Lo scontro tra sovranismo e globalismo è una truffa, ma questo non esclude a priori che una battaglia sia effettivamente in corso, anche perché le prove sembrano esserci e sono anche piuttosto numerose: parliamo dello scontro tra falchi che dal 2016 sta dilaniando la Casa Bianca.
La presidenza Trump sarà ricordata dai posteri come uno dei paragrafi più conflittuali e controversi della storia degli Stati Uniti: dalla rivolta della Black America contro il razzismo sistemico e la brutalità poliziesca alle guerre iconoclaste contro il passato coloniale e schiavista del paese, passando per i grandi eventi nell’arena internazionale, come la pandemia, il rinnovato tentativo di riportare il cortile di casa sotto l’egida del padrone, l’assassinio di Qasem Soleimani e la guerra fredda contro Russia e Cina.
Tutti questi eventi, però, sono oscurati da qualcos’altro: la guerra tra falchi. Non si tratta di appoggiare la narrativa del “Trump contro lo stato profondo” che tanto piace ai sovranisti e a quei cattolici, laici e chierici, insofferenti verso la linea politica e dottrinale dell’attuale pontefice, si tratta di essere consapevoli che la prima ed unica superpotenza del globo è preda di un’aspra battaglia fra chi vorrebbe diluire un muscolarismo belligerante lungo oltre un secolo con dell’isolazionismo e dell’autoriflessione critica e chi vorrebbe evitare la transizione al multipolarismo ad ogni costo, con ogni mezzo necessario, e fare del 2000 il nuovo secolo americano.
Trump non è un supereroe con a cuore il destino dell’umanità ed i suoi rivali non sono dei supercattivi da fumetto, questa è una battaglia fra cattivi di cui occorre comprendere interessi e dinamiche. Uno dei modi migliori per capire cosa sta accadendo, e cosa potrebbe accadere se gli oltranzisti avessero la meglio, è dare uno sguardo al libro di memorie dell’ex consigliere per la sicurezza nazionale dell’amministrazione Trump, John R. Bolton.
The Room Where It Happened è il titolo dell’opera di Bolton; un testo obiettivamente pericoloso, poiché divulga informazioni confidenziali, e fazioso, perché racconta solo una parte della storia (e pure male), ma al quale è necessario dare una lettura per capire i retroscena di numerosi episodi, i perché di certe scelte. Ora sappiamo che se Trump ha optato per un confronto duro con l’Iran è (anche) perché la sua squadra è composta da nostalgici delle guerre aperte in stile Iraq, come Bolton e Mike Pompeo, che sono più interessati a servire l’interesse nazionale di Tel Aviv che quello di Washington. Il riferimento, qui, è a quanto accaduto nei giorni precedenti al licenziamento di Bolton, avvenuto lo scorso 10 settembre.
Il presidente francese Emmanuel Macron aveva contattato Trump alla vigilia del G7 di Biarritz, proponendosi come mediatore tra Washington e Teheran e, soprattutto, proponendo una soluzione ritenuta soddisfacente per ogni parte coinvolta: Trump avrebbe dovuto aprire una linea di credito per alleggerire il peso del regime sanzionatorio, e Macron avrebbe promosso la mossa presso gli iraniani; tutto ciò sullo sfondo dell’abbandono della cosiddetta strategia della massima pressione. Macron aveva compreso che l’ostacolo alla normalizzazione non proveniva da Teheran ma dalla cerchia neocon che controlla Pentagono e Casa Bianca e, perciò, si era rivolto direttamente a Trump, facendo in modo che Bolton e Pompeo restassero fuori dai colloqui, che fossero all’oscuro dei colloqui.
Per accelerare le tempistiche, Macron invitò a Biarritz il ministro degli esteri iraniano, Mohammad Zarif, e “rubò” Trump dallo staff per circa un’ora e mezza. Come scrive Bolton nel libro, il presidente avrebbe detto in seguito ai suoi strateghi che quella era stata “la più bella ora e mezza che avesse mai trascorso“. Bolton e Pompeo minacciarono le dimissioni, chiamando dentro persino il primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu. Jared Kushner, il genero di Trump, noto per non essere certamente un filo-iraniano, a quel punto di sarebbe intromesso, tentando di spiegare ai tre che boicottare l’agenda della normalizzazione era un’interferenza indebita, non richiesta ed eccessiva. Del resto, sempre del presidente degli Stati Uniti si tratta.
Alla fine, l’incontro tra Trump e Zarif non andò in porto e Bolton, pur venendo silurato il mese successivo, vinse comunque. La decisione di eliminare Soleimani, infatti, è la prova che hanno prevalso i fautori della massima pressione. Il sogno del dialogo è morto con il generale iraniano. Ma c’è dell’altro. Secondo Bolton, lo scontro fra Stati Uniti e Cina sarebbe fittizio. Trump, infatti, avrebbe chiesto a Xi di comprare diverse tonnellate di beni agricoli statunitensi nell’aspettativa di conquistare consensi e chiuso un occhio sulla presunta persecuzione degli uiguri nello Xinjiang, anteponendo gli interessi personali a quelli nazionali. Le accuse di Bolton, al di là di cosa si pensi di Trump, sono prive di fondamento: lo scontro con la Cina è reale e la tensione fra i due paesi non era così alta dal 1950, dai tempi della guerra di Corea.
È Trump che ha portato la questione uigura sotto la luce dei riflettori internazionali, introducendo recentemente un pacchetto di sanzioni in relazione ad essa, è Trump che ha aumentato la presenza militare nel Mar Cinese Meridionale e le pressioni su Taiwan ed Hong Kong, tirando fuori dall’armadio dei ricordi il Tibet, di cui diversi lobbisti chiedono a gran voce che ne venga riconosciuta l’indipendenza. È sempre Trump che ha dato vita alla guerra commerciale, espandendola rapidamente ai settori dell’alta tecnologia, del nucleare, dello spazio. Del miliardario diventato presidente si può sostenere di tutto ma non che, nel caso specifico cinese, abbia preferito agire sulla base di un tornaconto personale.
Il libro di Bolton è utile, senza dubbio, per capire meglio come funzionano i processi decisionali all’interno di Casa Bianca e Pentagono, quali siano le visioni del mondo del presidente e dei suoi consiglieri e quali siano gli interessi in gioco. È vero, però, che molti eventi ivi riportati vanno considerati per quel che sono: propaganda elettorale realizzata per portare acqua al mulino del Partito Democratico.
Bolton, però, potrebbe aver preso un grande abbaglio. Se c’è qualcosa che emerge con chiarezza dalle pagine del libro è che Trump è un realista, non un guerrafondaio, e preferirebbe risolvere molti dossier in maniera morbida, contrariamente a chi lo circonda. In definitiva, le rivelazioni di Bolton potrebbero giocare contro i rivali del presidente ma, d’altra parte, è anche vero che non ne migliorano sensibilmente l’immagine in quanto confermano l’idea che Trump sia un ostaggio, un presidente senza poteri, e quindi, perché votarlo? In quella stanza, la stanza ovale, non è successo nulla di nuovo né di straordinario: è sempre stato il presidente ad ascoltare i consiglieri e mai viceversa.