Ha fatto discutere il caso, avvenuto a febbraio, ma reso pubblico a fine maggio, di una scuola secondaria di primo grado in provincia di Treviso dove due studenti di religione islamica sono stati esonerati per volere del docente di leggere un passo della commedia di Dante, più precisamente il canto XXVIII dell’Inferno.
Il passo in questione, che qui di seguito riportiamo con le quattro terzine interessate dalla polemica, è quello riservato ai seminatori di discordia della IX bolgia all’interno dell’VIII Cerchio. I versi sotto accusa sono quelli in cui Dante interagisce direttamente con Maometto, dove quest’ultimo viene raffigurato come squartato, dal mento fino all’attaccatura dei capelli, in compagnia di Alì, il fondatore della dinastia sciita, suo cugino e genero.
Già veggia, per mezzul perdere o lulla,
com’io vidi un, così non si pertugia,
rotto dal mento infin dove si trulla.
Tra le gambe pendevan le minugia;
la corata pareva e ’l tristo sacco
che merda fa di quel che si trangugia.Mentre che tutto in lui veder m’attacco,
guardommi e con le man s’aperse il petto,
dicendo: «Or vedi com’io mi dilacco!
vedi come storpiato è Mäometto!
Dinanzi a me sen va piangendo Alì,
fesso nel volto dal mento al ciuffetto.
E tutti li altri che tu vedi qui,
seminator di scandalo e di scisma
fuor vivi, e però son fessi così.
Secondo la concezione intellettuale tomisitica di Dante, l’Islam era il frutto di uno scisma in seno al cristianestimo, proprio per questo Maometto e il suo successore Alì, erano sono stati inseriti in compagnia di altri scismatici, come Dolcino, predicatore millenarista coevo a Dante, accusato e arso al rogo per eresia. A questa scelta del docente si sono levate numerose critiche sugli organi di stampa nazionali. Il 27 maggio Maurizio Piccirilli, con un articolo su Il Tempo intitolato Santa ignoranza, quel Dante apprezzato anche dai musulmani, ha sostenuto che la colpa sia causata «dalla scarsa preparazione della media degli insegnanti italiani», dato che Dante è un autore letto, studiato, commentato e fatto oggetto di analisi filologiche e letterarie nel mondo culturale arabo-islamico, proprio per le affinità tra il viaggio ultraterreno di Dante e quello del Profeta. Piccirilli nell’articolo cita anche gli studi dell’arabista spagnolo del primo Novecento, Miguel Asin Palacios, che a Dante ed al suo rapporto con la cultura islamica ha dedicato un’importante studio dal titolo: L’escatologia musulmana nella Divina Commedia.
A quanto ha scritto Piccirilli, si può aggiungere anche lo studio magistrale che ha svolto la filologa Maria Corti sull’interazione che ebbe la cultura araba – e in modo particolare il Libro della Scala – nella struttura scenografica del Malebolge, illustrato nell’articolo pubblicato su Belfagor (a.L.1995), intitolato per l’appunto, La «commedia» di Dante e l’oltretomba islamico.
Il saggista Francesco Nembrini, in un articolo del 27 maggio sulla testata online Il Sussidiario.net, intitolato Studi islamici esentati dalla Divina Commedia, un errore che “dis-integra! noi e loro, si è domandato il perché di tale scelta da parte dell’insegnante. Secondo il saggista vi è una cultura distorta dell’integrazione da parte del docente in questione, «che non si fonda nel conoscere la tradizione, la mentalità, la storia culturale della gente fra cui vivi!».
Secondo Nembrini tale concezione causa due effetti: il primo è che vi è un principio di integrazione al contrario, che di fatto non è integrazione, che consente di cancellare una propria cultura; il secondo riguarda la cultura italiana, che ha come causa precipua quella di cancellare se stessa, che si conforma ai dettami della cancel culture d’oltreoceano. Di argomentazione differente, ma anch’egli polemico con la scelta del docente di estromettere i due studenti dalla lettura del citato passo dantesco, è stato Paolo Di Stefano, che con un articolo sul Corriere della Sera del 26 maggio, intitolato La scuola oscurantista che censura Dante, rivendica “la libertà inventiva” che ha la letteratura, rispetto alla religione. Aggiunge Di Stefano che lo stesso Dante, ha sì condannato Maometto, ma ha omaggiato Saladino e Averroè tra gli spiriti magni della cultura, insieme a personaggi del calibro di Orazio, Ovidio, Lucano tanto per citarne alcuni letterati classici latini.
La polemica ha trasceso l’ambito intellettuale e pubblicistico, riguardando direttamente anche l’istituzione. Infatti in una nota il ministro Valditara ha disposto un’ispezione per verificare e comprendere secondo quali presupposti siano accaduti i fatti, sottolineando che non è ammissibile cancellare uno dei testi uno dei testi fondamentali della letteratura italiana per cause di carattere religioso e culturale.
Un’altra osservazione che si può aggiungere, oltre a tutte queste di carattere letterario, culturale e storico, è quella che segue il paradigma della verità effettuale. Per fare ciò bisogna partire dai dati statistici: in Italia nell’anno scolastico 2022/2023 vi sono stati 7.1944.4000 studenti. Coloro che nascono da genitori che provengono dai paesi di cultura arabo-islamica sono il 9% del totale. In media uno studente su venti.
La domanda che è da porsi è perché solo a due alunni di religione musulmana non è stato fatto leggere il testo in questione mentre agli altri sì? Un’ipotesi plausibile è che il docente conosca la situazione familiare, sociale e culturale dei due studenti le cui famiglie di appartenenza potrebbero avere delle norme di condotta morali secondo precetti molto stringenti, dove si ritengono blasfeme le opere letterarie occidentali che trattano di Maometto. Davanti a tale iato culturale, pretendere di far discettare gli alunni sul ruolo che esercitò Averroè, in quanto commentatore di Aristotele medievale a cui Dante ha attinto e su cui ha fondato il suo pensiero filosofico-religioso, può sembrare velleitario e irreale.