Haiti, misero e disgraziato ovest dell’isola di Hispaniola, uno dei paesi più poveri della Terra. Haiti, gli altri Caraibi, quelli senza le spiagge bianche per ricchi turisti occidentali e i cocktail con gli ombrellini colorati. Dallo scaffale della libreria casca in terra un volume, spinto giù da uno spettro invisibile. James Ellroy – Il sangue è randagio. Trilogia americana, ultimo atto. Scrittura frenetica – frasi come lame di rasoio, parole in rapida successione senza alzare il dito dal grilletto, lettere nella forma di proiettili. Oppure frasi come raffiche di mitra, parole come pallottole, lettere come gocce di sangue. Nel regno di Monsieur Le Presidént François Duvalier, Papa Doc, le Baron Samedi. L’Uomo Nero, boogeyman, El Coco.
Mètminwi: maître de minuit.
Haiti anni ’60: galli scotennati, sette religiose, eroina, machete, mosche carnivore. Politica e tirannia, superstizione e bizzarria.
Tonton Macoute sont vampires – Tonton Macoute sont zombies.
Stralci vudù dalle pagine haitiane di Ellroy grondanti corruzione, marcio, magia nera, droga:
“Sì, Haiti era vicina. Il Río Massacre, un nome quanto mai appropriato, tracciava la linea di confine. Smith citò Haiti e il vudù. Papa Doc Duvalier violentava Haiti così come Trujillo aveva violentato la Repubblica Dominicana. Trujillo era chiamato “il caprone”. Ordinava incursioni negli insediamenti haitiani nella Repubblica Dominicana. Questioni razziali. I dominicani bianchi avevano origini spagnole. Odiavano gli haitiani neri come il carbone, con la loro religione da inculatori di galli e l’amore dei francesi. Vudù. Il presunto libro dei morti. Lettere, numeri, simboli e matematica. Una traccia dell’omicidio della Casa dell’Orrore.
Sul ponte erano appostati alcuni Tonton. Indossavano divise con pantaloni a tubo, occhiali da sole avvolgenti e cappelli di paglia con la tesa stretta. Trasudavano savoir faire francese e anticonformismo da intellettuali neri. Superarono misere casupole, baracche dai tetti di lamiera rivestite con grosse lastre di cristallo di rocca, capanne di legno con foto di stregoni vudù appese alla porta. Sulla strada sporgevano dei rami da cui penzolavano galli sventrati. Alcuni grondavano ancora sangue. Sul ciglio apparve un negro con un copricapo di piume d’uccello che gettò loro una maledizione. Ogni dannato albero era contrassegnato con il sangue. Attenzione, Zona Zombie. Un negro fuori di testa sbucò fuori dal nulla e si piazzò davanti alla jeep. Era alto due metri. Doveva pesare poco più di sessanta chili. Aveva baffi alla Fu Manchu. Indossava un cappello violetto con la tesa stretta e un vestito di madras. Portava due calibro .45, due anelli di smeraldo e al collo un ciondolo di cristallo pieno di sangue. L’aria condizionata era fuori uso. Risalirono la Cordillera Central in una sauna mobile. Dai finestrini aperti entrava aria calda e insetti grandi come Godzilla. Varcarono il confine a sud di Dajabón. Un ponte dai piloni traballanti attraversava la Plaine du Massacre. Guardie di frontiera fascistas li accolsero salutandoli con la mano. Sulle rive haitiane c’erano alligatori stesi al sole, circondati da tibie umane.
Luc aveva una Lincoln del ’61. Sulla carrozzeria era raffigurata la storia haitiana. Demoni neri che impalano francesi bianchi. I cani di Luc che ne violentano le mogli. Il mantello di Baron Samedi copriva il cofano e i parafanghi. Sul bagagliaio un sorridente Papa Doc Duvalier. Al banco c’era un negro corpulento. Due frullatori mescolavano un liquido appiccicoso e su quattro piastre c’erano dei tegami dove bolliva della roba. Luc salutò con un inchino, il negro s’inchinò a sua volta. Parlarono in francese. Si toccavano gli anelli di smeraldo. Luc disse “Il est pariguayo”. Il negro versò una bevanda fumante in un calice. Crutch lo bevve d’un fiato. Bruciava. Sapeva di foglie secche e funghi. La vista gli si appannò e tornò limpida. Fece un rutto che gli fece tornare su gli ultimi dieci pasti, e inciampò su una sedia. La stanza sembrava ora tonda, ora quadrata, ora rettangolare. Specchi deformanti da luna park alle pareti riflettevano vorticosamente le immagini. Non riusciva a distinguere le immagini. Luc rideva. Il negro disse: “Pariguayo, oui”.
Crutch socchiuse gli occhi per vedere meglio. Mise a fuoco un muro nero, tappezzato di diagrammi raffiguranti tavole anatomiche. Gli organi interni erano evidenziati e trafitti da spilli. Crutch socchiuse di nuovo gli occhi. Un teschio assunse le sembianze di Wayne. Crutch si alzò per infilargli degli spilli negli occhi, ma non riusciva a muovere braccia e gambe. Luc e il negro ridevano. “La poudre zombie” disse il negro.”
