Vivere è costruire ponti su fiumi che se ne vanno. Non realizzare niente, ma essere sfiniti, anche per la delusione. Osservare la realtà e capirla, accettare il proprio destino diffidandone. Un mantra che ha accompagnato i maggiori pensatori del pessimismo filosofico. Autori perseguitati e disprezzati, ridotti alle loro beghe esistenziali, spiegati con estrema professionalità, come gobbi, frigidi, incompresi, quando il loro unico vero peccato è forse quelli che li ha resi grandi: la lucidità. La lucidità di un Leopardi che vede dietro ad una tragedia, un diluvio, non la graziosa armonia del creato, ma la piccolezza e l’inconsistenza dell’animo umano, stritolata dalla morsa di una Natura matrigna. O la rassegnazione di un Cioran che al culmine della disperazione prodotta da insonnia e disillusione ricorda al lettore l’inconveniente di essere nati. Correggendo la massima di Galeano, per cui le utopie servono per avanzare, il pessimista ricorda la destinazione di questa avanzata più simile ad una marcia funebre che ad una parata trionfale.
Una visione che ha come ultimo controverso alfiere, uno dei maggiori scrittori dell’orrore della letteratura americana: Thomas Ligotti. È Ligotti l’ultimo integrale e radicale pessimista, il profeta dell’apocalisse, l’uomo sospettoso che appena sente il profumo dei fiori si guarda disincantato alla ricerca della bara. Un personaggio che vive nascostamente dedicandosi alla stesura dei suoi horror soprannaturali, intrisi di pessimismo e profondità psicologica, che alla narrazione di storie sconvolgenti e tragiche aggiunge una visione filosofica crudele, disincantata, nichilista. Una visione filosofica che ha come massima rappresentazione La cospirazione contro la razza umana (Il Saggiatore). La cospirazione è il controvangelo di Ligotti, una bibbia nichilista ed antinatalista, che insegnano al suo lettore che il vero più grande desiderio dell’essere umano, come un tempo fece Sileno con Re Mida, è non essere nati, non aver sentito, non aver capito. Un testo di un pessimismo denso e radicale che ha reso Ligotti il maestro oscuro della prima stagione di True Detective, facendone il catechismo oscuro di Rust Cohle, il protagonista della serie di Pizzolatto. Un personaggio che guarda la vita come uno spettacolo mortale, insensato e frustrante in cui gli uomini continuano ad essere mossi, come marionette del destino, da una volontà di vivere crudele e antropofaga, che spinge l’umanità a continuare a crescere, a riprodursi, a non mettere fine a questo insensato spettacolo di morte ed illusione.
Antinatalista, antivitalista, nichilista e pessimista, Ligotti traccia nel suo trattato una genealogia della morale del pessimismo, che mostra come l’unica vera tensione liberatrice sia la volontà della morte, il cupio dissolvi che libera l’uomo dalla prigione del corpo e della vita, che è poi l’unico vero diritto dell’uomo. Nella Cospirazione l’autore non cede al facile palliativo di dire qualcosa di equivoco sull’umanità quando non può che dirne male, diventando spietato, affilato, crudele. Componendo un saggio che è una grande danza macabra filosofica capace di fondere orrore, soprannaturale, paradosso. Un’architettura gotica e oscura che mostra gli uomini simili alle marionette di Verlaine che «fanno, fanno, fanno. Tre piccoli giri e poi se ne vanno». L’uomo per Ligotti è una marionetta sedata contro tutte le verità mortali. Sedata dai neon del successo, dalle moribonde dolcezze della fama, del potere, del denaro, che proietta tutte le sue illusioni nelle messe in scena dei rapporti umani. Chiamando la sopravvivenza amore, famiglia, sacrificio, e le distrazioni arte, bellezza, religione. Una marionetta che vive uno spettacolo ogni giorno più insensato e falso il cui unico rimedio è tagliare i fili della realtà, scegliendo di uscire di scena per sempre, dalla polvere all’oscurità.
