ll mito potrebbe porsi come pietra angolare della cultura contemporanea con cui confrontare tempo e spazio. Queste due ultime categorie però mostrano ulteriori sfaccettature di visione che ci gettano nella dinamica storiografica e nella filosofia della storia. È possibile isolare la storia ad una dimensione puramente spaziale e narrativo-mitologica oppure la dialettica temporale hegeliana rimane l'unico metodo storico riflessivo? Il mito è da considerare come causa in tale relazione o potrebbe profilarsi anche come conseguenza?
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Nelle opinioni di molti è sedimentata una modalità di lettura cronologica e categoriale della storia, la quale ci permette di razionalizzare il passato in funzione di comprensione del presente e organizzazione del futuro. Una funzione che ha permesso leggere avvenimenti, interpretarli e organizzarli e per alcuni anche appassionarci ad essi. I grandi movimenti di organizzazione storica e filologica della cultura umanistica fino ai grandi movimenti del XIX secolo sono stati un asse portante. Il culmine filosofico di tali movimenti si possono riscontrare in Hegel e nei capisaldi che ci hanno condotto fino alla contemporaneità (Dilthey, Spengler e molti altri). Il secolo breve, il Novecento, più maturo e con più collegamenti con altri campi del sapere al di fuori della Filosofia della Storia, ha interconnesso maggiormente tale aspetto apportando Antropologia, Psicologia, Sociologia, Genetica, Geologia, Etnografia e molto altri ambiti. Ponendo a contraltare due grandi nomi in tale senso, potrà emergere così un percorso dicotomico che oggi sembra insanabile da tutti i palliativi conoscitivi sopracitati. Partiremo da un argomento scottante che caratterizza forse, il ventunesimo secolo e che ancora a lungo segnerà un imprescindibile percorso:
“L’insegnamento ricavabile per noi dalla condizione di schiavitù fra i negri, il solo a costituire un lato interessante ai nostri occhi, è quello che conosciamo dall’idea che lo stato di natura come tale è lo stato di un’assoluta e universale ingiustizia. Anche ogni passo intermedio fra lo stato di natura e la realtà dello Stato razionale possiede momenti e tratti d’ingiustizia; perciò troviamo la schiavitù perfino nello Stato greco e in quello romano, così come troviamo la servitù della gleba fino ai tempi più recenti. Tuttavia, allorché esiste all’interno dello Stato, la schiavitù è, a sua volta, un momento di progresso rispetto all’esistenza sensibile, puramente isolata, è un emomento di educazione, un modo di partecipare a una morale superiore e alla cultura che vi si accompagna. La schiavitù è in sé e per sé un’ingiustizia, poiché l’essenza dell’uomo è la libertà; tuttavia, bisogna che prima l’uomo divenga maturo per la libertà.”
Indipendentemente dalla mancanza di bonarietà di tale sintesi, emergono dei punti fondamentali: 1) l’identificazione di Libertà, Stato e Giustizia quali sequenze necessarie dello sviluppo umano e 2) Schiavitù-Neri-Senso della loro Storia. Tali punti sono interconnessi nel classico contesto di razionalità-realtà inscindibili quale unica via. Emerge anche un ulteriore punto: Hegel non prese neanche in considerazione una dinamica non razionale della storia, seppur questa esista e abbia trovato in Levi-Strauss un qualcuno che l’ha consegnata con il nome di Pensiero Selvaggio.
“Ebbene, quel che vale per la costituzione del fatto storico vale egualmente per la sua selezione. Anche da questo punto di vista, lo storico e l’agente storico scelgono, eliminano e sottolineano, perché una storia davvero totale si risolverebbe nel caos. Ogni angolo dello spazio cela una moltitudine di individui ognuno dei quali totalizza il divenire storico in maniera inconfrontabile con le altre; per uno solo di tali individui, ogni momento del tempo è inesauribilmente ricco di accidenti fisici e psichici che hanno tutti quanti una parte nella sua totalizzazione. Anche una storia che si dice universale altro non è che una giustapposizione di alcune storie locali, in seno alle quali (o tra le quali) i vuoti sono molto più numerosi dei pieni.”
