Con lo scoppio di due nuove guerre negli ultimi anni, lo sfruttamento dei bambini-soldato ha fatto registrare una netta impennata. Il fenomeno, in precedenza associato soprattutto a conflitti armati nell’area africana, è ormai sempre più comune. Nei due casi menzionati, la scarsa preparazione degli eserciti e la necessità di ingrossarne le fila hanno ulteriormente peggiorato le cose. Tracciare un numero preciso di questa pratica è molto difficile poiché il tutto avviene sottotraccia, dunque si possono solo azzardare delle stime: se fino a pochi anni fa si ipotizzava che i bambini strappati alle proprie famiglie fossero qualche migliaio ogni anno, oggi è plausibile che il dato sia almeno raddoppiato. Il fronte ucraino e quello mediorientale hanno richiesto un massiccio aumento della partecipazione popolare, ed in molti frangenti questa si è dimostrata di grande aiuto. A tal proposito, il termine “soldato” non sempre corrisponde ad un coinvolgimento diretto come combattente. La definizione fa certamente riferimento ai minorenni reclutati da gruppi armati, ma comprende giovani che svolgono compiti diversi: cuochi, infermieri, informatori, vedette, spie e così via. Così, i bambini finiscono per essere frequentemente impiegati in missioni che richiedono agilità, discrezione e la capacità di muoversi senza attirare l’attenzione. Nel caso delle ragazze si verificano anche violazioni a fini sessuali o scambi per la liberazione di prigionieri.
Il reclutamento è spesso agevolato da contesti di estrema povertà ed emarginazione o da categorie vulnerabili come bambini di strada, abitanti di aree rurali, rifugiati o esuli. In alcuni casi la decisione di unirsi ai gruppi armati è persino volontaria. Un mezzo per proteggersi dall’ambiente violento, avere un’arma e sentirsi parte di un gruppo. Un modo per affermarsi socialmente, dimostrando di essere pronti a tutto nonostante l’età. Gli effetti di tutto ciò sono devastanti sul piano fisico e psicologico. Oltre al trauma della guerra, si aggiungono il frequente uso di alcol e droga per tenere a bada fame e paura. Inevitabilmente, si sviluppa una dipendenza dagli stupefacenti. Un esempio ormai noto è quello del “Captagon”, sostanza molto economica che genera resistenza alla fatica, euforia e un senso di onnipotenza. La sua diffusione è iniziata con gli attacchi terroristici dell’ISIS: dalle analisi sugli attentatori del Bataclan vennero scoperte tracce di questa droga, che negli anni successivi ha avuto successo soprattutto tra le fila di Hamas – e a Gaza fino al recente cessate il fuoco.
Lo scontro arabo-israeliano è stato il più recente teatro delle violazioni riguardanti i bambini. Con l’inizio del rilascio degli ostaggi dal 19 gennaio scorso, decine di ragazzi sotto i 18 anni sono stati liberati. Tuttavia, il pericolo per la loro salute fisica verrà inevitabilmente rimpiazzato da grandi difficoltà sul lato psicologico. Infatti, oltre al trauma relativo alle esperienze provate, essi spesso subiscono un indottrinamento che li porta a rifiutare temporaneamente di tornare a condurre una vita al di fuori del contesto di guerra.