Siamo a bordo di una nave con rotta verso Port-au-Prince, la capitale del regno nero nel golfo di Gonâve, cinquant’anni fa. Dal parapetto sul ponte, scorgiamo la piccola Storia di questo angolo dimenticato di mondo, che si racconta in un’allucinazione caraibica, a tratti macabri, assurdi, oltreumani, quasi fossero vicende fuoriuscite sul nostro pianeta da un universo parallelo, o dall’inferno. Questo è il dominio assoluto del presidente a vita François Duvalier, Papa Doc, le Baron Samedi. Prima però di arrivare alla grottesca e malvagia dittatura di Papa Doc, scrutiamo alcuni bagliori storici, all’acceleratore e odorosi di zolfo, per comprendere il milieu luciferino di Haiti. Cristoforo Colombo sbarca sull’isola di Hispaniola nel 1492 per piantare la bandiera della corona di Spagna. Alcuni membri dell’equipaggio vengono trucidati dai nativi. Gli spagnoli si vendicano negli anni successivi con la schiavitù, la repressione, le malattie europee. Sterminio totale degli indigeni, non è una novità nelle Indie Occidentali. Le catene abbondano ma manca la manodopera. Gli spagnoli importano schiavi dall’Africa. Arriva anche gente dall’Inghilterra e dalla Francia. Il Seicento delle Antille: i pirati dei Caraibi, bucanieri, corsari e filibustieri; nonché la mitica isola della Tortuga; echi salgariani ascoltati con le conchiglie sull’orecchio, come onde del mare che s’infrangono sulle rocce ingombre di relitti di vascelli carichi d’oro. I francesi strappano alla Spagna il controllo coloniale della parte occidentale dell’isola. Hispaniola si divide così in due fino ai giorni nostri: la parte ovest, Saint-Domingue che diverrà Haiti, francofona e nera, e la parte est, Santo Domingo, ispanica di lingua e di razza.
La colonia francese prospera, le floride piantagioni di zucchero e caffè arricchiscono i coloni grazie all’utilizzo massivo di schiavi africani. Ad Haiti vige una rigida piramide sociale e razziale. Al vertice ci sono i grand blanc, i latifondisti francesi, intoccabili, padroni. Seguono i petit blanc, commercianti, artigiani, funzionari di medio-basso livello, militari, negrieri. C’è poi il gradino dei mulatti e dei negri liberi, classe sociale che è suddivisa in altre 32 sottoclassi, basate sulla carnagione. 32 tonalità di négre. Più sei chiaro di pelle e dunque meno sangue nero hai nelle vene più in alto hai diritto di stare. Viceversa, più sei scuro, bronzé, più sei in basso. Sotto, troviamo il mezzo milione di schiavi, una massa di disgraziati trascinati dall’altra parte dell’Atlantico, messi sotto con la frusta. Provengono dalle più disparate etnie africane, si mischiano tra loro creando una nuova razza caraibica, le lingue e i dialetti d’origine si fondono tra loro amalgamati dal francese e ne esce fuori il creolo. L’animismo dei culti antichi si miscela con elementi del cristianesimo, sbocciando in sincretismo religioso; dalle coste dell’Africa Occidentale approda e si sviluppa il vudù o voodoo. Un popolo senza terra dalla schiena martoriata dalle scudisciate ritrova una nuova dimensione, e rinasce da capo, ma è una rinascita imposta da altri uomini che li hanno strappati dai loro luoghi, artificiale, in cattività. La forzatura etnico-geografica della schiavitù. Gli haitiani sono un popolo nuovo, creato contro la loro volontà. Rancore, odio, vendetta. I machete sono affilati. C’è già chi li usa: sono i cimarroni, al fondo della piramide, reietti e rinnegati, schiavi ribelli che hanno spezzato le catene e si sono dati alla macchia sulle montagne, diventando banditi spietati da sceneggiatura alla Tarantino. 1791, è tempo di rivolta; la burrasca rivoluzionaria della nuova Francia soffia dalla Bastiglia e investe anche la lontana colonia di Saint-Domingue. I neri sperano nell’abolizione della schiavitù. Rimangono delusi. Notte fonda d’agosto ai Caraibi fradici di pioggia e illuminati dai bagliori di fulmini, dalla foresta vicino a Le Cap giunge il suono ritmico dei tamburi rituali e strilli e litanie nell’oscurità.
