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Mortitudine d'Occidente

Le morti per disperazione sono solo l'ultimo gradino di un Occidente sempre più abituato all'idea di abdicare alla propria vita.
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Notoriamente, la bussola del progressismo mira in Europa verso Nord e, Oltreoceano, al Canada di Justin Trudeau: in materia di (pseudo)avanguardismo civile è a questi paesi che occorre prestare attenzione per comprendere ciò che sarà ad attendere il prossimo futuro dell’Occidente in materia di libertà individuali; che, non potendo mai essere del tutto individuali, riguardano l’avanzamento – progresso è termine inutilmente ottimistico – dell’intera civiltà di ponente.

La società post-globalizzata assurge i cosiddetti influencer a vettori dello Zeitgeist e così, per risalire alle infelici radici dell’ars moriendi occidentale, è sufficiente scrollare Instagram, dove lo scorso gennaio la 22enne youtuber francese Olympia ha dichiarato di voler ricorrere al suicidio assistito, poiché, afferma, “so benissimo che potrei fare terapie ma sono esausta”. Ha per meta il Belgio, che non è – ci tiene a precisare il medico Yves de Locht – un “distributore di eutanasia”, ma dove, comunque, “i giovani si possono sopprimere”.

Nel 2021, in Belgio, dove la “buona morte” è accessibile anche ai minorenni che autocertifichino condizioni di vita “insopportabili”, il 20% complessivo di coloro che vi ha ricorso soffriva di patologie tutt’altro che letali (abbassamento della vista, difficoltà di deambulazione e insufficienza renale) e mentre si abbassa l’età media (il 30% non era ancora sessantenne), vanno aumentando le richieste per depressione o disabilità. Analoga è la situazione in Olanda, dove dal 2002 i casi sono quadruplicati, passando da 2.000 ai 7.800 del 2021. Il Protocollo di Groningen prevede la possibilità di scelta già alla nascita, per cui su mille neonati deceduti entro il primo anno d’età, il 60% è conseguenza di un intervento medico. Theo Boer, padre della legge olandese sul fine vita, riferisce preoccupato – forse ravveduto – che “in alcune parti dei Paesi Bassi, fino al 15 per cento dei decessi sono il risultato di morti intenzionali”, per cui è facile prevedere nell’immediato futuro un raddoppiamento delle casistiche. 

Nulla di dissimile avviene in Canada, dove nel 2021 i morti per eutanasia (oltre diecimila) sono aumentati del 32% rispetto all’anno precedente: un progressivo aumento delle richieste è pressoché certo, soprattutto in ragione del fatto che dal prossimo 17 marzo sarà sufficiente manifestare un problema di natura psichica per avere accesso alla “MAiD”, mentre si discute – affusolando il labile confine tra eutanasia ed eugenetica – di ampliare l’offerta ai bambini disabili; alla campionessa paralimpica Christine Gautier, la possibilità della “buona morte” viene addirittura avanzata, mentre il caso di Amir Farsoud, senzatetto a cui la “MAiD” viene concessa per indigenza, mostra come vita e morte siano sempre più soggetti a criteri economici, che difatti ispirano programmi di suicidio assistito come il Bill C-7, il cui fine è quello di ottimizzare i costi dei pazienti per lo stato.

La deriva eutanasica rivela senza infingimenti tutti i connotati del mondo nuovo a cui ci stiamo affacciando, in cui la vita è oggettivata e la morte svilita, ridotta ad accadimento soggettivo, discrezionale. Se, come scrive sul NYT lo psichiatra Clay Routledge, “è quando perdono il senso di uno scopo che le persone diventano psicologicamente vulnerabili”, è evidente che la “nostra” perdita degli istituti di senso quali religione, cultura condivisa e orizzonte di comunità, non può che condurre ad un’inconsistenza etico-morale che sempre più si fa mortifera, annullando persino il più profondo ed esistenziale dei fenomeni, quello della morte come esser-ci, della vita come essere-per-la-morte. 

L’America, che da un secolo plasma la nostra way of life, è da decenni preda delle “deaths of despair”, le morti per disperazione che, come evidenzia un recente studio della National Bureau of Economic Research (NBER), andrebbero poste in relazione al vuoto esistenziale conseguente alla perdita del senso religioso e all’abbandono delle pratiche sacre. Se Agostino era a tramandarci che nella religione è la nostra cultura, è logico che secolarizzazione e scristianizzazione siano al contempo causa e conseguenza (non le uniche, ça va sans dire) del processo di rinuncia dell’Occidente alla propria essenza e alla propria dignità morale e spirituale prima ancora che culturale e politica. Una caustica conversazione tra Michel Houellebecq e Michel Onfray affronta proprio tali tematiche: se il filosofo (ateo) sostiene che “il transumanesimo dovrà essere accompagnato da una trascendenza, da una spiritualità”, è del tutto disilluso l’indecente romanziere, che crede impossibile “restaurare una civiltà – l’Occidente tutto – che sta scomparendo e dove domina la pulsione di morte”.

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