OGGETTO: Tolstoj alla guerra
DATA: 03 Marzo 2022
SEZIONE: Storie
FORMATO: Racconti
AREA: Europa
Nel settembre 1854, dalle coste bulgare, inizia l’invasione della penisola della Crimea, e un agguerrito contingente anglo-franco-turco sbarca con obiettivo Sebastopoli.
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Sebastopoli: una storia di mare e di guerra. Si trova sulla punta sud-occidentale della penisola russa di Crimea ed è un’importante base navale della Federazione; qui ha sede il quartier generale della Flotta del Mar Nero della marina militare di Mosca. È una città marinaia, è una città guerriera. Nacque greca con il nome di Cherson, se la prese Roma, fu passata in eredità a Bisanzio ma fu lascito certamente vitale ma talvolta scomodo, perché capoluogo insofferente e ribelle; passò quindi a Trebisonda, ramo bizantino dell’Anatolia costiera sull’intercontinentale Via della Seta taglieggiato dai pericolosi vicini tataro-mongoli dell’Orda d’Oro, gente dalla corda dell’arco facile e con il saccheggio nel sangue; divenne colonia di Genova Dominante Superba su Costantinopoli che fece del Mar Nero il suo “lago genovese”; poi l’ombra ottomana della Sublime Porta si mangiò Cherson, le colonie genovesi e il Principato di Teodoro in disintegrazione; si dovette attendere tre lunghi secoli per una nuova fondazione e la rinascita della città con il nuovo nome russo di Sebastopoli per volontà del principe generale Potëmkin sotto la benedizione della zarina Caterina II di tutte le Russie, vincitrice contro i turchi dei sultani Abdül Hamid e Selim III  detto “il Compositore”. La nuova Sebastopoli Sevastopol,assume alla fine del XVIII secolo la vocazione che ancora oggi la contraddistingue: solida guarnigione di marina militare e importante porto commerciale. Mare, dunque, mare russo. Passeggiando al tramonto sul lungomare sulla baia, verso lo scoglio con la colonna sui cui poggia l’aquila del Monumento alle Navi Affondate, simbolo cittadino tra le onde e i gabbiani che ricorda i velieri russi perduti durante la Guerra di Crimea di metà dell’Ottocento, si aprono visuali storiche. Sono feritoie della torre del presente da cui guardare verso i panorami del passato.

Guerra d’Oriente (1853-56), casus belli – causa formale: controllo dei luoghi sacri della cristianità in territorio ottomano. Terra Santa. Gerusalemme, Betlemme, Nazaret. Dio lo vuole. I porporati di Roma anche. I metropoliti slavi pure. Lo zar autocrate per mandato celeste rivendica il ruolo di protettore della terra di Cristo. Napoleone III, il nipote (illegittimo come si è appurato nel 2014) di Napoleone I, golpista impenitente adesso finalmente anche lui Empereur reclama a sé il diritto di difensore cattolico della croce in Palestina.

Guerra d’Oriente, motivi geopolitici – causa informale: l’Impero Ottomano è un vecchio gigante decrepito, diversi analisti dell’epoca ritengono che sia prossimo allo sfacelo totale. Il presunto prossimo crollo fa gola a molti. Sul tavolo verde della geopolitica ci sono i Balcani che nel futuro vicino potrebbero essere vinti dai giocatori più forti, scaltri e ambiziosi; ma anche le isole dell’Egeo, le regioni del Vicino Oriente, la Mesopotamia, le coste mediterranee di Levante, l’Egitto, la Cirenaica, la Tripolitania, la Tunisia il Golfo Persico, il Mar Rosso … che piatto potrebbe essere! Lo zar Nicola I, sicuro dell’imminente caduta della Sublime Porta, non vuole perdere una ghiotta occasione per accaparrarsi Bessarabia e Balcani. E non dimentichiamoci della secolare e strategica importanza degli stretti dei Dardanelli e del Bosforo; chi controlla quei passaggi tra il Mar Nero e il Mediterraneo, ha in mano le rotte commerciali di tutta l’area, di Costantinopoli, e della Turchia intera. Arterie vitali.

