OGGETTO: Alle porte del futuro, con gli occhi bendati
DATA: 02 Gennaio 2024
SEZIONE: Società
FORMATO: Visioni
Frammentati, vittima di pensieri estemporanei, e in piena crisi d'identità: il liberalismo contemporaneo, nostra ideologia dominante, si ritrova senza alter ego, e pertanto non gli rimane che criticar sé stesso. Ma al ripudio del passato andrebbe preferito un suo studio sistemico, nel tentativo di ricostruire una nostra storia comune e dunque un'idea di futuro.
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Del resto non è difficile a vedersi come la nostra età sia un’età di gestazione e di trapasso; lo spirito ha rotto i ponti col mondo del suo esserci e rappresentare, durato fino ad oggi; esso sta per calare tutto ciò nel passato e versa in un travagliato periodo di trasformazione. Invero lo spirito non si trova mai in condizioni di quiete, preso com’è in un movimento sempre progressivo. Ma a quel modo che nella creatura, dopo lungo placido nutrimento, il primo respiro – in un salto qualitativo – interrompe quel lento processo di solo accrescimento quantitativo, e il bambino è nato; così lo spirito che si forma matura lento e placido verso la sua nuova figura e dissolve brano a brano l’edificio del suo mondo precedente; […]. Questo lento sbocconcellarsi che non alterava il profilo dell’intero, viene interrotto dall’apparizione che, come un lampo, d’un colpo, mette innanzi la piena struttura del nuovo mondo

Prendiamo in prestito le parole di Hegel per descrivere il nostro tempo. Un’epoca di “gestazione e di trapasso”, nella quale cerchiamo di rintracciare il nostro essere; di cogliere ciò che è in potenza e che aspetta di compiersi. Nel frattempo, la confusione regna sovrana. Spaesamento di un mondo di mezzo, accelerato nei tempi, non offre punti fermi ma ci trascina in un vortice di accadimenti. Non è più il momento dell’amministrazione di routine. È l’ora del timore o dell’audacia; della pavidità o del coraggio; della malinconia del passato o dell’entusiasmo del futuro. Il presente è sfuggente. Chi pretende di amministrare ciò che è in pieno subbuglio, si ritrova a conservare ciò che oramai è sfuggito. Chi tenta di sovvertir la normale amministrazione, si scopre obbligato a proiettarsi al futuro.

La crisi internazionale porta con sé quella delle idee e delle identità. Siamo alla ricerca di ciò che siamo e di quel che vorremmo essere. Necessitiamo di una nuova visione di mondo, di nuove ideologie che non siano le frammentate idee odierne tenute insieme da una bava di ragno, ma nemmeno la semplice ripetizione di ciò che fu e che ormai è superato. Una nuova grande narrazione. Concetto che intimorisce i più, vittime di ferite non ancora rimarginate, ma che invece non è altro che un concetto organico e strutturato, imperativo per una società complessa in un’epoca di mutamento. Nichilismo e destrutturazione vanno bene per la quiete, non per la tempesta. Rappresentano solo il primo (ma fondamentale) passo per la creazione del domani.

L’ideologia ha una forma e una sostanza: la forma è il credo, la fede dogmatica nella verità del suo contenuto; la sostanza è il quadro sistemico, il progetto di insieme della totalità sociale che definisci principi, costumi, valori nei quali le persone si riconoscono. Ogni epoca ha avuto le sue ideologie.

La struttura del mondo passato, però, era assai diverso da quello moderno. Con una bassa demografia e scarse possibilità di comunicazione, le epoche passate erano composte da mondi indipendenti. Le idee si diffondevano lentamente e tramite la prossimità fisica. Società meno complesse, nelle quali famiglia e religione erano le vere fonti ideologiche, dispensatrice di valori e visioni. La stessa struttura organizzativa rispecchiava in un certo senso quella familiare. Con l’età moderna tutto è cambiato. L’aumento della popolazione ha fatto emergere la necessità di una società maggiormente strutturata e organizzata. Le nuove forme di comunicazione (stampa in primis) hanno permesso alle idee di superare i precedenti limiti. Famiglia e religione non sono più sufficienti. Le società avanzate richiedono idee adatte al proprio tempo e alla propria struttura.

