È ormai senso comune ritenere che l’identità (individuale e collettiva) dipenda quasi esclusivamente dalla propria volontà. La stessa parola “identità” viene spesso vista con sospetto, come se nei meandri del suo concetto si celassero inevitabili rimandi a suprematismi e razzismi di ogni genere. Addirittura la si sta via via sostituendo col termine “identificazione“, a sottolineare come alla base dell’identità non vi sia uno stato ma un processo, una di volontà di identificarsi, che essa dunque prescinderebbe dalla realtà, inchinandosi di fronte al puro volere. I concetti di “identità fluida” e di “identità multiple” sono il risultato naturale di tali presupposti.
In barba ai vincoli naturali, storici e culturali, l’identità da concetto diviene costrutto. Dall’ergersi sulle fondamenta del reale, si impone piuttosto su di esso, capovolgendo il rapporto. È l’imporsi dell’identità astratta sulle ceneri dell’identità concreta. Il ripudio del concetto di identità in favore di quello di identità fluida, non è certo esclusivo dell’individuo. Siamo circondati da persone che nel descriversi ripudiano continuamente la loro appartenenza nazionale, etnica o culturale, aspirando a qualcosa di diverso o di più ampio: cosmopoliti ed europeisti di ogni genere sono solo un esempio di questa pia illusione. Per costoro l’appartenenza è un prodotto, nel suo duplice significato: a) da un lato quello che lo intende come frutto di un’azione, oggetto di creazione dell’uomo e, dunque, risultato intenzionale, figlio della volontà; b) dall’altro quello che lo rappresenta come merce che, in quanto tale, può essere acquistata al giusto prezzo. E proprio come la merce, dovrebbe poter circolare liberamente. Appare chiaro che, intesa in questo modo, anche l’identità collettiva diviene fluida, precaria, assoggettata alla pura volontà. O almeno così alcuni (molti) vorrebbero.
Il quadro descritto potrebbe essere sintetizzato come il dominio del Volere sull’Essere. Ciò significa che non è la consapevolezza di chi si è a determinare la volontà ma, al contrario, è la volontà a determinare il nostro essere, la nostra identità, cosicché potremmo decidere di essere tutto ciò che desideriamo – il che equivarrebbe non essere nulla. Una qualsiasi identità, tuttavia, non può sopravvivere a sé stessa senza qualcosa che la legittimi. L’ideologia assolve proprio questo obiettivo: essa, partendo da una determinata distinzione di identità, offre un quadro interpretativo della realtà fondato sulle categorie di Bene e Male, individuando comportamenti (sociali e individuali) per perseguirne i principi. Tale impalcatura retorica è costruita attorno all’identità, la pone in essere e ne giustifica l’esistenza. Che si parli di identità sessuale, nazionale, etnica o religiosa, vi sarà comunque un’ideologia pronta a legittimarla e ad offrire una chiave interpretativa della realtà in perfetta coerenza con questa. Nel definire un’idea di mondo, bisogna pur sempre stabilire quali sono i soggetti in gioco.
Di per sé l’ideologia non è qualcosa di negativo. Rappresenta un credo, una fede nella quale individui e comunità possono riconoscersi e trovare un senso del loro essere e del loro agire. I problemi sorgono nel rapporto con l’identità. Abbiamo detto che l’ideologia giustifica l’identità. Ma questa affermazione presuppone che venga, appunto, prima l’identità dell’ideologia. Che venga prima, cioè, la consapevolezza di ciò che si è e poi l’impalcatura narrativa. È chiaro che questo può accadere se vi sono ancoraggi concreti alla realtà che determinano il nostro percepirci: il luogo e la famiglia in cui si è nati, la natura che ci circonda, la cultura e la società nella quale siamo immersi e così via. La mia identità di italiano, ad esempio, deriva principalmente da fattori che precedono la mia volontà: essere nato in Italia, da famiglia italiana di lingua italiana e di vivere tuttora in Italia (ciò che abbiamo definito identità concreta). In questo caso, una specifica identità collettiva (nazionale) richiede una giustificazione per la sua esistenza. L’ideologia che ne scaturirà, porrà come soggetti della propria architettura interpretativa le identità che si posizionano al medesimo livello, simili nella forma e diversi nella sostanza.