Questo è ciò che si verifica nel caso del conflitto tra Russia e Ucraina, dove il tema dei bambini ha acquisito grande rilevanza anche a livello sociale. A marzo 2022, Putin ha affermato che l’assenza di un passaporto russo non dovrebbe essere un ostacolo per l’adozione. Di lì a poco è stata modificata la legge federale per semplificare il processo di conferimento della cittadinanza russa ai bambini ucraini. Nell’arco di un solo anno – più precisamente a maggio 2023 – il Ministero della Difesa della Federazione Russa ha annunciato di aver prelevato 200.000 bambini dal territorio ucraino, notizia confermata successivamente dal presidente Zelensky in un discorso all’Aia. Per contrastare l’accusa di aver commesso crimini di guerra, i funzionari russi hanno affermato di voler allontanare i bambini dal pericolo e che questi avessero scelto volontariamente di emigrare. Tuttavia, tali dichiarazioni sono state nettamente smentite da numerose fonti. In tal senso, l’azione russa costituisce una duplice minaccia: da una parte c’è il rischio che i bambini più vicini a diventare maggiorenni vengano collocati in scuole militari o reclutati nell’esercito piuttosto che essere adottati, dall’altra che i più piccoli subiscano un indottrinamento anti-Ucraina che li porterà a rifiutarsi di tornare in patria. Proprio come già successo a Gaza. Quest’ultimo processo si inserisce nella più ampia pratica della “russificazione”, che in senso stretto prevede l’assimilazione della lingua e cultura russa da parte di comunità non-russe, ma in questo caso si traduce in un annullamento del senso di appartenenza ucraino.
L’idea di appropriarsi dei bambini viene quindi spesso giustificata come un atto umanitario per allontanarli dalla zona di guerra. Che si tratti o meno della realtà, bisogna tenere conto che Putin considera l’Ucraina parte della Russia e quindi glorifica queste iniziative. Ecco allora che lo scontro appare chiaro: vi sono due modi di percepire il dramma del conflitto completamente in disaccordo l’uno con l’altro. Mentre l’Ucraina propone un approccio più Occidentale, fortemente basato sulla libertà individuale e la possibilità di scegliere, la Russia fa leva sui valori patriottici e difende il concetto di vittoria a qualunque costo. Anche quando questo significa strappare i bambini dalle proprie famiglie e condannarli ad un futuro sul campo di battaglia. Contribuendo alla perdita delle loro radici, della loro identità culturale, storica e personale.
Se dal punto di vista umano il fenomeno dei bambini-soldato rappresenta un’atrocità che peggiora ulteriormente il bilancio delle perdite legate alla guerra, esso nasconde delle grandi insidie anche per l’economia dei paesi interessati. Ancor più che in passato, al giorno d’oggi la manodopera giovanile è considerata cruciale per lo sviluppo delle nazioni. Il generale miglioramento delle condizioni di vita dovuto al progresso tecnologico ha portato ad un aumento dell’età media, così gli Stati dedicano sempre più attenzione al cosiddetto “indice di dipendenza”. Quest’ultimo misura il rapporto tra persone in età lavorativa inattiva e attiva – più precisamente, il rapporto tra persone con meno di 14 e più di 65 anni, e persone nella fascia di età 14-64. Attualmente, il dato riguardante Israele – pari al 66% di persone “dipendenti” dal lavoro di altri – risulta particolarmente alto: considerando le numerose perdite tra coloro che avrebbero dovuto costituire la prossima generazione, è prevedibile che i risultati imminenti saranno ancora più allarmanti. Inoltre, bisogna tenere conto che la maggior parte dei bambini potrebbe mostrare in futuro difficoltà psicologiche o relazionali a causa delle terribili esperienze a cui sono stati sottoposti, compromettendo la loro capacità lavorativa. Significherebbe far gravare il peso economico dei molti in età non attiva su un gruppo ancor più ristretto individui.
Anche in Ucraina il problema è molto simile. Qui il rapporto si ferma ad una percentuale più bassa, pari a circa il 50%. Tuttavia, è plausibile aspettarsi un’impennata dell’indice di dipendenza ancora maggiore a causa dell’emigrazione dei bambini verso la Russia e in zone più sicure. Un fattore molto importante che si andrebbe ad aggiungere alle perdite dei bambini-soldato. Le implicazioni di simili cambiamenti sulla crescita di questi paesi possono essere pesanti. Oltre alle gravi perdite in termini di identità culturale e generazionale, la piaga dei bambini-soldato rischia di affossare l’economia di nazioni al centro dei principali intrecci geopolitici attuali.