Nascono le ideologie per come le conosciamo. Visioni complessive e articolate che cercano di spiegare il mondo e la società. È l’alba delle “grandi narrazioni”: l’illuminismo, il liberalismo, l’idealismo e il marxismo. Negli ultimi secoli queste si sono diffuse nelle università e nei campi di battaglia. Così come le vittorie di Napoleone portarono le idee della Rivoluzione in tutta Europa, allo stesso modo le vittorie statunitensi e sovietiche contribuirono a diffondere il liberalismo e il marxismo nel mondo post Seconda Guerra Mondiale. Le ideologie nascono dall’interno, dalla concettualizzazione dei rapporti comunitari, tra conflitti di potere e condivisione di valori. Si diffondono e muoiono sotto la punta delle baionette, contro paesi portatori di un’altra visione di mondo.

L’imposizione non basta per farle attecchire. È l’identità altrui che deve mutare (si pensi ai tentativi di “esportare” la democrazia e i suoi valori in Medio Oriente). Non esistono idee disincarnate che volano e si diffondono solo perché udite altrove, come fossero versi oracolari.  Esse fioriscono solo dove è fertile il terreno. Il presente in cui viviamo è il tramonto di una fase iniziata tra il 1989 e il 1991. Il crollo dell’Unione Sovietica trascinò nella tomba anche l’ideologia marxista e sancì la definitiva vittoria degli Stati Uniti e del liberalismo. Il venir meno di una tensione geopolitica aveva distrutto in un sol colpo le contrapposizioni tra le grandi ideologie. In occidente – sfera d’influenza americana – il marxismo si trasformò in socialdemocrazia, un mutamento del liberalismo nei limiti del consentito. Ma il crollo dell’Urss distrusse anche la necessità di una destra sociale (di origine fascista), già anacronistica nel dopoguerra, ma che durante la tensione fra i due giganti mantenne il ruolo di rifugio dei dissidenti di pensiero. Anche questa mutò, danzando tra il conservatorismo più radicale e il liberalismo classico. Anche loro, come la socialdemocrazia, inglobati nell’alveo del liberalismo.

Roma, Luglio 2023. X Martedì di Dissipatio

Per quanto tali correnti offrano diversi punti di divergenza, le fondamenta dalle quali si ergono sono le stesse. È la riproposizione del medesimo con colori e sfumature diverse. Le aspre contrapposizioni che abbiamo vissuto (e ancora viviamo) in occidente potrebbero sembrare esiziali e quel che abbiamo testé affermato potrebbe quindi apparire lontano dalla realtà dei fatti. Se però si compie lo sforzo di osservare il passato prima di giudicare il presente, si potrà comprendere meglio che quel che viviamo oggi è una contrapposizione di superficie e non di sostanza. Non è un conflitto tra diverse idee di mondo, di società, di valori, di struttura. Non è un conflitto tra visioni sistemiche della realtà. È piuttosto una baruffa di superficie, sovrastrutturale. Una contrapposizione sull’elasticità dei diritti individuali, sulle pene più o meno severe, sulle forme di integrazione, sul fisco e altri elementi della normale routine politica.

Si è in lotta per stabilire come ritinteggiare il treno, non sulla direzione che esso debba prendere. Nessuno propone una diversa idea di Stato, di società, di valori fondativi. Per trent’anni tale conflittualità di superficie era lo specchio di una stabilità acquisita. Non ottenuta, ma imposta dalla vittoria della superpotenza d’oltreoceano. Fu una vera e propria sintesi hegeliana che in un sol colpo sciolse le inconciliabili contrapposizioni ideologiche in un humus liberale che potò le frange più estreme inglobando il resto. Processo che mutò le parti e a sua volta il tutto. Nel corso di questi trent’anni, tale sintesi, punto di arrivo di un processo compiuto, si è capovolta nell’origine di un nuovo processo di sviluppo. In una nuova tesi. Gli stravolgimenti odierni annunciano il tramonto di quest’epoca. Un tramonto che non si sa quanto durerà. Qualche anno o qualche decennio, prima che sorga una nuova alba.

Se questa fase iniziò con la vittoria di un sistema geopolitico, la crisi ideologica attuale origina dal suo sovvertimento. I fatti determinano le idee. Ma l’evolvere dei fatti dipende anche dal disporre di idee che preparino ai cambiamenti in corso. Idee che, tentando di anticipare ciò che verrà, predispongono un terreno consono al suo sviluppo. Considerato l’indissolubile legame tra fatti e idee, ad annunciare tali crisi non v’è solamente il mutamento internazionale, ma la destrutturazione dell’impianto ideologico.

