L'editoriale

Il Vecchio Mondo visto da Washington

Il punto sulla relazione fra Stati Uniti ed Europa.
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A che punto sono i rapporti transatlantici? Come viene letta l’Europa dal prisma americano specie in questa fase in cui l’Occidente è impegnato in un sostegno serrato nei confronti dell’Ucraina impegnata da quasi un anno e mezzo in un conflitto scatenato dalla Russia? Cosa lega e cosa distanzia le due sponde dell’Atlantico nella sfida di contenimento della Cina? Ed infine come vede l’amministrazione di Joe Biden la nuova ondata di conservatorismo che pervade una parte del Vecchio Continente e abbraccia anche l’Italia di Giorgia Meloni. Per capire qual è lo stato dell’arte delle relazioni tra gli Stati Uniti a trazione Dem (seppur con un Congresso diviso a metà tra una Camera a maggioranza repubblicana e un Senato a maggioranza democratica) e gli alleati europei bisogna scomporre i diversi fattori di analisi.

Washington-Bruxelles

La linea dell’amministrazione Biden è molto Bruxelles-centrica rispetto ad altre amministrazioni americane, in particolare a quella di Donald Trump. Non che le capitali contino di meno, però ci sono temi su cui il coordinamento Unione Europea-Stati Uniti rimane molto importante. Tre su tutti: il commercio, le proprietà intellettuali e la lotta al cambiamento climatico, ovvero i dossier che gli Usa ritengono necessario discutere a un livello più alto rispetto ai singoli Stati. Da qui ad esempio la formazione del “The EU-US Trade and Technology Council” un forum diplomatico di coordinamento composto da dieci gruppi di lavoro, ciascuno incentrato su settori politici specifici. Si tratta quindi di temi sovranazionali per cui l’amministrazione americana considera meno utile parlarne solo con Parigi, Berlino o Roma. In tale contesto Biden è molto attento a dialogare direttamente con l’Unione Europea, e l’Europa come istituzione ha acquisito una centralità per gli Usa. In questa cornice si è inquadrata la missione a Washington in maggio della Presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen nell’ambito di una visita ben preparata dall’amministrazione durante la quale si sono parlati di temi importanti sul clima, sul contenimento della Cina, sulle materie prime strategiche e sulla “Inflation Reduction Act”, la legge sulla riduzione dell’inflazione.

I fattori di disturbo

All’interno di un rafforzamento dell’Unione europea che gli Usa auspicano senza che diventi una battaglia politica, vi sono diversi elementi di disordine che possono dare fastidio a Washington. Uno di questi elementi riguarda i rapporti con l’Ungheria di Viktor Orban, ovvero l’unico Paese che non ha sino ad ora avuto un approccio “gentile” con l’America di Biden. Da una parte perché il premier è schierato visceralmente con Donald Trump, dall’altra perché appare più sensibile ad alcuni fattori legati alla Russia di Vladimir Putin. Si tratta inoltre di un leader che ha sempre cercato di frenare le politiche europee sia di integrazione sia sui dossier su cui gli Usa sono più attenti, ad esempio l’Ucraina, ma anche la transizione energetica di cui possiamo dire che Orban non sia certo considerato uno sponsor di spicco. Un ragionamento simile potrebbe valere anche per la Polonia ma la guerra in Ucraina ha cambiato le prospettive in questo senso. Questo non vuol dire che l’America di Biden non sia impensierita da alcune spigolature di Varsavia, ma Washington ha cambiato la sua scala di priorità, ovvero prima occorre risolvere la questione del conflitto e dare spazio al potenziamento della Nato con un ribilanciamento verso il nord-est dell’Europa, e solo dopo si possono affrontare le singole tematiche che riguardano il Paese interlocutore. Si può dire pertanto che tutti quei Paesi e quei fattori che minano la capacità dell’Europa di avere una voce unica sui temi che stanno a cuore agli Usa di Biden rappresentano un problema per l’attuale amministrazione americana. 