Nella radura sacra di Bois Caïman l’houngan Dutty Boukman e la sacerdotessa mambo Cécile Fatima, mulatta con sangue corso nelle vene e con gli occhi verde smeraldo che brillano come fiamme di candela al buio e che vivrà per 112 anni, officiano la cerimonia vudù per la grande vendetta. Una folla di neri delle piantagioni dei grand blanc ha spezzato le catene, sono al cospetto di Boukman sotto la pioggia incessante e il vento che piega le palme; la luce dei lampi illumina onde di braccia, schiene nude e mani che impugnano lame ancora vergini; la mambo Cécile dagli occhi verdi danza frenetica posseduta in contorsione tra la folla spiritata; Cécile dagli occhi verdi è mossa da una forza soprannaturale, scossa da un entità invisibile che alleggia a Bois Caïman. Nelle vene della mambo scorre lo spirito di Ezilí Dantor, un Loa di congiunzione tra mondo umano e quello oltreumano, fiera protettrice delle donne, dei bambini e dei deboli. Si alzano sotto il temporale dei tropici alcune icone cristiane, rubate a mercenari d’Europa capitati quaggiù al soldo dei proprietari terrieri, come sarà negli anni successivi con la Vergine Nera di Częstochowa con due sfregi in viso, sottratta ai polacchi di Napoleone inviati a combattere all’estrema periferia dell’impero e scelta dai neri come rappresentazione di Ezilí Dantor; ma è solo una maschera pseudocattolica, una finzione devozionale per ingannare gli inquisitori e i preti della Chiesa Romana in missione per stanare i selvaggi blasfemi. Stato di trance, convulsioni nel fango, la mambo sputa spruzzi di liquore, le teste degli schiavi ondeggiano, tuoni e fulmini tra le palme. Un maiale creolo dal pelo nero viene spinto nel cerchio della sacerdotessa che armata di coltellaccio gli recide la gola con un colpo secco. Cécile dagli occhi verdi si lava la faccia nel sangue del maiale e si riempie le mani. Porge il sangue del maiale ad altri schiavi, si dissetano, si avvicinano alla gola recisa dell’animale con le mani giunte come se stessero per bere ad una fontana. Giurano di sterminare tutti i bianchi in nome del creatore supremo, Bondye, le Bon Dieu. Uno degli episodi più importanti della storia haitiana è quindi un’inquietante cerimonia religiosa. La rabbia nella colonia esplode folle cieca bestiale. Bruciano le piantagioni, gli schiavi assaltano le proprietà dei padroni, entrano di notte nelle loro ville e li massacrano. Haiti diviene una macelleria, un girone infernale dove la pazzia, brutale e primitiva, è collettiva. Come in quadro di incubo e follia di Hieronymus Bosch. I ribelli sono belve senza più guinzaglio e museruola e i francesi sono crudeli negrieri che non mostrano alcuna pietà verso coloro i quali considerano come esseri inferiori da usare come bestie da soma. E nel carnaio si infilano pure i mulatti più arrabbiati: è guerra razziale totale e di annientamento. Vittime e carnefici si scambiano i ruoli più volte, a seconda del momento.
Sui rami della foresta della Cordillera Central pendono appesi con ganci infilati sotto il mento i cadaveri dei colons con gli occhi cavati. Intere famiglie francesi sono fatte a pezzi dai machete, le donne e le bambine bianche sono stuprate fino alla morte. Si spingono a bere il sangue dei loro nemici pallidi, les vampires sont noirs. Nei poderi assaltati, macabre processioni avvengono intorno ai falò con le teste di bambini dei proprietari infilate sulle aste appuntite e i loro genitori scuoiati vivi per strappare loro quella pelle simbolo di superiorità, di potere, d’ingiustizia. Ma i grandi possidenti e gli altri blancs in pericolo di vita, sanno come difendersi, allenati da decenni di normale disumanità legalizzata. Oltre ai militari regolari dell’esercito di Francia, schierano bande irregolari contro-insurrezionali ben avvezze al massacro e al terrore. Le palme sono ornate di impiccati; i prigionieri sono dati in pasto ai molossi, i neonati gettati nel fuoco, crocifiggono esseri umani per dare l’esempio. Haiti brucia, le fiamme divorano capanne e piantagioni da zucchero, l’aria di morte si fa dolciastra. Gli schiavi hanno la meglio, i bianchi sono messi all’angolo. Intanto, l’onda d’urto della Grande Storia d’Europa, centro del mondo, investe anche i margini americani. Cade la testa mozzata di Luigi XVI nel cestino della ghigliottina, la reazione monarchica dell’Ancien Régime europeo reagisce, è guerra con la corona mercantile di Gran Bretagna e quella realista di Spagna. Viene abolita la schiavitù: inglesi, spagnoli e americani sono inorriditi dalla decisione di Parigi. Temono che quella nuova moda dell’uguaglianza possa contagiare anche il resto dei Caraibi e tutte le Americhe. Ci tengono ai loro schiavi. Le forze spagnole attaccano via terra, dalla parte orientale di Hispaniola, mentre gli inglesi sbarcano sulla costa. Le ricchezze delle coltivazioni haitiane fanno gola. Ma le giubbe rosse si ficcano in una trappola mortale, in sabbie mobili pestilenziali da cui non riescono ad uscirne. Oltre alla guerriglia e ad una situazione di violenza continua, c’è la malattia. L’isola di Hispaniola è infetta. Le putride pozzanghere della stagione delle piogge sono nidi ideali per gli eserciti volanti di zanzare untrici. Pungono e attaccano la febbre gialla agli inglesi che muoiono come mosche per il “vomito nero”: così hanno ribattezzato quella piaga biblica, quella maledizione da stregoni africani che tramuta i soldati in morti viventi, che si strozzano col loro stesso sangue e soccombono con i volti dipinti dalla pazzia.