Guerra diplomatica: i caffetani del Sultano Abdülmecid e dei suoi Gran Visir sono strattonati dagli ambasciatori di due diversi schieramenti. Gli ottomani cedono ai francesi, le cannoniere della loro flotta fanno paura. Napoleone III è ufficialmente il protettore dei luoghi della cristianità in territorio ottomano. Prestigio francese, esclusione russa. La scintilla accende la miccia. Escalation rapida inesorabile. Nicola rivendica gli stessi diritti come alfiere della fede ortodossa. Movimenti di truppe ai confini imperiali. Minacciose parate a Sebastopoli. I russi vanno in missione diplomatica a Costantinopoli per far cambiare idea ai turchi. I turchi rifiutano. Interviene Londra a gamba tesa, gli inglesi inviano la propria flotta a sostegno di quella di Napoleone III. La fiammella scorre bruciando la miccia. Lo zar ordina di occupare la Moldavia e la Valacchia. La miccia brucia in accelerazione. Ultimi tentativi delle diplomazie per fermare l’esplosione. Fallimento delle trattative: i turchi si sentono al sicuro sotto la protezione di Londra e Parigi, è in gioco la loro stessa sopravvivenza come impero. Il Sultano fa la sua mossa, e dichiara guerra alla Russia il 4 ottobre 1853. Detonazione! Battaglie terrestri sul Danubio, ecatombe di marinai ottomani sul Mar Nero. È la Guerra d’Oriente (1853 – 1856) che viene ricordata come guerra di Crimea perché fu nella penisola che si combattono le principali e decisive battaglie del conflitto. Alle truppe ottomane, francesi e inglesi si uniranno poi i nostri bersaglieri del Regno di Sardegna, il cui intervento nel lontano conflitto esotico è fortemente voluto da Vittorio Emanuele II e Cavour per avvantaggiarsi poi dell’alleanza con le grandi potenze franco-inglesi nel grande progetto risorgimentale. Più che per le cannonate russe, saranno i germi del colera e del tifo a massacrare i soldati sardo-piemontesi.

Nel settembre 1854, dalle coste bulgare, inizia l’invasione della penisola della Crimea, e un agguerrito contingente anglo-franco-turco sbarca con obiettivo Sebastopoli. Sono mesi di assedio, bombardamenti, sortite russe per rompere il cerchio nemico, malattia, e a Balaklava va in scena l’epica e tragica teatralità del conflitto, con la famosa “carica dei seicento” della Light Brigade, romantico inutile esempio eroico di tarda cavalleria dove dragoni, ussari, lancieri della regina Vittoria si scagliano dentro una trappola mortale, proprio tra le fauci russe, galoppando a briglia sciolta verso il fondo della valle infernale come a volersi tuffare dentro una fossa di cimitero, mentre davanti a loro, e dalle alture di destra e sinistra, le bocche da fuoco dello zar fanno il tiro al bersaglio sugli sventurati infilati dentro quel vicolo cieco di nitriti, criniere al vento, schianti di cavalli e cavalieri, nubi di polvere, esplosioni, ordini urlati e non ascoltati che tentano di emergere dal caos di rumore assordante; gli inglesi sono nel sacco con i loro destrieri che scalciano, tiro al piccione dei russi, i cosacchi sparano a pesci nel barile. I cavalieri corrono incontro alla morte inconsci, taluni consci, con la sciabola sguainata e una strana esaltazione nei loro volti.

 “È magnifico, ma questa non è guerra; è una follia.”

Dice un maresciallo di Francia, spettatore del macello di Balaklava. Il cappio è stretto su Sebastopoli per un anno intero. A terra si scavano chilometri di trincee, i cannoni degli eserciti duellano in un braccio di ferro di bombardamenti e distruzione, le casematte vengono tenute coi denti, prese, perdute, riprese: l’assalto e la difesa sono all’ultimo sangue. In acqua i vascelli anglo-francesi partecipano al diluvio di fuoco, bagliori arancioni illuminano la superficie del Mar Nero e scagliano proiettili nella tempesta di stelle cadenti artificiali di Crimea. Sui camminamenti dei bastioni di Sebastopoli, assieme alle migliaia di soldati, fanti di marina, marinai, barellieri, serventi ai pezzi che sudano, combattono e muoiono sotto le insegne dell’acqua bicipite dei Romanov, troviamo in divisa da ufficiale di artiglieria un giovane inquieto e ardimentoso: è Leone Tolstòj, prossimo grande romanziere di tutte le Russie. Il ragazzo è coraggioso, partecipa in prima fila alla guerra e osserva, s’impressiona, ricorda amaro la terribile esperienza. Nei suoi I Racconti di Sebastopoli tramanda non solo letteratura ma anche storia. Come improvvisi lampi di cannone che rischiarano il campo di battaglia a notte fonda, alcuni passaggi dei suoi tre racconti, sono istantanee dal passato in armi di Crimea.

Lev Tolstoj

“… vedrete la guerra non nelle sue schiere ordinate, belle e splendenti, con il rullo dei tamburi, con le insegne al vento e i generali caracollanti, ma vedrete la guerra nella sua vera espressione, nel sangue, nelle sofferenze, nella morte…”

“Vi sembra di udire non lontano da voi il colpo di una palla, e da ogni parte diversi rumori di proiettili che ronzano come api, fischiano, veloci e stridenti come la corda di uno strumento, udite il tremendo rimbombo di una cannonata, che vi scuote tutto e vi appare come qualcosa di tremendamente terrificante.”