La Cancel Culture e la Woke Culture rappresentano forse i casi più emblematici. Movimenti che mirano a distruggere il legame col passato. Non hanno idea di cosa costruire, sanno solo cosa cancellare. Rappresentano un malessere ancora ignaro di sé stesso. Incapace di comprendere la sua origine e per questo convinto di poter costruire un futuro sulle ceneri di ciò che è stato sin qui creato. Essi sono il campanello d’allarme che ci informa della crisi del sistema attuale. Idee confuse e raffazzonate, colme di incoerenze. Tutt’altro che ideologie. A differenza di queste ultime, non offrono uno schema per prepararci ai cambiamenti in corso. Presi da manie di onnipotenza, credono di poter piegare qualsiasi dato di realtà alla loro volontà.

Ciò che ebbero in comune la Rivoluzione francese, i moti di metà Ottocento, la Rivoluzione russa e in parte anche i fascismi novecenteschi, fu che questi, nel momento in cui si realizzarono, ebbero a disposizione una dottrina da sfruttare e manipolare. Le ideologie che precedettero tali eventi non furono causa del loro manifestarsi, ma prepararono il terreno al loro stesso sfruttamento. Permisero agli uomini, travolti dal fluire storico, di affrontare il cambiamento armati di un’idea, di un sogno, di una prospettiva, di un’idea di mondo. Il precedere delle idee ai fatti, dunque, non ha determinato questi ultimi – essi sono spinti da forze che oltrepassano la volontà – ma ha permesso di disporre di un riparo allo scoppio del temporale; di salire in sella alla storia per cavalcare gli aventi, non per determinarli, ma per non esserne calpestati. Oggi questo è ciò che manca. Siamo privi di ideologie e colmi di pensieri estemporanei. Rischiamo di essere schiacciati dagli eventi e di impiegar troppo tempo per adattarci alla nuova realtà.

La Cancel e la Woke Culture non sono ideologie. Anche se definite tali con disprezzo, si fa un torto al concetto stesso di ideologia. Esse rappresentano solamente il sintomo di un cambiamento. Questo è di particolare importanza proprio perché origina dagli Stati Uniti, dalla prima potenza mondiale che da decenni irradia l’occidente coi suoi concetti. Per quarant’anni la tensione tra Usa e Urss, oltre che geopolitica, è stata anche ideologica. Ognuno era un fedele credente dell’idea che proponeva. Oggi, pur nelle oggettive differenze, non si percepisce la stessa tensione tra Usa e Cina o tra Usa e Russia. La rivalità geopolitica è alta, quella ideologia (pur presente) meno. La battaglia ideologica, dunque, non ricalca quella geopolitica. Viene piuttosto dall’interno. Dalla stessa società occidentale (e soprattutto americana). È l’ideologia della società liberale ad essere in crisi, incapace di far fronte a due opposte tendenze: una che spinge per un ritorno al passato a causa del prezzo pagato dal trovarsi per trent’anni sul tetto del Mondo (un sentimento che Donald Trump cerca di rappresentare); l’altra che nel passato vede solo l’origine dei problemi del presente (come la Cancel e la Woke Culture).

Il Liberalismo non ha più un grande nemico al quale opporsi per far valere sé stesso. Ha allargato fin troppo le sue maglie, includendo impensabili differenze. Esso sorse per necessità di opposizione agli assolutismi settecenteschi. Offrì un bagaglio teorico ai mutamenti sociali di fine Settecento e di tutto l’Ottocento. Si ritrovò a vincere sul campo di battaglia, prima nel 1945, poi nel 1991. Oggi però non vi è assolutismo in occidente al quale opporsi. Senza alter ego ogni ideologia va in crisi. Costretta a rintracciar le cause dei suoi mali, si trova a criticar sé stessa.

George Friedman, uno dei più grandi analisti geopolitici americani, nel suo saggio The storm before the calm, anticipa questa crisi nel sistema americano. Annuncia un imminente stravolgimento del sistema istituzionale e socioeconomico che si realizzerà negli anni Venti e che porterà alla ricerca di un nuovo equilibrio interno. Tale mutamento si rifletterà inevitabilmente anche nel sistema ideologico.