Alba del XIX secolo, l’Empereur Napoleone Bonaparte è in lotta per terra e per mare contro l’eterna nemica Gran Bretagna, c’è un progetto di grandeur anche per le Indie Occidentali. Il contingente napoleonico si scontra con l’esercito haitiano (ora si tratta di forza militare efficiente e inquadrata, non come i ribelli vestiti di stracci degli anni precedenti) capitanato dal rivoluzionario e condottiero Toussaint Louverture e poi sostituito, quando quest’ultimo è catturato con l’inganno, da Jean-Jacques Dessalines. Il copione delle crudeltà è già visto. Da una parte e dall’altra non si risparmia nella gara su chi è più sadico. Alle decapitazioni di massa, i roghi umani, e le mutilazioni con instancabili accette che compiono i ribelli, ora indipendentisti a tutti gli effetti, i francesi rispondono con esecuzioni sommarie di civili di colore, con foreste di impiccati, con gli annegamenti collettivi, con l’uso di mute di mastini da guerra giamaicani addestrati a sbranare chi abbia la pelle scura e con l’invenzione dell’“affumicazione in bagni solforosi”, ovvero indurre la morte in simultanea per soffocamento a centinaia di prigionieri chiusi nelle stive delle navi, avvelenati dal fumo di zolfo bruciato: vintage Zyklon B e camere a gas antesignane. Nonostante la strategia di genocidio, i francesi perdono. Nel 1804 nasce lo stato di Haiti, libero e indipendente, la prima repubblica nera e la seconda nazione delle Americhe dopo gli Stati Uniti. Dessalines è nominato governatore a vita come sarà presidente fino alla morte il suo successore novecentesco François Duvalier, le Baron Samedi. Ma al predecessore non basta ancora. In un eccesso di megalomania tipico delle tirannie da operetta – sentimento evidentemente intrinseco da queste parti – il Dessalines si autonomina Giacomo I, imperatore di Haiti.
L’impero però è isolato da tutti: da tutte le importanti nazioni europee, che disprezzano quello scoglio lontano che ha osato ribellarsi al potere coloniale del mondo progredito e civile, dagli Stati Uniti, che vedono con orrore quell’esperimento di libertà negra, dalla Chiesa di Roma, che considera quei selvaggi come invasati anticristi. Scorrono poi tante vicende di problemi economici, di lotte tra haitiani e dominicani per il controllo dell’isola che sembra troppo stretta per due popoli diversi, di rivolte continue, di colpi di stato in successione iperattiva, di vessazioni dell’Ottocento e Novecento coloniali delle grandi potenze di Francia, Stati Uniti, Gran Bretagna e della Germania: tutti grossi squali a mordicchiare le velleità d’indipendenza del pesciolino Haiti, con cannoniere e rapine. Gli americani – ah les américains – in particolare a sguazzare invadenti nel Mar dei Caraibi, considerato come piscina di casa loro, impongono le loro banche nelle cose finanziarie haitiane, invadono l’agricoltura locale con le grandi compagnie, esigono ed ottengono concessioni, e inviano i marines. Decisamente razzisti e predatori, gli yankee s’installano per decenni, facendo i padroni con la forza delle armi. Mantengono il controllo doganale di Haiti fino a dopo la seconda guerra mondiale.
Ed ecco che nella ricca e violenta storia di questa piccola nazione caraibica appare il nostro Baron Samedi. Lui, stravagante incrocio di dittatore e stregone, bizzarra entità di potere e superstizione, padre padrone del suo popolo che soggioga con il bastone e la paura, incarna una figura di despota da romanzo più che di Storia. François Duvalier di Port-au-Prince, tiranno vudù, inizia la sua carriera come medico di campagna. Come tanti neri porta rancore, anzi proprio odio, nei confronti degli Stati Uniti che hanno occupato la sua patria e favorito un sistema di apartheid razzista. Il giovane dottore di provincia, al lavoro in villaggi di abissale miseria, prepara la sua pozione magica per il futuro controllo dello stato, il filtro del potere di Papa Doc. Filtro magico del potere di Papa Doc: profonda conoscenza del vudù, abilità medica nel curare i suoi pazienti, orgoglio nero e per le radici africane, disprezzo per i rivali mulatti, letture approfondite di Storia, di politica, di strategia, e un’esagerata ambizione megalomane. Shakerare, versare, togliere l’ombrellino di guarnizione, tracannare il filtro magico tutto d’un fiato. Grazie alla penicillina cura la povera gente afflitta dalla framboesia, un brutto morbo della pelle che colpisce soprattutto i bambini e li affligge con bubboni ed eritemi fino a scassarli le ossa, contagiati da sporcizia e mosche infette. Il dottor Duvalier è in gamba va detto; salva moltissime vite, è l’eroe buono che vince la malattia e getta le basi del consenso e per quell’aura soprannaturale che sarà elemento fondamentale del suo personaggio autocratico. Per i neri umili e ignoranti il dottore è un mago, uno spirito vudù che li salva e li protegge, Papa Doc è un semidio. Nel 1946 è Ministro della Salute, e dopo vari scompigli politici si presenta alle elezioni del 1957, e le vince con l’occhiolino dell’esercito. Duvalier è Monsieur Le Presidént. Ma i nemici sono ovunque, e la paranoia è la sentinella a guardia del potere. I mulatti vengono estromessi dai posti chiave. Le forze armate sono epurate dagli ufficiali poco affidabili. Crea la sua milizia di pretoriani, nasce nel ’59 la MVSN; ohibò, omonimia paramilitare con la nostrana fascista Milizia Volontaria Sicurezza Nazionale, ma non prendiamo un granchio, non c’entra nulla perché qua sono picchiatori di colore con gli occhiali da sole perennemente indossati della Milice de Volontaires de la Sécurité Nationale, bruti con machete ben affilati e i revolver carichi. Sono gli sbirri di Duvalier, i suoi mastini in borghese con cappelli di paglia camicie in denim e lenti scure, sono i tenebrosi Tonton Macoute. I Tonton Macoute sono figli della notte haitiana, il loro nome è quello del Tonton Macoute, l’Uomo Nero che rapisce i bimbi cattivi e se li porta via in un sacco, the boogeyman, l’equivalente vudù dell’italiano Babau che terrorizza i monelli disobbedienti.
