremo di fronte a un sempre più probabile scontro nucleare, i cui scenari da fine del mondo sono facilmente intuibili.
Di apocalisse, guerra ed Europa parla Portando Clausewitz all’estremo uno degli ultimi libri del filosofo René Girard. Il testo, pubblicato da Adelphi nel 2008, è un lungo dialogo tra l’autore e Benoît Chantre critico letterario e saggista francese. I due intellettuali rileggono Della guerra di Clausewitz – l’opera sull’ars militaris per antonomasia – e si incamminano in un percorso ermeneutico originale, abbandonando la visione classica del generale prussiano come il padre della scienza bellica moderna. Clausewitz viene spogliato della divisa e delle medagliette conquistate sui campi di battaglia e diventa, di volta in volta, antropologo capace di cogliere il comportamento originario dell’uomo, filosofo in grado di leggere nei rapporti franco-prussiani il cuore fondante dell’Europa e profeta di un futuro inevitabilmente nefasto.
L’intelaiatura concettuale che regge l’intera discussione è la teoria mimetica tanto cara a Girard. Secondo il filosofo francese il carattere fondamentale dell’uomo è il desiderio, che lo spinge ad agire nel mondo e a scontrarsi con gli altri. La dimensione desiderante, però, non è orizzontale – il soggetto vuole un determinato oggetto e fa di tutto per ottenerlo –, bensì triangolare: il soggetto desidera un oggetto perché imita un altro soggetto che desidera quella cosa. Il desiderio è sempre mediato da un soggetto altro che diventa modello e rivale allo stesso tempo. Il desiderio mimetico è il motore dell’uomo, che innesca una serie di conflitti violenti, un botta e risposta infinito, destinati a portare la società al collasso se non ci fosse l’intervento del sacro. Il sacrificio rituale è il meccanismo sociale che placa il turbine di violenza e scarica su un capro espiatorio tutte le colpe del gruppo. Girard, estremamente credente, pensa che il cristianesimo sia l’unica religione che abbia smascherato tale meccanismo, mostrando come la vittima sacrificale in realtà sia innocente, ma in questo modo accelerando verso gli estremi apocalittici la natura violenta dell’uomo mimetico:
Quando il sacrificio svanisce, tutto ciò che rimane è la rivalità mimetica e la sua escalation agli estremi. In un certo senso, la Passione conduce alla bomba ad idrogeno: finirà per far esplodere le Potenze e i Principati.
Il fitto dialogo tra i due studiosi – chiaro esempio di come a volte la forma di un’opera non sia mero orpello stilistico – inizia con un ragionamento sulla definizione di guerra che Clausewitz espone nelle prime pagine del suo capolavoro: “La guerra non è altro che un duello su larga scala”. In queste parole Girard legge l’intuizione antropologica che fa uscire il generale prussiano dallo stretto campo della strategia militare e lo innalza al livello dei grandi pensatori dell’Ottocento. Il duello, lo scontro mimetico per eccellenza, pone di fronte due soggetti che a turno offendono e difendono, parano e colpiscono, in una danza ricorsiva che termina solo nel momento in cui si spezza la legge della mimesis: quando uno dei due duellanti non riesce a rispondere agli affondi dell’altro. Proseguendo nella definizione di Clausewitz si incontra il punto fondamentale dell’intera interpretazione Girardiana: il duello spinge i rivali ad aumentare ad ogni colpo l’uso della forza, inserendoli in una dinamica emulatoria che li porta alle estreme conseguenze:
La guerra è un atto di forza e non c’è limite logico all’applicazione di tale forza. Ciascuna parte, quindi, costringe l’avversario a seguire il suo esempio; si innesca un’azione reciproca che deve portare, in teoria, agli estremi.
