L'editoriale

Finalmente anche noi siamo entrati nella "cognitive warfare"

Eravamo presenti alla prima all’Auditorium de "Il Nibbio" prodotto da Notorious Pictures con Rai Cinema e Tarantula in collaborazione con Netflix e Alkon Communication con la regia di Alessandro Tonda. Un film necessario, con il patrocinio della Presidenza del Consiglio e il supporto di istituzioni come il DIS, l’AISE, la Polizia di Stato, la Prefettura e la Questura di Roma.
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La storia, la conosciamo più o meno tutti quanti e la pellicola interpretata da Claudio Santamaria, Sonia Bergamasco e Anna Ferzetti, inquadra egregiamente i ventotto giorni precedenti i tragici eventi del 4 marzo del 2005, quando Nicola Calipari, Alto Dirigente del SISMI, sacrificò la propria vita per salvare quella della giornalista de “Il Manifesto” Giuliana Sgrena, rapita in Iraq da una cellula terroristica. E lo fa, con coraggio, senza fare sconti agli alleati americani. Ma ciò che conta, al di là di quello che sarà l’esito al botteghino, è il fatto che finalmente l’intelligence italiana ha fatto il suo ingresso nella “cognitive warfare”, cioè la guerra cognitiva. In sala, sulle piattaforme ma soprattutto nella testa delle nuove generazioni. 

Meno di un anno fa, sempre su queste colonne analogico-digitali, scrivevamo “Intelligence chiama Mamma Rai”. Più che un dispaccio era un invito a ragionare come i nostri alleati e/o competitor che negli ultimi anni hanno prodotto e realizzato dei capolavori seriali: da Homeland a The Spy, da Fauda a Le Bureau des Légendes, da Teheran a Slow Horses. E dunque, rendere visibile ciò che invece dovrebbe rimanere invisibile. Ma del resto esistono, in questa nuova frontiera della comunicazione, gli artifici della scrittura per depistare, dissimulare, dissolvere fatti realmente accaduti o persone realmente esistite. E a volte e ciò che si rivela più potente sul piano dell’immaginario. Non a caso ne “Il Nibbio” la scena più intrigante è quella che vede a un certo punto l’agente operativo italiano sul posto a Baghdad mentre mentre aggiusta automobili parlando in arabo con gli iracheni per poi parlare al telefono in napoletano dentro l’officina con i vertici dei servizi segreti a Roma. 

Di storie italiane di spionaggio, oltre a quella eroica di Nicola Calipari, ce ne sarebbero diverse da raccontare degli utlimi decenni Da quella di Amedeo Guillet, nostro Lawrence d’Arabia (e d’Africa) fino a quella del Colonnello Stefano Giovannone, enigmatico protagonista che fu al centro della diplomazia parallela negli anni Settanta, incaricato di gestire il delicato equilibrio tra l’Italia, l’OLP e Israele, nonché epicentro delLodo Moro (l’accordo segreto che evitò attentati in Italia).

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