La gente comincia a sparire. I Tonton Macoute si nascondono nelle tenebre della notte e rapiscono gli indesiderati. Stuprano per punire. Uccidono. Bruciano i dissidenti con la benzina. Li seppelliscono vivi. Esibiscono i cadaveri dei sovversivi sugli alberi, come monito in putrefazione, e impediscono ai parenti di seppellirli. I cenciosi e analfabeti abitanti di questo putrido marcescente camposanto tropicale temono i fantasmi malvagi di Papa Doc peggio della morte. Non sono uomini normali, sono spiriti della vendetta del presidente. Haiti, il cui entroterra è una pozza purulenta di acqua malsana, malarica, dove le mosche s’ingrassano con la carne di uomini e donne macellati nella foresta, mentre s’odono nenie e urla indemoniate di liturgie che noi non conosciamo, non capiamo e che ci spaventano, come vedere galli sgozzati, donne contorcersi nella polvere possedute da spiriti che ignoriamo, nelle danze tra le lapidi, nelle leggende sugli zombie, nei disegni veve fatti sul pavimento con farina di mais per rappresentare con linee e croci le forze astrali. Vudù o voodoo, qua e adesso asservito agli scopi politici di Duvalier; il potere spirituale che si mescola come sangue caldo al potere temporale per stordire e allucinare un popolo intero con una droga di stato. Soggiogazione: al vertice c’è il presidente-papa, Papa Doc, che si presenta ai suoi sudditi e fedeli con le vesti del Baron Samedi detto anche Baron Cimetière, Baron La Croix, Baron Krimminel, guardiano dei cimiteri e custode dei morti, il Loa dell’aldilà ma pure dell’aldiquà, in completo nero da becchino, borsalino o addirittura cilindro, è signore del regno dei defunti, lui è lo spirito che decide chi resta e chi no nel mondo dei vivi. La società segreta Bizango è la più importante setta-confraternita di Haiti. Ha origine in Africa occidentale. In nessun tempio della società segreta manca un ritratto di Papa Doc, la guida suprema. La bandiera è rossa e nera: il sangue e la notte. Gli stessi colori della bandiera nazionale. Bizango controlla il paese attraverso una gerarchia parallela dell’aristocrazia vudù. Oggetti di scena: icone rapite al mondo cattolico, cuori trafitti da spilli, lame, bottiglie di rum, pale da becchino. Il loro motto è “Ordine e rispetto per la Notte”. L’ordine della notte; la notte è l’habitat e terreno di caccia dei demoni Tonton Macoute, i lupi mannari, gli zombie. Gli haitiani ci credono.
Vediamo il presidente in vecchi documentari inglesi seduto a bordo di una gigantesca limousine Mercedes, un lungo carro funebre che sfreccia per strade polverose, con la sua carabina personale M1 appoggiata alla portiera, e fermarsi nelle cittadine del suo impero tascabile, circondato da militari, poliziotti, lacchè, tizi asciutti in eleganti completi anni ’60 assomiglianti a gangster marsigliesi di colore armati di mitra americani con cui giocherellano camminando nervosi su e giù, scrutando tutto e tutti da dietro Ray-Ban neri. Lo vediamo tirare fuori dalle tasche rotoli di dollari e donare elemosine ai questuanti che inneggiano il suo nome “Du‐val‐yeah, Du‐val‐yeah!” mentre corrono dietro al corteo presidenziale schizzati dal fango delle pozzanghere. Nel sonno di lenzuola sudate, tormentato da afa e zanzare, il Baron Samedi ci appare in un incubo, tra le croci delle tombe sotto la luna piena, e ride coi denti bianchi seduto su una lapide con su scritto Haiti.
Il regime si consolida con il terrore, la corruzione, la negritudine d’Africa come sentimento d’orgoglio e appartenenza, lo spauracchio dell’eterna nemica Santo Domingo con cui catalizzare il patriottismo in una guerra fredda stracciona tra gli abitanti disgraziati di Hispaniola. L’apparato si regge anche e soprattutto grazie agli aiuti esteri che invece di essere impiegati nei programmi di sviluppo finiscono divorati da Duvalier e dalla sua cerchia di cortigiani privilegiati. Papa Doc odia con sincerità il presidente americano John Fitzgerald Kennedy perché ha chiuso i rubinetti delle regalie nordamericane e quando verrà ucciso a Dallas nel palazzo di Port-au-Prince si fa festa; m’immagino il Baron Samedi ballare il Limbo nella sala del trono. Dirà che Kennedy è morto per via di una sua maledizione vudù. Con gli americani c’è un rapporto ambiguo. Anche se non li può vedere, e gli americani non possono vedere lui, hanno bisogno reciprocamente l’uno degli altri. Lui ha bisogno dei loro dollari, tanti, non bastano mai; loro hanno bisogno di un altro baluardo anticomunista nei Caraibi, Cuba è vicinissima. Quindi, ci si accontenta di quel che passa il convento, e chissenefrega degli ideali di orgoglio nero terzomondista da una parte e di quelli di presunta libertà democratica dall’altra. Realpolitik mignon in salsa creola.