Un’opera quella di Ligotti che compie e realizza fino alle massime conseguenze il pensiero del pessimista norvegese Peter Zapffe, a cui è dedicata l’opera, che nel suo L’ultimo messia definisce l’esistenza come un mero «problema biologico», che bisogna risolvere con una unica soluzione, la stessa che si aggira nel testo Ligottiano. Ligotti da Zapffe riprende due conclusioni principali dalla filosofia del norvegese: che la coscienza è la vera maledizione dell’essere umano e che la sopravvivenza dell’umanità è nel ripudiare tale sortilegio tramite la zombificazione degli ancoramenti. Non tutti i mali vengono dalla coscienza, ma vengono capiti e compresi solo tramite essa, la sofferenza senza la cognizione del dolore è una fatalità biologica, una disgrazia che lascia gli esseri viventi nel loro oblio, disturbandoli senza turbarli. Gli esseri umani hanno al contrario dell’inorganico questa maledizione che li porta a vedere la morte, la guerra, la devastazione, che diventano dei fantasmi tramite la colpa, la paura, la depressione, tutti presagi dolorosi della loro fine. Presagi a cui si ribellano, inutilmente, tramite gli ancoramenti, delle mutilazioni della coscienza, delle illusioni, degli antidoti contro la vita che sono l’unica via di fuga per Zapffe per continuare a sopravvivere.
La sublimazione dell’arte e del lavoro, l’ancoraggio alla religione e alla propria comunità, l’isolamento dal proprio destino e della realtà, le distrazioni del groviglio delle relazioni umane, sono i pochi inutili nascondigli in cui l’umano si rifugia, trasformandosi in zombie inconsapevoli e ingenui, che verranno poi scoperti e disillusi dagli spettri della sofferenza e della fine. Contro queste due sventure Ligotti propone una filosofia della redenzione, per liberare l’uomo dalla sofferenza e dalla disperazione. Riprendendo la lezione di Mainlander, l’allievo più pessimista e nichilista di Schopenhauer, l’unica via, l’unica salvezza è nel preferire una fine spaventosa ad uno spavento senza fine. Interrompere «lo spaventoso passaggio di eredità» degli uomini, attraverso una svolta antinatalista ed autodistruttiva dell’umanità, che, come scrive nel suo testo Zapffe, comanda «conoscete voi stessi, siate infecondi e che la terra resti silenziosa dopo di voi». Un pessimismo integrale e radicale troppo esigente e cupo che si vuole contrapporre a quello dei vari Nietzsche, Rensi, Camus.
Per Ligotti la disperata vitalità e il tetro entusiasmo di questi autori non sono altro che palliativi “sadomasochisti”, in cui questi filosofi professano un “pessimismo pervertito” che non si rassegna alla fine, ma vi sguazza dentro come nel peggior utopismo. L’esistenza per Ligotti non è tragica, ma patetica, gli uomini di fronte alla storia non si uniscono, bensì preferiscono sbranarsi come un branco di lupi affamati. Alla visione dei già citati Zapffe e Mainlander, da cui trae il suo antinatalismo e nichilismo, Ligotti innesta i pensieri e le riflessioni dei suoi altri cattivi maestri: Schopenhauer come educatore e Lovecraft come esempio. Dal primo riprende la visione del mondo come volontà e rappresentazione, il culto della noluntas, che estremizza in repulsione totale di tutti i piaceri, dal secondo invece riprende la metafisica dell’orrore, la rappresentazione del segreto oscuro della natura attraverso una nera mitologia cosmica.
Contro gli inganni della ragione, che da sempre è l’avvocato delle cause perse delle passioni, le pretese delle utopie, le follie dei valori, le resistenze dell’istinto di specie, Ligotti si presenta come l’ultimo messia di una grande cospirazione contro la razza umana. Una cospirazione terribile, che nega in nome di tutto ciò che brutto e orribile nel mondo, ciò che lo rende sopportabile, le occasioni, il mistero, le emozioni. Un piano di salvezza che di fronte alle rimostranze dei suoi detrattori, soprattutto religiosi e umanisti, non dice nulla di così dissimile dalle filosofie cristiane e dal buddhismo. Lamentandosi del fatto che Lovecraft, Schopenhauer e Mainlander vengano definiti disfattisti e depressi, mentre Cristo, Siddharta e i mistici che hanno detto tutto il male possibile sulla vita e sull’esistenza umana, forse anche peggio dei tre maestri citati, vengano invece definiti santi, ascetici, incorruttibili solo per il loro happy ending after life. Ligotti si presenta come un impossibile e mostruoso ultimo messia, che vuole redimere l’umanità facendola estinguere. Questo Zarathustra antinatalista non vuole salvare l’umanità, vuole risparmiarla. Ad un prezzo forse troppo alto…