Pg.279, PS, Levi Strauss
Levi Strauss si aggancia ad una contrapposizione singolo-moltitudine, dove il secondo è un vano tentativo di fare una sommatoria di singolarità e di visioni, senza nessuno che possa interpretarne il soggetto. Eppure sono veramente tanti gli esempi che possono essere addotti per scardinare una storia universalistica giustificata dallo Stato. Levi Strauss ha ricondotto e distrutto la visione della storia Hegeliana dove Stato-Popolo e Tempo giocano fattori determinanti contrapponendogli una visione nicciana dettata da Singolo-Unicità e Spazio.
“Si continui pure a preparare il campo a queste creazioni, a scrivere la storia dal punto di vista delle masse e a cercare in essa quelle leggi che possono essere dedotte dai bisogni di queste masse, ossia le leggi del movimento degli strati inferiori di creta e di argilla della società. Solo per tre rispetti mi sembra che le masse meritino uno sguardo: innanzitutto come copie evanescenti dei grandi uomini, fatte su carta cattiva e con lastre logore, poi come ostacolo contro i grandi, e infine come strumenti dei grandi; per il resto, che se le prenda il diavolo e la statistica! Come, la statistica dimostrerebbe che ci sono leggi nella storia? Leggi?
Roma, Maggio 2024. XVIII Martedì di Dissipatio
Sì, essa dimostra quanto la massa sia volgare e disgustosamente uniforme: si devono chiamare leggi gli effetti di quelle forze di gravità che sono la stupidità, lo scimmiottamento, l’amore e la fame?”
UDS, Pg.84, Nietzsche
Nietzsche però non considera inesistente la dinamica popolo-massa ma la considera di scarsa qualità, aspirando ad una dimensione singolare dove la storia sia una narrazione di superuomini, andando a riprendere un titanismo romantico, o meglio greco-ellenico, dove l’atto mitico teatrale riassume la carica di Pathos narrativo. Levi Strauss invece insiste su una dinamica scientifica dove l’apporto di molteplici discipline al di fuori della storiografia, non fa altro che evidenziare l’assenza del filo rosso del senso storico comunemente inteso.
“E sarebbe vano credere che moltiplicando i collaboratori e intensificando le ricerche si otterrebbe un migliore risultato: nella misura in cui la storia aspira al significato, si autocondanna a scegliere regioni, epoche, gruppi di uomini e individui in questi gruppi, e a metterli in risalto, come figure discontinue, su un continuo buono appena a servire da tela di sfondo. Una storia davvero totale si neutralizzerebbe da sola: il suo prodotto sarebbe eguale a zero. La storia è resa possibile dal fatto che un sotto-insieme di avvenimenti, per un periodo dato, viene ad assumere approssimativamente il medesimo significato per un contingente d’individui che non necessariamente hanno vissuto tali avvenimenti, e che magari li considerano a parecchi secoli di distanza. La storia non è quindi mai la storia, ma la storia-per.”
L’operazione di Levi Strauss però di demolire la teoria storiografica classica e di costruire una dinamica geografica atemporale del Pensiero Selvaggio ci riconduce, quali uomini, nel mito della narrazione orale e della corrispondenza tra mente e realtà, dove la magia sincronica o diacronica funge da mediatrice. Tale visione ci rigetta in quell’oscura divisione arcana che ha scisso la filosofia dal mito. Indipendentemente dal grande merito dell’antropologo francese di dare un giusto spazio all’etnografia e alla mitografia dei popoli, non è possibile dirimere per essi un nesso certo tra un mito antico e un mito appena narrato. Mito che non va visto con paura e sintomo di barbarie, ma come una pietra angolare in cui riconoscersi ancora oggi in una determinata dimensione culturale. Ma per chi non vi si riconosce? Per chi non si identifica nelle prodezze degli Dei e degli Eroi della Grecia? È possibile che il mito non abbia una valenza universale ma anzi sia da ricondurre ad uno spazio geografico oltre che ad un tempo? Il non essere presenti nel mito comporta un non essere presenti al mito. Il non-esserci in quello spazio metafisico e narrativo è forse la più forte forma di esclusione ben prima che ogni forma denigratoria, poiché la com-partecipazione ne risulta una porta chiusa.
Nato ad Ancona nel 1991. Laureato in Scienze Filosofiche con una tesi in Storia delle Idee. Appassionato di Filosofia, Letteratura, Poesia, Mitologia e Scienze e di come tali saperi si intrecciano tra loro.