Ci sono campeggi urbani di fronte ai principali atenei pubblici d’Italia, con decine di studenti che protestano contro il rincaro degli affitti delle sistemazioni per studenti. Effettivamente le statistiche sui canoni di locazione mostrano dei dati che sono una fotografia di una realtà che include nei numeri anche le zone più disagiate delle grandi città. Oggi la protesta è deflagrata con la complicità dei media, ed è un bene che il fenomeno sia passato alla ribalta delle cronache, perché il costo della vita nelle città, comprese le spese di alloggio, è diventato insostenibile.
Trattare del fenomeno abitativo è sempre più sottovalutato ma di importanza centrale, in virtù del fatto che oggi, causa anche inflazione, la quota di reddito da destinare alla casa aumenta sempre di più. È obiettivamente ingiusto che un individuo debba lavorare solo per tenere un tetto sulla testa, con la sola alternativa di restare a casa da mamma e papà – per chi ce li ha – altrimenti si deve rinunciare a vivere il proprio tempo libero.
Il Ministro Bernini pare essersi attivata per aumentare il numero di alloggi studenteschi disponibili, ed è sicuramente una buona notizia nell’ottica di prevedere una salvaguardia del diritto alla casa e allo studio delle fasce di popolazione meno abbienti, perché questo è quello che dovrebbe fare uno Stato sociale. Ma il fenomeno del caro affitti non deve essere solo circoscritto alle difficoltà di alloggi per gli studenti. Il problema, come sempre, è molto più vasto. Ed è curioso che nessuno, studente o giornalista, così come una vasta classe di pensatori oggi bersaglio del benpensiero, abbia individuato la vera responsabilità di questa spirale inflattiva.
Nel breve periodo, è evidente come i rincari dell’ultimo anno abbiano fornito un alibi di peso per i locatari, che hanno pensato bene di cavalcare l’onda dell’inflazione per giustificare un overshooting localizzato nel tempo dei canoni d’affitto, ma il problema è strutturato e non è sorto l’altro ieri. Uno dei fattori alla radice dell’impennata degli affitti è l’altissima domanda di alloggi a fronte di una – oggi – ridotta offerta di unità abitative, soprattutto nelle grandi città e nei centri che sono rinomate mete turistiche, causata dalla gentrificazione dei distretti urbani e adiuvata dal fenomeno AirBnb. La piattaforma nata come veicolo di home sharing ha dato una spinta decisiva al fenomeno del turismo non professionale, trasformando il mercato degli affitti di lungo periodo in un maremagnum di annunci di locazione a breve, generando possibilità di guadagno per i proprietari di immobili notevolmente superiori al passato. Dunque, dove prima c’era una casa che poteva generare una rendita di 500 euro mensili sul lungo periodo, oggi i guadagni si sono potenzialmente decuplicati.
La gentrificazione ha radicalmente mutato il volto di molti quartieri, specialmente in zone semicentrali, puntando su un pubblico di turisti più vasto in grado di spendere il loro denaro in locali e caffè alla moda dove prima c’erano piccoli esercizi di quartiere. Questo ha spinto la popolazione residente spesso fuori dai confini urbani, riducendone talvolta la qualità della vita. È naturale che non si possa parlare della gentrificazione come un fenomeno strettamente negativo, ma di certo ha generato una serie di esternalità negative a carico delle comunità residenti. In primo luogo, ne hanno risentito il decoro urbano e la gestione delle risorse e lo smaltimento dei rifiuti, facendo leva sulle differenze di costo tra utenze domestiche e commerciali/turistiche. La gentrificazione di AirBnb è l’ennesimo colpo che il privato infligge alla farraginosa burocrazia della pubblica amministrazione che non è in grado di fornire riqualificare le città, dal centro alle periferie.
In secondo luogo, osserviamo il colpo di coda del mercato degli affitti, che in città come Milano, ha avuto una crescita del 50% per euro per metro quadro dal 2012 a oggi. Affittare un immobile ad uso abitativo nel capoluogo lombardo oggi costa in media 22 euro al metro quadro, contro i 15 che servivano nel 2012 e addirittura i 14,3 che bastavano ad inizio 2014. La situazione meneghina è la più significativa da questo punto di vista, ma l’affollamento di mete turistiche come Roma, Venezia e Firenze evidenzia come il fenomeno del turismo di massa agevolato abbia generato spirali negative sulla sostenibilità economica, sociale ed ambientale delle città. L’unico – perlomeno – a reclamare una revisione delle pratiche di affitto di breve periodo è stato il sindaco di Roma Gualtieri, che nella capitale deve fare i conti con i problemi tipici della gentrificazione.
Passando quindi alla disamina delle soluzioni è opportuno discernere delle azioni di indirizzo politico che possano essere efficaci su larga scala. Ciò che il Ministro Bernini ha avanzato è una misura di estrema urgenza per cercare di rianimare quell’insignificante 3% di copertura della domanda di alloggi universitari da parte della popolazione studentesca, per far fronte così a esigenze legate alla possibilità di incentivare il diritto allo studio tra le fasce meno abbienti. D’altro canto, chi risente dei rincari degli affitti è quella sempre più sottile fascia media che si vede costretta ad affrontare surplus di spesa considerevoli per via della corta coperta del supporto pubblico, che giustamente attua pratiche di prelazione per le fasce di reddito più disagiate. Dunque, mettere un freno alle indiscriminate pratiche degli affitti di breve periodo a scopo turistico – o perlomeno una decisa regolamentazione del fenomeno – potrebbe supportare l’attuazione di politiche di housing volte alla tutela della popolazione residente e degli studenti fuorisede.