Intervista

«Da sempre i conflitti vengono vinti o perduti prima di tutto nelle menti dei contendenti. È perciò fondamentale la capacità della leadership (e di tutti i combattenti) di sapere, capire, decidere, agire e correggere.» La Difesa secondo il Generale Fernando Giancotti

«Occorre sviluppare una politica internazionale sofisticata. Essa deve essere basata su di un dibattito e una cultura della sicurezza e della difesa profonda e per quanto possibile condivisa, nel corpo sociale come nella politica e nelle istituzioni tutte – non solo in quelle direttamente preposte. Tale cultura è fondamentale per la sicurezza, la stabilità e la pace.»
«Da sempre i conflitti vengono vinti o perduti prima di tutto nelle menti dei contendenti. È perciò fondamentale la capacità della leadership (e di tutti i combattenti) di sapere, capire, decidere, agire e correggere.» La Difesa secondo il Generale Fernando Giancotti
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La difesa è un affare serio e complesso. I più recenti conflitti hanno messo in dubbio molti fondamentali della sicurezza in Italia, in particolare nella percezione dei cittadini. La difesa deve fare un salto di qualità per rimanere al passo con i tempi, ma il Paese non può mobilitare risorse come farebbero dall’altra parte dell’Atlantico. E forse non è solo questione di fondi. La soluzione è prima di tutto istituzionale. Ne discutiamo con il Generale Fernando Giancotti, invitato a dialogare con Dissipatio a Libropolis. Già Presidente del Centro Alti studi per la Difesa, docente al CASD come a Tor Vergata, è esperto di processi decisionali e leadership – i fondamentali su cui costruire la difesa del domani. Per Guerini e Associati nel 2008 ha pubblicato Leadership agile nella complessità. Organizzazioni, stormi da combattimento; mentre l’ultimo suo lavoro, sempre per la medesima casa editrice – Guerre di macchine. Intelligenza artificiale tra etica ed efficacia – analizza gli scenari futuri legati al rapido sviluppo dell’AI.

– Il 10 ottobre l’Italia ha “scoperto” dell’esistenza di UNIFIL. La missione a partecipazione italiana non era mai entrata nel dibattito pubblico sulla guerra in Medio Oriente. Ciò la sorprende?

No, proprio perché nel nostro Paese il dibattito sui temi della sicurezza e della difesa per la stabilità e la pace è stato storicamente carente per ampiezza, profondità ed efficacia. Tra cerimonie e celebrazioni e dissenso pregiudiziale di tipo ideologico, vi è un vasto e complesso territorio, nel passato perlopiù largamente inesplorato. Certamente le guerre drammatiche in atto hanno attratto l’attenzione sui temi; d’altro canto la profondità del dibattito e l’effettiva partecipazione dei portatori di interessi, cittadini in primis, è inadeguata alle sfide. Si tratta ora di far leva su questa più elevata attenzione per fare un salto di qualità.

– In quali luoghi ed ambiti si dispiega oggi la difesa italiana?

Innanzitutto, la difesa italiana si incardina saldamente nell’Alleanza transatlantica, ancora formidabile presidio della sicurezza dell’Italia e dell’Europa. Tuttavia, il concetto di una autonomia strategica europea emerge come rilevante, per due motivi. Esso rappresenta un’assunzione di responsabilità rispetto a ciò che si intende proteggere e dei relativi costi. Poi, insieme al principio di solidarietà dell’Alleanza, stabilisce un criterio fondamentale di autotutela, che afferma la priorità del bene supremo della sicurezza rendendolo indipendente da volontà e circostanze politiche esterne. L’autonomia strategica può essere per noi solo europea, perché i singoli stati dell’Europa sono sostanzialmente irrilevanti nei giochi al livello strategico globale, con i grandi attori emergenti, la nuova aggressività di competitori tradizionali e poste di grande magnitudine.

Una direzione in cui l’Italia può contribuire nella dialettica tra alleati è nell’utilizzo delle Forze Armate con una particolare attenzione verso la promozione della distensione, della stabilità e della pace. Le scelte sull’uso della forza sono molto delicate e difficili, tra il rischio di essere percepiti come deboli, erodendo la necessaria deterrenza, o come troppo aggressivi, incentivando la spirale della sfiducia, del riarmo e del conflitto. La nostra cultura, per motivi storici legata alla pace, può promuovere più di altre soluzioni negoziate e limitare i conflitti (sensato nel mondo dei conflitti complessi ed asimmetrici) se supportata da una lucida consapevolezza strategica.

– A quali luoghi e campi nuovi dovrà adattarsi in futuro la difesa italiana? 

Dove porteranno le imprevedibili dinamiche geopolitiche accennate non si può sapere esattamente. Dunque, a fianco della pianificazione tradizionale, fa premio “prepararsi ad essere sorpresi”. Va predisposto un sistema militare flessibile oltre che potente a sufficienza per confrontarsi con i pari competitori e con una vasta gamma di altre minacce nell’area del Mediterraneo allargato, dove gli interessi nazionali sono rilevanti: Nord Africa fino al Sahel, il Medio Oriente fino al Golfo Persico e all’Afghanistan (tenendo conto che in queste aree operano anche Russia e Cina).