La dittatura diventa psicotirannia già dal ’59, in quello che è l’episodio del cortocircuito cerebrale di Papa Doc. Il leader ha un attacco di cuore, collassa, rimane in stato comatoso per nove lunghe ore: chissà quali spiriti Loa gli han fatto visita nel limbo tra la vita e la morte. Il Baron Samedi si risveglia dal sonno nella cripta, è tornato dall’oltretomba. Il suo medico personale è convinto che abbia avuto seri danni cerebrali durante l’attacco e che ciò abbia irrimediabilmente compromesso le sue facoltà mentali. Psicotirannia.
Sopra la sua testa pendeva il ritratto di Papa Doc, il ritratto del Baron Samedi. Vestito con il suo frac nero di stoffa pesante da cimitero, ci guardava attraverso le spesse lenti dei suoi occhiali con sguardo miope e inespressivo. Di lui si diceva che amasse osservare di persona la lenta morte delle vittime dei Tonton. Lo faceva senza mutare l’espressione degli occhi. È probabile che il suo interesse per la morte fosse di tipo medico.
Durante il ricovero e la convalescenza ha affidato i poteri ad interim al suo braccio destro e capo dei Tonton Macoute e della polizia segreta, Clément Barbot. Quando Duvalier torna al lavoro ad occupare la poltrona di signore assoluto punta il dito contro il suo fedele luogotenente, che finisce in catene nella tremenda fortezza-prigione coloniale di Fort Dimanche, soprannominata dagli haitiani con un sinistro “Fort Lanmò” (Fort la Mort) dove ci sono camere di tortura e vasche per i bagni nell’acido solforico. Barbot viene rilasciato nel ’63 e assieme al fratello non perde tempo, subito torna a complottare contro il suo vecchio padrone. Vorrebbe rapirgli i figli ma i cospiratori falliscono e coi machete inizia la caccia all’uomo sulla costa, nelle campagne, sulle alture. I Tonton circondano e prendono d’assalto una casa che serve ai ribelli come deposito d’armi e dove si crede possa essersi nascosto Barbot. I mitra sparano all’impazzata sul legno della casa, rendendola groviera. Mollano i grilletti, odore di polvere sparo, silenzio nella selva. Si apre lenta la porta crivellata, esce fuori ululando un vecchio cane nero. I Tonton si fanno nervosi, sono spaventati. Una mambo cieca mormora all’orecchio di Papa Doc che il traditore si è trasformato in un cane nero per sfuggire alla cattura. Monsieur Le Presidént allora ordina lo sterminio totale di tutti i cani neri di Haiti. Infine, i babau Tonton Macoute scovano in una piantagione di canna da zucchero il loro ex capo caduto in disgrazia (questa volta con fattezze umane e non canine). Appiccano il fuoco per stanarlo, e appena sbuca fuori dal fumo lo ammazzano. Tanti altri faranno la sua fine negli anni seguenti, nell’ordine delle decine di migliaia. Come quella volta nel ‘67 in seguito al tentativo di golpe covato da membri della guardia presidenziale, ed eseguito con un fallimentare attentato dinamitardo a palazzo, quando lo spirito Loa del Baron Samedi fa infuriare il suo ospite terreno Duvalier, e diciannove ufficiali vengono messi al muro senza troppe cerimonie. Dopo qualche giorno, durante un discorso pubblico, con sadico humor nerissimo, Monsieur Le Presidént comincia a leggere un foglio delle presenze in cui compaiono i nomi dei 19 fucilati. Ad ogni nome che legge, segue il commento: “assente”. Ed infine, sorridendo alla platea, conclude con un lapidario: “sono stati uccisi tutti quanti.” Oppure quando fa imbottire di piombo il capitano golpista Blucher Philogenes che si dava arie da uomo immortale. Gli tagliano la testa, la mettono al fresco in un secchio di ghiaccio e la consegnano a Papa Doc, che la custodirà come una reliquia nel suo armadio. Qualcuno dice che la testa gli serve per mettersi in contatto con lo spirito del morto –comunicare tramite atto necrofilo di sesso orale con una testa mozzata: il punto più assurdo di questa storia assurda; confidiamo sia un’esagerazione macabra, uno scherzo di orrido gusto ai posteri, sarebbe troppo demenziale e orripilante pensare a quel vecchio piccoletto gobbuto coi capelli tinti di bianco, con le braghe calate e le gambette nere storte, darci dentro nel suo studio presidenziale con la testa del golpista Philogenes.
La fisicità dello psicotiranno ben caratterizza il personaggio, ibrido storico di bizzarria e oppressione. Il Signore di Mezzanotte è basso e storto in completo nero e camicie inamidate; cammina lento con gesti molli. Si rivolge con un timbro di voce pacato, nasale come farebbe Baron Samedi, il suo alter ego vudù. In un’intervista, rare volte guarda negli occhi chi gli fa le domande. Quando lo fa, scruta curvo il giornalista, di sottecchi dietro la spessa montatura degli occhiali, di storto, ma senza smettere di sorridere serafico e con una sorta di umiltà simulata, come un pretino di campagna. Ha quell’occhietto furbo e sottile, sfuggevole, fasullo; alle domande poco gradite risponde calmissimo, ma chissà cosa frulla in quella testa, vuole forse dare una carezza bonaria all’intervistatore inglese o sta fantasticando su come sarebbe bello vedere quella testa bianca d’Albione infilata sulle punte del cancello presidenziale?