La questione ora è quella di prepararsi a tale evento, di fare uno sforzo teorico-intellettuale per comprendere tale passaggio. L’alternativa è subirlo. Altrove abbiamo già sottolineato che il corretto rapporto tra identità e ideologia è quello che prevede prima l’identità e poi l’ideologia. Che quest’ultima debba originare dalla necessità piuttosto che dalla volontà. Per rintracciare, dunque, una nuova idea di mondo, una visione strutturata della realtà sociale, un credo coerente con sé stessi, è necessario in primis comprendere chi si è, da dove si proviene e come si è mutati. Per questo motivo la prima fase è il ritorno al passato, così da comprendere la propria origine. Ma non un ritorno malinconico, un rintanarsi nella storia per rifiutare il presente. Piuttosto un’osservazione di questo viaggio, senza oscurare ciò che si ripudia e senza esaltare ciò che ci entusiasma.

È necessario comprendere appieno quel che si è stati e perché. Solo dopo questa fenomenologia della coscienza si avrà più chiaro cosa sia necessario togliere e cosa conservare. L’ideologia, la visione di insieme, sorgerà spontaneamente a quella coscienza divenuta autocoscienza. In un periodo di gestazione e di trapasso, dunque, per evitare di essere trascinati dagli eventi e presentarsi alle porte del futuro con gli occhi bendati, è necessario in un primo momento sottrarsi dal presente, viaggiare nel nostro passato, rintracciare in esso le nostre radici e, dopo averlo compreso, guardare al presente con gli occhi di ieri. Solo in questo caso si potrà immaginare il futuro. Questo andrà avanti comunque. Si tratta di decidere se cavalcarlo o esserne travolti.

Purtroppo, oggi ci ritroviamo privi di grandi narrazioni. Siamo divisi tra chi si occupa di amministrare il presente cercando di adattarlo alle nuove tendenze, chi desidera cambiarlo credendosi rivoluzionario ma risultando solamente un ribelle sregolato privo di vere idee, e infine coloro che, con malinconia, si ostinano a rifiutare il presente rifugiandosi nel passato. Non vi è pensatore che tenti la sintesi, che cerchi di immaginare il futuro senza far l’errore di ignorare la necessità dell’avvenire. Un pensatore che esca dagli schemi dell’oggi, che guardi l’uomo e la storia da lontano per comprenderne il fluire e poi reimmergersi nel presente proponendo un’idea sistemica del futuro.

L’ideologia del nulla inghiotte i suoi adepti. Ci apprestiamo a fronteggiare il presente e il futuro con idee frammentate, così com’è frammentata la società che le porta avanti. Tali idee non possono generare lo stesso desiderio di lotta come le grandi narrazioni hanno fatto in passato. Esse si dissolveranno a causa delle loro contraddizioni interne, poiché non possono restare in piedi da sole senza appoggiarsi a qualcosa che va al di là di esse, che appartiene ad un’altra ideologia. È stato proprio l’uomo a far la guerra alle grandi narrazioni. Non ad una specifica, ma al concetto stesso di idea sistemica.

La frammentazione di oggi deriva dal timore del passato. Paura nel vedere come le persone possano combattere per un’idea divenuta credo. Aspetto che intimorisce ma che, al tempo stesso, ci mostra quanta energia l’uomo possa sprigionare per un concetto. Negli ultimi decenni, per disinnescare tali avvenimenti, si è iniziato ad usare (e ad abusare) il termine “fanatismo”. Così, chiunque combatta per una diversa idea di mondo diventa istantaneamente un fanatico, il che sottintende che lotti per qualcosa di inutile. Con questo ovviamente non si vuole assolvere le azioni compiute da costoro, ma evidenziare che è lo stesso senso comune, oggi, ad esorcizzare l’emergere di una grande narrazione. Troppo è il timore che i conflitti ideologici novecenteschi possano ripresentarsi.

Rifiutiamo di ripensare il mondo per paura dello scontro. Ma una grande narrazione verrà comunque, spinta dagli eventi piuttosto che dalla volontà umana. È necessario che gli intellettuali tornino a svolgere il proprio mestiere. Non la semplice e stantia giustificazione del presente, ma cogliere il minimo comune denominatore dei diversi atteggiamenti; comprendere l’esigenza profonda (e non prossima) che li muove; rintracciare nel passato la possibilità che si possano instillare nel futuro; infine immaginare il futuro, tra ciò che verrà tolto e conservato.

Tali processi sono necessari alla formulazione di una nuova ideo di mondo. Un’idea che genererà un credo, una fede e dunque un desiderio di combattere per essa. Più quest’idea mostrerà di essere utile alla realtà in mutamento, più mostrerà la sua capacità adattiva, più farà breccia nei cuori delle persone. Solo un’ideologia della necessità potrà schiudere le porte del futuro.

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