Perseguire la dominanza decisionale è la scelta chiave, seppure di difficile realizzazione. Integrare secondo il concetto All Domain la gestione delle informazioni e delle decisioni attraverso tutti i domini militari (terra, acqua, aria, spazio, cyber), oggi ancora largamente compartimentati, è un passo irrinunciabile in tal senso. 

Infine una grande attenzione alle risorse per la sostenibilità delle operazioni è un elemento di sistema fondamentale, che problemi di bilancio e una percezione della minaccia insufficiente hanno storicamente fatto trascurare.

– In Italia esiste una cultura della difesa che permetta questo cambiamento? 

Come dicevo, nel nostro Paese un serio dibattito sul tema è in ritardo. Tuttavia, si nota un comprensibile salto di attenzione, per ciò che accade nel mondo. È il momento di investire in una serie di iniziative il cui scopo sia elaborare una visione quanto possibile condivisa. Questa deve essere declinabile, replicabile e scalabile nei più diversi e numerosi ambiti: quello tecnico-professionale della Difesa e del suo ecosistema collegato; la politica e le diverse istituzioni; l’economia e l’industria; soprattutto ai cittadini, poiché tutti in qualche modo partecipano alla responsabilità della sicurezza dell’Italia e dell’Europa che la comprende. Vi sono segnali promettenti in tal senso, con progetti in sviluppo. Questa intervista, come il seminario organizzato da MAGOG a Libropolis, stimola un dibattito costruttivo e magari acceso il cui prodotto sono isemi preziosi per questa crescita.

– Che ruolo pubblico dovrebbe giocare l’industria degli armamenti? 

L’industria della difesa dovrebbe partecipare alla leadership per lo sviluppo di questo dibattito, accettando che non tutto quello che emergerà gli farà piacere. Senza l’industria della difesa non vi è capacità di proteggere. Tuttavia esiste una tensione tra i valori di riferimento distribuiti nel corpo sociale e le attività di questa industria, spesso identificate come “mercato di morte”. È necessario spiegare come ciò non sia il caso, con una narrativa forte, convincente e mai ambigua, coerente e basata sui fatti. Tale narrativa deve essere aperta e dialettica, coinvolgendo coloro che la pensano diversamente. Una cultura etica, profondamente legata ai valori identitari su cui si fonda il sistema sociale, è una esigenza morale e funzionale chiave dell’industria della difesa. Credo che questo salto culturale sia necessario per un comparto maturo in una democrazia matura – comunque indispensabile a fronte di nuove sfide.

– In un paese nostro vicino, la Germania, sorgono problemi simili ai nostri. Da esperto di Germania, vede procedere la Zeitenwende? 

Le assicuro che in Germania i problemi in relazione alla cultura della difesa sono stati ben maggiori dei nostri, per comprensibili motivi. Ma so, parlando con le persone prima di tutto, che qualcosa di fondamentale è mutato nella testa della gente, in modo fulminante. L’invasione dell’Ucraina ha scioccato il popolo tedesco e ha radicalmente cambiato il paradigma. Il dibattito ora c’è ed è ampio ed acceso, anticipato da scelte politiche molto coraggiose. Ed è molto importante per la sicurezza collettiva, per il peso che la Germania ha in Europa.

– L’11 ottobre, a Cracovia, il Presidente Mattarella ha sostenuto con forza il bisogno di costruire una difesa comune Europea. In che consisterebbe un percorso del genere? 

Prima di tutto, posso dire e dimostrarlo con molti esempi che integrare le capacità militari non è difficile e funziona bene, se vi è la volontà di farlo. La grande sfida sarebbe integrare in un’unica organizzazione militare tutte le forze armate europee. Ma questo non è necessario, almeno per un prossimo futuro. Si possono realisticamente integrare la struttura di comando e controllo, la pianificazione, l’addestramento e le esercitazioni; si possono realisticamente promuovere la standardizzazione e prevedere funzioni integrate assolte da componenti dei vari paesi. Per decenni abbiamo operato insieme in moltissimi diversi teatri, addestrato piloti, gestito velivoli da trasporto e rifornimento in volo e molto altro, in tante singole imprese, con pieno successo. Costruire in tempi ragionevoli un sistema militare europeo basato sul principio di integrazione è possibile ed efficace ed è un’ottima base per procedere ad eventuali più ambiziosi traguardi. Il problema è politico: difendere fettine di una sovranità nazionale sostanzialmente sterile, poiché incapace di competere al livello strategico, o integrare davvero le capacità militari per proteggere efficacemente la sicurezza di tutti noi? Questo è un problema politico e deve essere al centro del dibattito che auspichiamo.

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