Il militare maneggia il collegamento tra ripetitore e televisore piazzato accanto alle scalette di accesso del palazzo davanti ad alcune decine di persone. Il chiacchiericcio viene zittito dal rumore dell’alimentatore, i volti invece parlano, esplicitamente. Al maneggiare dei fili lo schermo si illumina e su uno sfondo nero compare la scritta rossa YouTube. Gli sguardi si incrociano increduli, parte un applauso accompagnato da abbracci e lacrime, ad Izium sono tornati segnali di vita.
Arriviamo allo snodo strategico utilizzato dai russi come centro nevralgico della catena di rifornimenti militari diretti in Donbass, pochi giorni dopo la sua liberazione. La strada che percorriamo da Balaklija, seguendo la controffensiva delle forze ucraine in corso da oltre una settimana, è una fedele cronaca delle ultime fasi della guerra. Un primo tratto mostra evidenti i segni dell’operazione delle truppe di Kiev, è lastricato di crateri e i resti dei missili giacciono ai margini. Anche i boschi mostrano vistose ferite, alcuni sono crollati, altri decapitati, altri ancora bruciati. Dopo un po’ la strada si ripulisce d’incanto come se la battaglia si fosse consumata nel giro di qualche chilometro. È la conferma che agli ucraini è bastata una sola spallata per mettere in fuga i russi.
Sulla M-03, la grande arteria che porta alla città e poi giù sino a Sloviansk, ci sono dedali di fortificazioni trincerate, le truppe di Mosca consideravano Izium talmente preziosa da blindarla ossessivamente. La porta di accesso è segnata da una scritta col nome della città in cirillico con i colori giallo-blu dell’Ucraina. Ai suoi piedi una bandiera russa giace malconcia, trofeo di guerra in mostra al passare dei caroselli dei mezzi militari. In realtà ad Izium non c’è spazio per i trionfalismi, la città è ridotta a macerie, i sopravvissuti sembrano fantasmi appena usciti dall’oscuramento. «La guerra si è impossessata di noi, è entrata dentro i nostri corpi, nelle nostre menti, ora dovremmo essere sollevati ma rimane una forte angoscia» dicono Taissa e Vitaly.
Sono nella piazza principale che mostra evidenti i segni della feroce battaglia di marzo, quando i russi espugnarono la città, e dell’occupazione, oltre cinque mesi. Segni di combattimenti recenti non ve ne sono: «Sono fuggiti, hanno mollato tutto e se ne sono andati. Pensare che ci facevano così paura e poi l’altro giorno ci siamo svegliati e non c’erano più» raccontano i due anziani. In quella stessa piazza poche ore prima è arrivato Zelensky a certificare quella che viene considerata la più importante vittoria di questa controffensiva. «Non ci si può abituare a queste cose ma dopo Bucha non saremo sorpresi dai passi compiuti dai terroristi russi, perché vediamo la stessa cosa», dice il presidente ucraino. «Di nuovo torture, di nuovo distruzione di scuole, asili – prosegue. Loro fanno le stesse cose. Non ho visto niente di nuovo». Quello che Izium chiede al suo presidente è però di voltare pagina, in fretta. Come? «Ricostruite subito la nostra città». Un’impresa mastodontica a guardare la distesa di rovine, mentre i militari di Kiev sono intenti a bonificare le aree e recuperare i mezzi lasciati dai russi con le Z in bella vista. Il cimitero bellico attraversa tutta Izium, tracciato da blindati e cingolati ridotti a ferrivecchi, carbonizzati, arrugginiti. «Questo era usato per lanciare il napalm», dice il militare della Guardia nazionale di pattuglia nel centro, che per la visita di Zelensky è stato messo in sicurezza, mentre una buona parte della città e suoi sobborghi rimangono ancora inaccessibili.
Il terreno è minato e gli esperti della scientifica devono procedere alle rilevazioni per capire se sono stati commessi crimini di guerra. «Qui vicino ci sono civili uccisi quasi in ogni casa», dice Vadym una delle tante Cassandre ucraine convinte dell’esistenza di «nuove Bucha». A differenza delle altre città liberate a Izium non si ha paura di dire che l’invasore se n’è andato, il timore più forte è che il trauma subito sia difficilmente reversibile. «Eppure si tenta di andare avanti, dobbiamo farlo noi per loro», dice il militare delle forze speciali che smanetta col collegamento tra ripetitore e televisore. Lo conosciamo a Piazzetta Elon, il nuovo centro della Izium liberata, dove decine di persone si ritrovano ogni giorno per ricaricare i telefonini e connettersi a Internet grazie a StarLink, il sistema satellitare di Elon Musk.
«Mia figlia è ad Oslo, si è sposata con un norvegese e vive lì, non la vedo da mesi ma a ottobre viene qui», dice Katerina. «Il primo periodo è stato spaventoso per i bombardamenti, poi c’è stata l’occupazione, un inferno, cinque mesi senza elettricità», prosegue la donna. Ed assieme alla corrente è mancato il gas per il riscaldamento e per cucinare; i fornelli agli angoli delle case, braci improvvisate, sono ovunque, per mesi si sono organizzate piccole cucine sociali per sfamare tutti. Il tutto in totale oscuramento, ciò che succedeva fuori dalla città era sconosciuto. Sino ad oggi. Al maneggiare dei fili alla fine la scritta rossa YouTube illumina lo schermo. Ad Izium sono tornati segnali di vita mentre, impietosi, emergono quelli di morte.