Il delirio di onnipotenza è una bestia famelica che il suo padrone alimenta senza parsimonia; dire che si monta la testa è riduttivo. Il potere del Baron Samedi degenera in esaltazione mistica. Si proclama dinnanzi al suo popolo come un’entità immateriale e sovrannaturale, divina. Vengono affissi manifesti in cui Gesù Cristo poggia la mano sulla spalla a Papa Doc seduto, con la buffa didascalia: “L’ho scelto”. Riscrive le preghiere delle chiese cristiane per i suoi fini, inserendole nel “Catechismo della Rivoluzione”:
Papa Doc Nostro, che regni nel palazzo della Nazione, sia santificato il tuo nome, dacci oggi la nuova Haiti, non perdonare mai i peccati dei nemici della Patria che sputano sul nostro Paese, lasciali soccombere nelle tentazioni, e sotto il peso del loro veleno, NON liberarli dal male.
Preghiera al presidente dal Catechismo della Rivoluzione
Nel ’64 si elegge presidente a vita; il souverain compare al balcone sopra la folla di sudditi sottomessi, in completo nero d’ordinanza e in francese demodé strascicato pontifica a loro che il dottor Duvalier è un gigante che può eclissare il sole. Espelle preti non graditi, il Vaticano di contro, inorridito da vudù e dai suoi modi di fare da pontefice stregonesco, lo scomunica. Lui se ne fa un baffo, tanto continuano ad arrivare puntuali e generosi gli aiuti stranieri, americani soprattutto, con cui costruire quel guazzabuglio di cemento e ruberie di Duvalierville, oggi cittadina di Cabaret, classica cattedrale del deserto e tipico esempio di culto della personalità in mezzo alle sterpaglie; mai compiuta, un parto di spreco e megalomania tra ciuffi di erbacce e muri crepati. I poveracci si devono accontentare a marcire nelle catapecchie di ruggine di luridi sobborghi come quello di Cité Simone (così battezzata in onore della first lady Simone Ovide Duvalier e ora rinominata sarcasticamente Cité Soleil), dove rigagnoli di fogna scorrono tra ratti, marmocchi vestiti di stracci e maiali creoli grufolano nell’immondizia.
Alla fine però, anche per il Signore di Mezzanotte, Loa astrale di congiunzione tra il mondo dei vivi e quello dei morti e padrone delle vite degli haitiani, arriva la sua ora. Prima di esser seppellito, designa il figlio diciannovenne, Jean-Claude, come guida della nazione: si consolida la monarchia vudù per diritto di sangue nel cuore dei Caraibi. Francois Duvalier, il Baron Samedi, muore il 21 aprile del 1971. I sontuosi funerali di stato sono programmati per il 24 di aprile, salma in frac nero e papillon bianco. È il giorno in cui il Baron Samedi visita i cimiteri affamato di cadaveri. Numerologia dello psicotiranno morto: la guardia d’onore attorno alla bara è formata da 22 Tonton Macoute e 22 soldati. 22. 22 ottobre 1957: presidente di Haiti. 22 novembre 1963: Kennedy è assassinato a Dallas e a Port-au-Prince Papa Doc brinda a champagne. 22 giugno 1964: le souverain è presidente a vita e pure oltre. In segno di rispetto, il famoso Hotel Oloffson della capitale non ha la camera 22. 22: numero presidenziale, privatissimo.
L’erede dell’impero, un ragazzo cicciottello non particolarmente brillante, si ritrova suo malgrado alla guida di uno dei paesi più disastrati del pianeta. Se il padre era Papa Doc, lui è Baby Doc. Delega il governo alla madre Simone, la vedova Duvalier, e al pericoloso Luckner Cambronne, ministro degli interni e della difesa, nonché boss dei Tonton Macoute. La psicotirannia diviene mafiatirannia. Sprechi mostruosi e ruberie di Stato portano il clan Duvalier ad arricchirsi senza pudore. Il monopolio del tabacco è dominio di Baby Doc. Il rampollo si sposa con una mulatta dell’aristocrazia terriera, Michèle Bennett Pasquet, attraente scialacquatrice e abile manipolatrice. I neri si sentono offesi, traditi con i mulatti, rivali da sempre. Le società segrete vudù tramano, i Bizango tolgono i ritratti dei Duvalier dai templi. Il caffè è nelle mani di una cerchia ristretta di famiglie. Sulle piste d’atterraggio arrivano e partono stock di cocaina. Si traffica. Girano mazzette alte così e ventiquattrore ben farcite. Al palais si organizzano party. Milioni di dollari nel camino e nei conti del presidente, della moglie, dei parenti, degli amici. Gioco dei contrari haitiani, parole in antitesi tra il marmo e la merda: champagne e acqua infetta, collier di perle e galli sgozzati nel fango, chirurgia plastica e mortalità infantile, jet di stato e AIDS. La fantasia di James Ellroy non esagera, dopotutto. Anzi, la realtà supera la fantasia con il Tonton Luckner Cambronne e lo scandalo del “sangue nero”. Una storia nella storia che merita di essere raccontata. Il favorito Cambronne, numero due del regime, boia navigato ed estorsore patologico, è conosciuto con il nomignolo di “The Shark – lo Squalo”, non tanto per la voracità che dimostra in innumerevoli racket, bensì per il proprio stile personale nel vestire. Ama difatti sfoggiare completi su misura in pelle di squalo, molto lisci al tatto. Ha anche un altro soprannome: “Il Vampiro dei Caraibi”.