Così come gli elettroni ruotano attorno al nucleo, allo stesso modo le ideologie ruotano attorno a determinate identità. Quando l’ideologia segue l’identità, per quanto legate, le due rimangono distinte. La radicale differenza della loro origine e sostanza le pone su due piani differenti: l’identità in quello della realtà, l’ideologia in quello della narrazione. Ciò significa che al mutare della seconda non cambierà la prima. Sarà l’Essere dell’identità a determinare il Volere dell’ideologia. Le categorie di Bene e Male che quest’ultima definirà, non si fonderanno su presupposti astratti, ma sulla pura concretezza. Non sempre, però, tale rapporto vede prima l’identità dell’ideologia. Come già detto, quando si rifiuta il limite che l’Essere ci pone innanzi, ci si arroga la facoltà di determinarlo in base al proprio volere. È questo il caso in cui l’ideologia precede l’identità e la determina. In cui Bene e Male diventano categorie posticce, di manica necessariamente larga per poter includere qualsiasi identità vadano generando (identità astratta). Un volere impersonale non può che avere come presupposto l’eliminazione di ogni vincolo che limiti il suo desiderio d’essere e di avere. Perciò, un’ideologia priva di identità alle spalle, tenderà a determinare identità che soddisfino tale presupposto. Identità che non siano rigide, ancorate alla realtà, ma fluide e mutevoli, cosicché possano assecondare l’ideologia che le determina.
In un siffatto rapporto, non è più l’ideologia a giustificare l’identità, ma quest’ultima a legittimare l’ideologia. L’identità che asseconda l’ideologia è un’identità che si fa ideologia. Non vi è più distinzione tra le due. E come potrebbe mai esserci distinzione se l’Essere muta a secondo del Volere? La realtà, contraltare del desiderio, è vista come gabbia dalla quale fuggire. L’unico modo per farlo – seppur destinato prima o poi a fallire – è ignorarla, volare al di sopra di essa o addirittura negarla.
L’ideologia che vien dopo l’identità può mutare col tempo senza intaccare l’identità. Il rapporto tra le due è stretto ma non esiziale. Nel corso della storia le identità collettive, le più stabili nel tempo, hanno attraversato i secoli sopravvivendo al crollo (talvolta rovinoso) delle ideologie che le giustificavano e che legittimavano il loro operare. Al contrario, quando l’identità è frutto dell’ideologia, la relazione si trasforma in pura dipendenza. Il crollo dell’ideologia significa la distruzione dell’identità ad essa legata. Quest’ultima, svanita la prima, non avrebbe di che vivere, come un sacerdote al quale si dimostrasse che il Cristo non è mai risorto, o mai nato. Il suo credo, dal quale dipende l’identità di sacerdote, sarebbe compromesso per sempre e non gli resterebbe che spogliarsi di quell’identità. Da quanto detto sin qui, si sarebbe portati a credere che l’identità astratta, data la sua dipendenza dall’ideologia dell’irrealtà, sia fragile come una casa senza fondamenta. E questo è indubbiamente vero. Tuttavia, la sua sostanziale debolezza, essendo esiziale, si tramuta nella sua forza: la consapevolezza che se perisse l’ideologia, anche l’identità astratta svanirebbe, costringe la prima a lottare con maggior vigore per l’esistenza di entrambe. Sarà quindi molto più arduo riuscire ad abbattere una tale impalcatura retorica: le persone che vi si identificano lotteranno come fosse una battaglia per la loro stessa esistenza.
Bisognerebbe riflettere sul fatto che con la realtà prima o poi bisogna fare i conti. È possibile sfuggirne per tempi limitati, rintanarsi nelle proprie illusioni e dar libero sfogo al desiderio di essere qualsiasi cosa. Ma la storia un giorno tornerà a bussare alla nostra porta e se in quel momento staremo vagando nell’irrealtà, la discesa sulla terra sarà assai più traumatica. Si lotterà, ma si perderà. Perché la realtà è più forte di qualsiasi convinzione. Piuttosto che ripudiare la realtà, erigendo un muro tra questa e la Ragione umana, si dovrebbe ricercare l’unione tra le due. Una simmetria nella quale si prenda atto del reale e, razionalizzandolo, si possa costruire un impianto narrativo che non lo nega ma lo spiega, lo giustifica e in base a questo possa offrire una chiave interpretativa del mondo e degli obiettivi. Solo a quel punto adoperare le categorie di Bene e Male rispetto all’agire che gli è proprio. Che sia dunque l’Essere a determinare il Volere e non viceversa. Non inventare nulla, dunque, ma dedurre dalla realtà e dalle circostanze, poiché l’unica ideologia buona è quella che giustifica il necessario.