Nove colpi di Stato riusciti e cinque tentati, quattro insorgenze terroristiche, due guerre civili e un capo di Stato assassinato; questo è il bilancio relativo all’ultimo triennio dei paragrafi saheliano ed equatoriale del capitolo africano della Terza guerra mondiale in frammenti.
I due colpi di Stato più geopoliticamente rilevanti del 2023 sono avvenuti a poco più di un mese di distanza l’uno dall’altro, il primo in Niger e il secondo in Gabon, e ad essi ha fatto seguito un allarme golpe in Congo, da non confondere con la Repubblica democratica del Congo (ex Zaire), che falso allarme proprio non è stato.
Le forze armate sono le protagoniste indiscusse della scena, che condividono con compagini mercenarie, organizzazioni terroristiche, signori della guerra e grandi potenze, in quello che è un vero e proprio ritorno agli anni delle guerre mondiali africane del secondo Novecento.
In Africa, in special modo nel Sahel e nei dintorni equatoriali, è un hobbesiano bellum omnium contra omnes: francesi contro italiani, algerini contro marocchini, cinesi contro indiani, israeliani contro iraniani, turchi per se stessi, iene emiratine, cinesi e russe sulle carcasse della Françafrique. Il bottino è lo stesso di sempre: una fetta dei tesori contenuti nel forziere di risorse naturali più grande e ricco del pianeta.
In Africa è guerra mondiale perché il continente nero luccica come se fosse dorato. Un luccichio accecante, visibile anche ai ciechi, che è il riflesso dei tanti ori ivi presenti: il 90% di tutti i metalli del gruppo del platino, il 50% di tutto il cobalto, all’incirca il 40% di tutti i diamanti, il 32% di tutto l’alluminio, un quinto di tutto l’uranio, il 13% di tutto il gas naturale e il 7% di tutto il petrolio. Del globo.
In Africa è guerra mondiale perché la più grande concentrazione di terre rare del globo si stende tra Kinshasa e Città del Capo. Terre rare significa armi, transizione verde, informatica, telefonia, telecomunicazioni, trasporti, corsa allo spazio. E tutto sarà lecito nel corso della notte dei lunghi coltelli delle grandi potenze per appropriarsene.
Niger e Gabon sono i due esempi che, più di molti altri, illustrano al meglio le origini, le ragioni e gli effetti dello scramble for Africa 3.0. In Niger un presidente filofrancese è stato detronizzato da un gruppo di ufficiali rispondenti alla Russia. In Gabon un autocrate filofrancese-ma-non-troppo, più re che presidente, è stato messo da parte da un gruppo di ufficiali operanti su mandato della Francia.
I colpi di Stato in Niger e in Gabon hanno avuto luogo nel corso dell’estate, tra fine luglio e fine agosto, e il loro eco è risuonato per tutta la savana. I golpisti nigerini hanno vinto le pressioni della Comunità Economica degli Stati dell’Africa dell’Ovest, chiudendo i rubinetti dell’uranio alla Francia e aprendo quelli delle migrazioni illegali che hanno travolto l’Italia. I putschisti gabonesi hanno agito in reazione agli eventi di Niamey, colpendo Libreville per tramortire Mosca e Pechino, consumando un cambio ai vertici prima che il presidente in carica, in gran segreto, accogliesse il Gruppo Wagner e regalasse una base navale ai soldati dell’Esercito Popolare di Liberazione.
Golpe per golpe e l’Africa è tornata al 1884. Una tessera fa cadere l’altra. Mosca e Pechino hanno risposto alla deposizione di Ali Bongo in Gabon istruendo la Triade del putsch in Sahel, composta da Burkina Faso, Mali e Niger, di formare un patto militare difensivo, in stile Alleanza Atlantica, per scoraggiare definitivamente ogni tentativo di interferenza occidentale nella coup belt. Poi canali russi hanno scatenato il panico in Congo diffondendo voci di un rovesciamento mentre il presidente atterrava a New York, forse per sondare gli umori dei settori che contano in preparazione di un vero golpe.
Nessuno è al sicuro. Autocrati anziani e corrotti tremano, dal Camerun al Congo, passando per Eswatini e Guinea equatoriale, temendo che potenze straniere interessate ai tesori dei loro paesi soffino sul malcontento popolare e infiltrino le istituzioni e le loro difese per ordire delle congiure di palazzo. Benaccette da popoli affamati da dinastie di edonisti e dallo sfruttamento degli imperi del profitto.
Adesso che il Sahel profondo è stato quasi completamente messo in sicurezza dal duo Mosca-Pechino, con l’appoggio defilato ma essenziale di Algeri, Ankara e Abu Dhabi, la grandine di putsch dello scramble for Africa 3.0 si sposterà progressivamente verso le coste e verso l’equatore. Le insorgenze terroristiche e le zone grigie resteranno e si espanderanno, nonostante il pugno duro dei mercenari inviati da Ankara, Mosca e Pechino in difesa delle giunte amiche, perché troveranno il supporto di vinti alla ricerca di rivalsa per vie non convenzionali.
La Francia restituirà pan per golpaccia ai suoi nemici. La Turchia proverà a insediarsi negli spazi vuoti lasciati di quando in quando dalle altre potenze. La Russia capitalizzerà la francofobia imperversante nel continente, ai massimi storici, per ottenere le chiavi dello strategico Sahel e delle miniere africane. La Cina continuerà a inseguire il sogno di un collegamento terrestre tra Gibuti e Africa occidentale, con sbocco sull’Atlantico (e con lo sguardo sull’Emisfero occidentale). Italia non pervenuta. Stati Uniti troppo distratti dall’Indo-Pacifico per impegnarsi seriamente nel continente nero. La guerra tra Afriche è appena cominciata.