Il dibattito politico estivo è stato incentrato sulla concessione della cittadinanza ai figli degli immigrati che nascono e vivono in Italia, tramite lo ius scholae. Disputa che però è durata solamente qualche settimana e non farà parte della prossima agenda politica autunnale del governo e delle compagini parlamentari, sia della maggioranza che dell’opposizione, anche se da qualche anno in Italia la questione sulla cittadinanza ai figli degli immigrati riemerge ciclicamente a seguito delle più svariate contingenze. Ma un elemento fattuale acclarato è che la società italiana stia diventando di fatto multietnica e la questione della cittadinanza per i figli di immigrati, che vivono e studiano in Italia, non sia più prorogabile sine die.
Infatti, secondo i dati Istat negli ultimi sei anni il numero degli immigrati è aumentato di trecentomila unità, su un totale di 5,3 milioni, arrivando a comprendere il 9% della popolazione presente sul territorio nazionale. In larga maggioranza l’aumento è dovuto anche alle nascite delle seconde generazioni, che oscillano tra i 50 e i 60 mila l’anno.
La cittadinanza italiana non si configura solamente come un orpello giuridico ma offre la possibilità di usufruire di diritti che sono essenziali per un cittadino moderno, che sono ovvero l’espressione di voto, la partecipazione a concorsi pubblici, la possibilità di viaggiare per studio e lavoro, ma che però deve trovare le sue premesse nel idem sentire de republica da parte del singolo individuo. Secondo diversi analisi demoscopiche, fatte da due istituti specializzati (YouTrend e Istituto Noto Sondaggi), la maggior parte dei cittadini italiani è favorevole alla concessione della cittadinanza da parte dei figli di migranti dopo la conclusione di uno o più cicli di studio. Come per l’appunto previsto dallo ius scholae.
Ma una domanda che sarebbe necessario sollecitare e che ancora nessuno, in ambito comunicativo, intellettuale e politico, si è posto è la seguente: lo Stato italiano, per mezzo delle sue istituzioni, ad oggi ha la capacità di assimilare e integrare gli immigrati e i loro figli? La risposta è no. Per avvalorare questa tesi si può seguire il metodo empirico-induttivo, tramite diverse analisi. La prima di queste verte sul numero di stranieri reclusi nelle carceri italiane e il loro rapporto in proporzione ai detenuti italiani. Dato quantitativo che può essere interpretato come segnale di quanto un cittadino straniero si può integrare nella cultura di un Paese. Secondo i dati del Ministero della Giustizia, aggiornati al 31 luglio 2024 (Dap), i detenuti totali in Italia, presenti all’interno degli istituti di pena su tutto il territorio nazionale, sono di 51.207, di questi 19.150 sono stranieri. In totale la percentuale dei detenuti stranieri risulta essere il 31,3% sul totale della popolazione carceraria. A questi numeri vanno aggiunti quelli che scontano la pena in regime di semilibertà, che su un totale di 1.264, 247 sono stranieri. Il numero di stranieri detenuti per nazionalità sono: Marocco 4.045, Romania 2.138, Albania 1918, Tunisia 2.046, Nigeria 1.121, Senegal 487, Algeria 462, Gambia 406. Dal punto di vista socio criminale, i reati commessi dai cittadini stranieri sono di lieve entità, infatti il 44,26% dei detenuti sono condannati a meno di un anno di reclusione e solamente il 7,12% sono condannati per i reati che prevedono l’ergastolo. Il 31% dei detenuti scontano la pena per reati contro la persona, il 29,11 per la violazione della normativa sulle sostanze stupefacenti, il 28,83% per reati contro il patrimonio e il 18,87% per delitti contro l’ordine pubblico. Da questi numeri risulta essere che l’obiettivo di trovare un senso di appartenenza comunitaria ai cittadini stranieri, con gli opportuni diritti e doveri verso se stessi e gli altri, non stia avvenendo.
In questo contesto la scuola dovrebbe avere un compito fondamentale nel dare gli strumenti per l’integrazione a uno studente straniero, tramite i mezzi di cui dovrebbe disporre. Ma anche per questo ambito l’analisi dei numeri non dà una risposta positiva. Sviscerando i dati del Ministero dell’Istruzione, aggiornati al 31/08/2023, gli studenti stranieri in Italia sono 894.624 per tutti gli ordini e gradi, in aumento di ben 18.581 unità rispetto all’anno precedente. La maggioranza di questi proviene dalla Romania, Albania e Marocco. Un altro dato evidente e da sottolineare è la distribuzione degli alunni nelle scuole sul territorio nazionale: il 64,2% frequentano quelle nelle regioni del Nord, al Centro il 22,2% e al Sud solamente il 9,7%. Questo lo si spiega con il fatto che i migranti si concentrano dove vi è una maggiore offerta di posti di lavoro. Tra questi dati emerge un fattore negativo a svantaggio degli alunni stranieri che è fondamentale sottolineare: nell’intero anno scolastico 2022-23 gli studenti italiani ripetenti per almeno un anno sono stati il 16,64%, mentre per gli studenti stranieri il dato è stato del 48%. A questo si aggiunge che un quarto degli stessi studenti stranieri non completa gli studi della scuola secondaria.
Come ha evidenziato una articolo della rivista economica Eco, diretta da Tito Boeri, il risultato di vari test a forma di gioco effettuati a bambini nelle scuole primarie di primo grado (materna) nei comuni nelle città metropolitana di Milano, frequentate da un alto tasso di alunni stranieri, che aveva come obiettivo la misurazione del livello di empatia e il rispetto reciproco tra i bambini, è emerso che i bambini stranieri hanno ottenuto dei risultati peggiori rispetto a quelli italiani. Analizzando tale quadro, ad oggi uno studente non italiano ha preclusa qualsiasi attività di compiere un salto sociale ed economico ma sarà destinato, nel migliore delle ipotesi, a svolgere attività lavorative di basse qualifiche come quelle che oggi svolgono la quasi totalità dei lavoratori migranti in Italia. Basta esaminare il rapporto stilato dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali del 2 agosto del 2023 intitolato Gli Stranieri del mercato del lavoro in Italia in cui viene mostrato che su un totale degli occupati stranieri di 2,4 milioni (i dati intendono solamente i lavoratori con contratto regolare) il 75% ha la qualifica operaio e i settori d’impiego sono per il 39,% nell’agricoltura; il 30,1 % nell’edilizia; il 22% nell’industria; il 14,7% nei settori dedicati alla cura della persona e per il solo 3,1 % sono impiegati nel settore del commercio e nell’attività artigianale.
Se le condizioni attuali sono queste enunciate, un’eventuale concessione della cittadinanza sullo ius scholae, senza un’adeguata programmazione di una riforma strutturale, si andrebbe a creare solamente una diversa categoria di italiani: quella di origine straniera, parallela a quella autoctona, con il rischio che i componenti della prima andranno a far parte di una società interna marginalizzata e ghettizzata.