Le stelle splendevano alte nel cielo, ma senza scintillare; la notte era scura, c’era buio pesto, soltanto i fuochi degli spari e gli scoppi delle bombe illuminavano per un istante gli oggetti. I soldati procedevano velocemente, in silenzio e senza volerlo superandosi a vicenda; coperti dagli incessanti boati degli spari, erano appena udibili il suono regolare dei loro passi sulla strada secca, il rumore delle baionette che si urtavano e il sospiro e la preghiera di qualche timido soldatino: «Signore, Signore! Che cos’è questo!». Talvolta si udiva il gemito di un ferito e il grido «Barella!» (nella compagnia che Michajlov comandava, da un solo colpo d’artiglieria quella notte furono uccisi ventisei uomini). Nell’oscuro orizzonte lontano divampò un fulmine, la sentinella del bastione gridò «Ca-an-no-ne», e una palla, fischiando sulla compagnia, bucò il terreno e fece schizzare via le pietre.”

«Ragazzi! Guardate, comportatevi da eroi con me! Non fate fuoco con i fucili, ma fotteteli con le baionette. Quando griderò “urrà!”, seguitemi tutti, nessun fottuto rimanga indietro… Per lo zar, nostro padre!»

«Il terrore… della morte è un sen-ti-men-to in-na-to nel-l’u-o-mo».

“Sebastopoli, sempre la stessa, con la sua chiesa non terminata, la sua colonna, il suo lungomare, il suo viale che verdeggiava sul colle e l’elegante edificio della biblioteca, con le sue piccole insenature azzurre, piene di alberi di navi, i pittoreschi archi degli acquedotti e le nuvolette di fumo azzurro di polvere, illuminate di tanto in tanto dalla fiamma rossa degli spari; sempre la stessa bella, festosa e orgogliosa Sebastopoli, da un lato cinta da gialle montagne fumanti, dall’altro da un mare color azzurro vivo, scintillante al sole, appariva da questo lato della baia. All’orizzonte del mare, attraversato dalle strisce di fumo nero di una nave, si snodavano lunghe nuvole bianche che promettevano vento. Lungo tutta la linea di fortificazioni, in particolare lungo i monti del fianco sinistro, quasi all’improvviso, di continuo, con un lampo che a volte risplendeva persino di luce meridiana, spuntavano gomitoli di fitto e denso fumo bianco, si dividevano, assumendo forme diverse, si sollevavano e si tingevano di scuro in cielo. Questi piccoli fumi, apparendo ora qua ora là, si formavano fra i monti, sulle batterie del nemico, in città e in alto nel cielo. I rumori degli scoppi non tacevano mai e, vibrando, scuotevano l’aria…

“Le strisce nere si muovevano proprio dentro il fumo, avvicinandosi sempre più. I rumori degli spari, facendosi sempre più intensi, si confondevano in un frastuono continuo, roboante. Il fumo, sollevandosi sempre più fitto, si spargeva velocemente lungo la linea e infine formò un’unica nube viola, che si intrecciava e si strecciava, dentro la quale qua e là balenavano fuochi e punti neri – tutti i rumori si riunirono in un crepitio assordante. Attaccano!”

“Per tutta la linea dei bastioni di Sebastopoli, che per tanti mesi avevano ribollito di vita inusualmente energica, che per tanti mesi avevano visto eroi morire uno dopo l’altro, sostituendosi davanti alla morte, che per tanti mesi avevano destato paura, odio e infine l’ammirazione dei nemici, sui bastioni di Sebastopoli non c’era più nessuno da nessuna parte. Tutto era morto, selvaggio, terribile ma non sereno: tutto stava ancora crollando. Sulla terra perforata, sconquassata dalle recenti esplosioni si ammassavano ovunque affusti rotti, che schiacciavano i cadaveri di soldati russi e nemici, pesanti cannoni di ghisa, per sempre ammutoliti, gettati nei fossati da una forza terribile e coperti fino a metà di terra, bombe, palle, ancora cadaveri, fosse, frammenti di travi, di rifugi, e ancora cadaveri muti in cappotti grigi e turchini. Tutto questo spesso fremeva ancora e veniva illuminato dalla fiamma purpurea delle esplosioni, che continuavano a scuotere l’aria. I nemici vedevano che qualcosa di incomprensibile stava accadendo nella tremenda Sebastopoli. Queste esplosioni e il morto silenzio dei bastioni li facevano tremare; ma essi ancora non osavano credere, sotto l’impressione della forte e tranquilla resistenza di quel giorno, che il loro nemico incrollabile fosse sparito, e tacendo, senza muoversi, con trepidazione attendevano la fine della notte tenebrosa”.

Con l’assalto finale di Malakoff del 7-8 settembre 1855, crollano i bastioni di Sebastopoli. La difesa è disperata: dopo il fuoco dei cannoni e quello dei moschetti, si passa alle lame delle baionette. Ma la sorte della città è segnata, le truppe russe, ormai in rotta, si ritirano nella confusione generale. L’esito della Guerra d’Oriente è deciso.

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