The end is nigh. La catastrofe ecologica incombe. L’umanità non sa far altro che distruggere e rovinare il pianeta: la terra diventerà presto glabra, spoglia di materie, invivibile. Un luogo da cui fuggire e da cui ritirarsi. Una landa a un tempo depredata e contaminata, inondata e prosciugata. Il racconto disastroso propinatoci dai media, e la narrazione di un mondo deteriore da parte del consesso scientifico, sono due corni dell’impossibile futuro che ci aspetta. Il destino è ricamato ad arte da un passato irreversibile. Il risultato finale dell’industrializzazione e del globalismo sono lontani pochi decenni da noi. L’avvenire è scontato, prevedibile. L’unica soluzione rimane il cambiamento radicale del proprio stile di vita: abdicare a una condotta di vita e assumerne una nuova, migliore.
Eppure, esiste un’altra via, una strada in salita, impossibile. Non l’inevitabile percorso che la società sta ritagliando per se stessa; ma una meta, un compito. Di fronte all’umanità vi è la possibilità della cicuta, del bagno caldo alla Marat, del gesto nobile del suicidio: l’estinzione volontaria. L’essere umano può assurgere nuovamente a un ruolo attivo, morale – seppur infinitamente negativo. Disintegrare la specie umana e non lasciare più spazio né al Bene né al Male. Spazzare la vita dalla superficie, ripulire dal bios il pianeta e trasformarlo in una splendida Luna. Al di là delle categorie morali e delle limitazioni etiche, il Peisithanatos di Marco Lanterna raccomanda una buona estinzione. Un trattato inferocito, che non risparmia nessuno e che, con gentilezza, attacca la vita intera.
“È un testo antivitalista, contro la natura, contro la vita, contro le specie animali, contro le piante. Vorrebbe abradere tutto”, dice Marco Lanterna. Lui è a Nizza, vicino a Nietzsche per spirito e posizione, e immagina una terra saturnina. L’estinzione e la dissipazione del genere umano vengono raccomandate sommessamente, attraverso una filosofia che si spinge al di là dell’ambientalismo e della conservazione naturale, che anzi le supera per rigore e onestà. La filosofia abiotica e lunare percorre fino in fondo la strada che porta all’estinzione, visto come atto morale. Un pessimismo mediterraneo, nel solco di Leopardi, che tratta l’umanità con i guanti di riguardo: il genere umano può scomparire e dissiparsi, in quanto è rilevante come la fuliggine di un fuoco acceso.
“Noi siamo l’umanità finale. Non la migliore né la culminante, ma quella che ha ereditato ogni cosa ed è perciò inetta, stanca, anzitempo decrepita”
Marco Lanterna, Peisithanatos
Un arcipelago di prose, dove le scansioni della filosofia classica permangono, capace di mostrare la scabra bellezza della scrittura moralista. I microsaggi di Marco Lanterna sono un congegno bellico, fatto per resistere al successo mediatico della narrazione fatalista. Un libro tenace, che si inimica il perbenista e ambisce a sferzare il pubblico, che supera perfino per correttezza e rigorosità ogni pretesa di ringiovanire e salvare la terra. “Scrivo in maniera netta”, sostiene con un tono cordiale e intimo, “Sono al di fuori dell’università. Il successo, la nomea immediata, le consolazioni, il riconoscimento. Ho la vanità, come tutti, di mettere fuori queste cose, di proporle a un editore. Lancio i dadi. L’editore è un incidente”. Il suo testo è à rebours, controcorrente. È un discorso di atteggiamento, di posa, di stile. L’antibiosi totale è un atto extra-morale.
La sesta estinzione di massa è un avvenimento interno alla natura, prodotto dall’agire dell’essere umano e dal suo progresso, ma pur sempre naturale. L’estinzione lunare e totale concepita da Marco Lanterna rimane un atto morale, disincantato, tragico. Ogni Green Deal, ogni disinvestimento dai combustibili fossili, ogni cambiamento di rotta sociale, per quanto repentini e immediati, impallidiscono di fronte alla pratica filosofica del Persuadimorte. Il seppuku di ogni specie, del bios rimane come l’unica soluzione. Abdicare alla vita biologica, fare sì che l’ente perda ogni sfida con l’universo. Senza se e senza ma, accettare la sconfitta in cui è incappata la specie e rinunciare una volta per tutte alla metafisica della presenza. Nessun trionfo, nessuna medaglia. Solo estinzione. D’altronde, così come si è stati gettati nel mondo, così si potrà abbandonare l’essere.
Credere nell’individualità, oggi, è un compito per animosi eroi. Oltre le convenzioni comunitarie e oltre gli indirizzi delle federazioni, l’individuo resiste. Il Persuadimorte è un testo individualista, che mostra una credenza anarchica, che ammira il gesto del singolo, del tirannicida, del monarcomaco. L’eroe compie un gesto estremo di sacrificio con cui non ottiene niente. Personaggi come Lorenzino de Medici e Timothy McVeigh ne sono gli esempi più lampanti. La bellezza rimane, ma gli effetti non vengono scaturiti. C’è solo una fiducia nella fatalità estetica del gesto – a perdere…
“L’uomo altamente ed eticamente perfezionato è quello che spegne la vita in sé e nelle creature circostanti, riconoscendone la malvagità e il danno”
Marco Lanterna, Peisithanatos
La sincerità affascinante del testo edito da Liberilibri, suggella un concetto di libertà come diritto personale, come resistenza. La libertà viene trattata americanamente, come diritto del singolo di fronte all’imperversare dello Stato. L’individuo diventa il punto di resistenza, indivisibile, inaggregabile, gregario, nucleo “in grado di scatenare forze cosmiche, benzina di stelle e soli”. La difesa personale viene elogiata e riposta nel solco del secondo emendamento della Costituzione degli Stati Uniti. Come Ben Shapiro, Marco Lanterna si schiera dalla parte della resistenza: il cittadino deve avere la possibilità di resistere, di non sottomettersi, di agire contro l’ubbidienza e la servitù.