In questo concetto di spirale irrefrenabile verso gli estremi Girard coglie la scintilla della teoria mimetica che più di centocinquant’anni dopo formulerà in tutta la sua complessità. Gli estremi di Clausewitz, però, sono molto diversi da quelli del filosofo francese. Il primo, testimone della Rivoluzione Francese – a dodici anni è già sul campo della battaglia di Valmy ad osservare il nuovo e vincente esercito rivoluzionario – e dell’incredibile ascesa e declino di Napoleone, vede negli estremi la trasformazione radicale dell’arte della guerra: le truppe francesi sono formate dalla leva obbligatoria, si riconoscono in un ideale e nel loro condottiero, mentre quelle dei vecchi Stati dell’ancien regime sono formate perlopiù da mercenari poco motivati che spesso neanche si comprendono a vicenda. Clausewitz guarda Napoleone con odio e ammirazione, lo chiama “il Dio della guerra” perché ha catalizzato nella sua figura la nuova dimensione bellica, quella di guerra totale. La Prussia, per riuscire a rispondere alle armate francesi, deve imitare la loro trasformazione e mobilitare l’intero popolo sposando la causa nazionale. La prospettiva mimetica, sebbene in questo periodo inizia la sua corsa verso l’inesauribile anelito di sopraffazione, ancora non ha assunto le fosche tinte dell’irrimediabilità.
Gli estremi di Girard, invece, sono apocalittici. La legge della mimesis impone ai duellanti di usare tutta la forza possibile per sottomettere l’avversario e di rispondere colpo su colpo ad ogni tipo di attacco. Dopo la Seconda Guerra Mondiale e le bombe atomiche nessun conflitto tra grandi potenze può quindi concludersi senza escalation nucleare. Il testo di Clausewitz assume un significato quasi profetico e il filosofo francese lo interpreta come un controcanto antropologico ai testi apocalittici; il destino dell’umanità è segnato da una spirale infinita di violenza che terminerà con l’ultimo uomo. In questo modo la teoria mimetica chiude il suo cerchio: la Passione di Cristo aveva disvelato l’innocenza delle vittime sacrificali e il loro ruolo di catalizzatrici della violenza all’interno dell’ingegneria sociale; questa consapevolezza, se da un lato ha permesso alla società occidentale di progredire incredibilmente in tutti i campi del sapere, dall’altro ha aperto la strada verso il vero significato dei testi apocalittici, che il Della Guerra di Clausewitz anticipa in tutta la loro durezza.
Nella lunga discussione tra Girard e Chantre il rapporto tra Francia e Germania rappresenta un altro nucleo fondamentale. Sulla faglia che divide queste due entità storiche, politiche e culturali sin dai tempi di Carlo Magno è cresciuta e si è sviluppata l’idea di Europa. Anche in questo contesto l’agire mimetico ha giocato un ruolo decisivo che si è mostrato con tutta la sua chiarezza proprio a partire dall’epoca napoleonica. Valmy, Jena, Sedan, Verdun, le Ardenne sono i nomi delle stoccate di questo duello continentale in cui ad ogni ritirata seguiva un affondo più potente, distruttivo, totale. Francia e Germania si sono imitate a vicenda rincorrendo un potere imperiale – fondativo dell’idea stessa di Europa –, che è esploso definitivamente sotto le bombe della Seconda Guerra Mondiale. Se la sconfitta tedesca e la falsa vittoria francese hanno privato il continente delle ultime velleità imperiali, il papato – l’altro grande potere fondativo dell’Europa – ha riacquistato una posizione di primissima importanza. L’impero e il papato nel loro duello mimetico secolare hanno incarnato il vero significato dell’Europa, che per Girard non è altro che “l’uguaglianza di tutte le persone”. Secondo il filosofo francese il papa ha vinto questo scontro in quanto è riuscito ad espellere tutte le ambizioni imperiali da sé stesso e ha acquisito un’importanza mondiale proprio nel momento in cui ha perso il suo potere temporale. La figura di Benedetto XVI riveste un significato ancora più dirimente agli occhi di Girard. Il papa tedesco ha evidenziato il pericolo nella società contemporanea di una guerra della ragione contro la religione a cui seguirà quella ancora più forte della religione contro la ragione. Una razionalità limitata al pratico e le scienze ridotte all’aspetto empirico-matematico indeboliscono il pensiero occidentale e lo rendono incapace di intrattenere dialoghi sempre più necessari e urgenti con le altre culture e religioni.