Difesa e Sicurezza

Gli americani non sono affatto favorevoli all’idea che l’Europa si doti di un esercito, ovvero di un proprio dispositivo militare svincolato dalla lunga mano militare di Washington, ma non sono contrari al fatto che l’Ue rafforzi una sua postura di difesa e sicurezza autonoma. Questo però è condizionato in maniera categorica al fatto che non vengano sottratte risorse all’Alleanza Atlantica, nel senso che ogni tipo di progetto in questa direzione deve essere assolutamente subordinato alla Nato. Ed anche questo è un terreno ancora tutto da scoprire perché la guerra in Ucraina ha offuscato un po’ il progetto rilanciato da Germania e Francia di ragionare sulla creazione di un reale dispositivo di difesa targato UE.

La Cina non troppo vicina

I rapporti con la Cina sono un tema diverso perché in questo caso non è l’UE che gestisce il rapporto con Pechino, Bruxelles al limite può fare trattati di libero commercio, però tutte le normative specifiche che regolano gli scambi e le politiche avvengono a livello bilaterale. In questo caso confronti e dibattiti dell’amministrazione Biden seguono canali diretti coi singoli Paesi. Da cui il tema per antonomasia è la Via della Seta a cui l’Italia ha aderito e che ora deve ratificare nel suo perdurare. È innegabile che ci siano state delle richieste da parte di Washington affinché l’intesa non venisse confermata ma nel rispetto della piena autonomia dell’Italia (e ci mancherebbe è il caso di aggiungere). Questo non vuol dire che c’è una volontà americana che si interrompano i rapporti con la Cina ma quello che sta a cuore agli Stati Uniti è che tutti quegli scambi strategici che riguardano materiali critici, hi-tech, terre rare, componenti software che possono aver un uso dicotomico, ovvero da una parte ricerca dall’altra scopi militari, non vengano pedissequamente consegnati a Pechino. 

Conservatorismo 

Per capire l’approccio americano con la nuova ondata di conservatorismo europeo e il tenore dei rapporti con l’Italia occorre fare una distinzione netta tra quella che è la politica e l’amministrazione Usa. Questo vuol dire che il buon Biden può fare anche esternazioni in contesti politici che risultino fuori luogo o sopra le righe, come quelle pronunciate a ottobre sul pericolo che si replichi nelle elezioni in Brasile ciò che è accaduto in Italia. Sono tuttavia frasi estemporanee (talvolta figlie di lucidità latente) perché è un fatto che l’amministrazione americana abbia un ottimo rapporto col governo italiano e con altri leader conservatori come ad esempio con Rishi Sunak premier del Regno Unito, Andrzej Duda e Mateusz Jakub Morawiecki rispettivamente presidente e premier della Polonia. E’ chiaro poi che a livello politico potranno esserci simpatie diverse, ma che ne dicano alcuni nostri politici, e per buona pace di taluni osservatori nostrani, l’approccio americano nelle relazioni con gli alleati europei è molto meno ideologico rispetto a quello italiano, almeno negli esponenti di spicco. Anche perché i riferimenti culturali e politici del conservatorismo Usa, anche di quello più a destra, sono diversi da quelli del conservatorismo italiano ed europeo, al netto di alcuni temi dove si può registrare una certa convergenza ovvero migrazione e un certa forma di identitarismo. Fatta questa premessa, per capire il polso di Washington nello specifico col governo italiano posso riportare la testimonianza del deputato Jimmy Panetta (figlio di cotanto padre Leon, ex capo della Cia e ispiratore delle politiche di tutte le recenti reggenze democratiche alla Casa Bianca, da Bill Clinton a Joe Biden, passando per Barack Obama). Il quale era presente tra i membri della delegazione di una decina di legislatori Usa che hanno incontrato la premier Giorgia Meloni il 4-5 maggio: ebbene al termine dell’incontro Panetta ha detto a chiare lettere di essere rimasto “letteralmente estasiato” dalla presidente del Consiglio italiano. Questo, per chi come il sottoscritto ha una certa familiarità col linguaggio politico americano significa che la premier Meloni è riuscita a trasmettere all’alleato americano non solo un senso di concretezza ma anche di solidità politica e istituzionale.

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