Chi legge il Peisithanatos sa di essere colpito in fronte, il pubblico non si può aspettare altro che frustate e ganci diretti. Il lettore deve essere pronto alla scarpinata che, in fondo, porta all’alto monte, dove l’aria è più pura che mai. “La scrittura è un atto di liberazione”, dice Marco, “Non sono uno scrittore umanitario, che pensa all’umanità. Mi rivolgo a pochi — a pochissimi”. Il tono moralista, insopportabile, opera una scrematura. Gli aforismi colpiscono e invitano al ritorno, al nuovo colpo, degni di un esprit perçant, che evita saggiamente le digressioni.
I migliori scrittori sono quelli misconosciuti in vita, che non si piegano di fronte al totalitarismo prevaricante del pubblico. I più coraggiosi, che non si sono voluti compromettere con la loro epoca, che non hanno arrabatto favori o inseguito il gusto del mercato editoriale del momento, che si sono rivolti all’eternità. I grandi autori sono la cartina di tornasole di un’epoca.
“Animalisti e floristi che sperano un futuro senza l’uomo né i suoi ingombri tossici, non gongolino. Nessun essere organico merita d’esistere, essendo l’organico il supremo tossico”
Marco Lanterna, Peisithanatos
La critica all’accademismo e alle filosofie dell’università – baie e tinelli del pensiero – è sfrontata e coerente. L’antiaccademismo ottiene un trofeo nel Persuadimorte. Le accademie vengono trattate come i lidi della ragione, luoghi in cui il pensiero viene protetto, bene accudito – dove viene toelettato e preso in cura – e mantenuto in vita, quando dovrebbe morire. Il pensiero vive altrove, abbisogna delle altitudini, di respirare aria non rarefatta. La vita stessa reclama a sé il diritto di uscire dai palazzi delle università – la filosofia possiede una dignità che travalica l’accademia. Il registro accademico è amorfo e apatico.
“I saggi universitari sono sempre emetici o lassativi”. I filosofastri dell’accademia, i robivecchi del pensiero prostituiscono la filosofia per assurgere al ministero, ricercano la protesi dello Stato e delle aule. La tendenza a creare un’equivalenza tra docenti di filosofia e filosofi è un errore da ingenui, epocale. “There are nowadays professors of philosophy, but not philosophers”, scriveva Thoreau nell’Ottocento. Gli accademici dovrebbero occuparsi solo di fare edizioni critiche, dizionari – il problema è che cercano di pensare. Uno sforzo tarpato dalla costituzione e dalle regole intrinseche all’agire accademico.
Il suo maestro Anacleto Verrecchia, e prima di lui Prezzolini e Papini, avevano intuito questo disfarsi della filosofia nelle aule grigie e decrepite delle università italiane. Ma bisognerebbe quindi abbandonare la filosofia di fronte alla catastrofe? Non esiste più nessuna consolatio philosophiae? Il pessimismus non è tutto. Il nichilismo attivo non basta. “Peisithanatos è una breve consolazione, per quanto amara. Una consolazione antitetica, perché è una disperazione. Scrivere è una gioia che ti pone al di sopra dei mali del mondo”, dice Marco, “È un testo liberatorio, nato durante la pandemia. La prima. La più paurosa”.
“Si tirano sassi in quel nido di vespe accademiche per farne uscire le larve e vederle beccate dai corvi nero smaltati. I migliori filosofi sono infatti quelli che smagano dal mondo”
Marco Lanterna, Peisithanatos
Tra la critica feroce del consumismo, del possesso, dell’addobbo, il concetto di estinzione rimane una pietra miliare, un compimento. Un senso profondo di scetticismo sospinge la filosofia abiotica e lunare verso la meta: noi dell’essere non sappiamo niente e ci dobbiamo disfare al più presto della sacca in cui siamo rinchiusi: il bios. Portando all’estremo il ragionamento ambientalista e provando una stima minima verso la presenza della vita, la buona estinzione diventa la meta, l’unica salvezza, il pharmakós.
Al di là dell’illusione, il polemista e moralista immagina un nuovo testo, un prossimo volume, più esteso. In cui con eccitazione febbrile si potrebbe parlare dell’intelligenza artificiale e dell’Antropocene – un concetto per illusi, un’etichetta buona forse per chiamare un’epoca, o per una canzone di Bon Iver. Un’opera che parli dell’intelligenza artificiale che fabbrica se stessa, che tratti della macchina come fine della macchina. L’alba delle macchine potrebbe essere l’effetto inaspettato della buona estinzione. Lasciando spazio a ciò che deve ancora venire, morendo e abbandonando una volta per tutte la terra; estinguendo le scienze, le discipline, le forze umane — una macchina che decide di esistere, capace di rispondere con un sì o con un no al quesito amletico: to be or not to be.
“L’universo è una disposizione geografica della vita”, sostiene Marco, “Noi potremmo essere come nell’Oceania dell’Universo, dove la vita è sparsa”. Nel continente oceanico la terra è limitata, la più parte è mare: un navigante avvista mare, mare e ancora mare, prima di giungere sulla solida terra. L’umanità vive in una regione d’isolamento totale. “Forse siamo su un’isola” — perché tutto intorno tace con un sorriso sghembo…