“Un buon duvalierista è pronto ad uccidere i suoi figli per Duvalier e si aspetta dai suoi figli che siano pronti ad uccidere i genitori in nome di Duvalier.”
Luckner James Cambronne: “Il vampiro dei Caraibi”
Io credo che il romanziere americano James Ellroy si sia ispirato a lui per il suo personaggio haitiano Luc:
Aveva baffi alla Fu Manchu. Indossava un cappello violetto con la tesa stretta e un vestito di madras. Portava due calibro .45, due anelli di smeraldo e al collo un ciondolo di cristallo pieno di sangue.
Il Vampiro ha fame di soldi; il Vampiro ha sete di sangue. Fa comunella con un altro ceffo uscito fuori da un romanzo: il francese André Labay, ex medico, un barbouze dell’OAS – Organization de l’armée secrète, la formazione eversiva paramilitare che lotta cocciuta contro la fine della Francia coloniale e il generale Charles de Gaulle. Un mercenario, produttore cinematografico, trafficone internazionale, globe-trotter di trame e cospirazioni, contrabbandiere di stupefacenti, amico di mafiosi italo-americani del calibro di Joseph Bonanno detto Joe Bananas, sicario, agente dei servizi segreti francesi SDECE e riferimento principale ad Haiti per le spie di Parigi, amante della sorella di Baby Doc … Labay s’ingegna uno strano affare di francobolli d’oro con l’effige di Duvalier Senior in un’originale triangolazione del malaffare Haiti – Stati Uniti – Grecia dei colonnelli; cadrà in disgrazia a Parigi, quando fermano sugli Champs-Élysées il suo Maggiolino Volkswagen con oltre un quintale di eroina purissima nel bagagliaio. Il Vampiro e il barbouze fuggito dalle pagine de Il giorno dello sciacallo di Frederick Forsyth creano a Port-au-Prince la “Banca del sangue nero”. Acquistano per tre dollari sangue da donatori poverissimi. Rivendono a prezzo esorbitante il sangue haitiano alle cliniche americane e svedesi. Il sangue degli haitiani adulti è d’annata, pregiato, di lusso. Ad Haiti il tasso di mortalità infantile è drammatico, e i fortunati che vivono l’età adulta sono considerati donatori particolarmente robusti, scampati a malattie e disgrazie; ergo, il loro sangue è prezioso. Ma il Vampiro non è ancora dissetato. Traffica anche in cadaveri. Li spedisce alle università americane. Se manca la materia prima li fa trafugare dalle pompe funebri. Spesso gli haitiani scoprono durante il funerale dei cari estinti che la bara è vuota. Il morto è fuggito. Zombie! E se anche i becchini non riescono a soddisfare l’alta richiesta, beh, c’è sempre l’opera dei suoi Tonton Macoute. È la versione tropicale del racconto gotico Il ladro di cadaveri di Robert Louis Stevenson. Il Vampiro ha fame e sete; si bisbiglia che in certi hotel vengano serviti piatti di carne umana: l’horrortirannia. Viene esiliato a Miami, dopo che scoppia lo scandalo, troppo persino per Baby Doc, e perché Luckner Cambronne si trova nel mezzo di una lite di gelosia a palazzo: è amante della sorella del presidente Marie-Denise ma anche della mamma presidenziale, la Mama Doc Simone.
L’incubo vudù della dinastia del Baron Samedi svanisce nel 1986, dopo quasi trent’anni di dominio. Nelle strade della portuale Gonaïves, città dell’indipendenza dove Jean-Jacques Dessalines proclamò la nascita di Haiti il primo gennaio 1804, gli arrabbiati e gli affamati scendono in strada per inscenare un finto funerale con una bara su cui è scritto: “Jan Clod Min Place Ou – Jean Claude il tuo posto è qui”. È la fine, il potere della dinastia Duvalier crolla.
Haiti è una piccola nazione americana ma ha una Storia incredibile, ricchissima di aneddoti anche orribili, un buco marcio dal passato che si racconta con sceneggiatura e scenografia decisamente pulp. Studiarne gli eventi stordisce di una strana febbre che lascia madidi di sudore malsano; è Storia sotto l’effetto di un potente allucinogeno che porta ad un brutto viaggio di sangue, follia, vudù, deliri di onnipotenza e cimiteri.
Un giorno il mausoleo di Papa Doc a Port-au-Prince viene assaltato, il sepolcro violato. Uomini trafugano le ossa di Monsieur Le Presidént, si presume a scopi vudù. Il Baron Samedi risorge dalla tomba e si aggira in frac e cilindro nero nel mondo dei vivi.
Haiti, allucinazione caraibica.