OGGETTO: Dialogo immaginario con Alexandre Kojève
DATA: 09 Febbraio 2022
SEZIONE: Geopolitica
FORMATO: Racconti
AREA: Europa
Strateghi e mitopoieti del passato e del presente. Un filosofo russo, adottato dalla Francia, e un Presidente, Emmanuel Macron, che deve ripensare il senso di grandeur.
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Che la Francia sia intrisa di eccezionalismo culturale è litania boriosa da oltre tre secoli, ma che sia stato un russo, nel Novecento, a formare un’intera élite di alti burocrati parigini a suon di stravolgenti seminari su Hegel è storia ancora da raccontare. Accento slavo, nipote di Vassilij Kandinskij e donatore di diamanti per il bene del cinema espressionista tedesco, Alexandre Kojève non è un intellò qualsiasi. “Volevo sapere come si fa la Storia” dirà all’amico e filosofo Raymond Aron che gli chiese come mai aveva lasciato la filosofia per entrare, da grand commis de l’Etat, nell’amministrazione parigina. Insomma, quel che serve per l’interesse nazionale. Che poi, in Francia, si legge grandeur.

Per la causa risvegliamo il “professore incantatore”, e da Bruxelles, luogo di morte, lo trapiantiamo in uno spazio e tempo a lui caro. Place de la Sorbonne, lunedì pomeriggio ore 17 – dove a 31 anni tra il 1933 e il 1939 si divertì a fare “opera di propaganda destinata a scuotere gli spiriti”. Spiriti del tempo, incarnati in gente del calibro di Raymond Queneau (scrittore), Jacques Lacan (padre della psicanalisi francese), Georges Bataille (filosofo), André Breton (poeta), Éric Weil (filosofo), Hannah Arendt (filosofa), Robert Marjolin (economista e Commissario europeo per gli Affari Economici e Monetari). Un altro stratega, le président philosophe Emmanuel Macron, lo attende lì dove anche lui, qualche anno fa, pronunciò il discorso che diede il via all’ambizione dell’Europa sovrana e che, da lì a poco, gli avrebbe fatto perdere il sonno. Tre gli obiettivi. Obbligare il Potere a pensare. Misurare la profondità della grandeur. Cogliere nella necessità storica i semi della propaganda imperiale.

A. Kojève: L’esperienza storica ha proclamato la morte delle realtà politiche nazionali. Lo Stato moderno francese dovrebbe quindi poggiare su una vasta unione imperiale di nazioni imparentate. Una parentela di lingua, di civiltà e di mentalità che esiste, anzitutto, fra le nazioni latine: Francia, Italia e Spagna. È evidente che il peso specifico politico e culturale della Francia la ponga come nazione “primogenita” fra le tre sorelle latine, assegnandole un ruolo di primus inter pares. Il Trattato del Quirinale firmato lo scorso novembre ha condotto taluni ad affermare che il Progetto di una dottrina della politica francese preparato nell’agosto 1945 per il generale Charles De Gaulle, e prematuramente bocciato dall’allora consigliere economico Marjolin, sia stato ritrovato fra i dossier dei laboratori strategici dell’Eliseo, a riconoscimento tardivo dell’intrinseco valore che gli fu ai tempi negato, e a ispirazione dell’accordo.

E. Macron: In Francia aleggia questa idea secondo cui, quando le cose si mettono male con la Germania, occorre rivolgersi ai cugini d’Oltralpe. È un’idea che non funziona quasi mai, eppure si rivela ciclicamente necessaria. È vero, nel momento in cui la République scorge il rischio, più o meno reale, che la Germania stia tentando un ampliamento della sua sfera d’influenza nel Vecchio Continente, di riflesso questa corre alla ricerca di alleanze con i Paesi mediterranei, al fine di bilanciare le ambizioni dell’Aquila. Tatticamente oggi necessitiamo che l’Italia aderisca al nostro progetto europeo per conseguire lo stesso il più placidamente possibile. Il Belpaese dalla sua, con un margine di manovra assai più limitato, ha interesse ad accettare il ruolo che gli assegniamo in quanto satellite prediletto. Confidiamo che Roma sappia declinare questa condizione di favore perseguendo gli stessi obiettivi che sono i nostri: (i) assicurarsi la sopravvivenza attraverso la garanzia del Next Generation EU; ed (ii) evitare che la Germania torni presto all’austerity, condannando entrambi a uno sciagurato declino.

A. Kojève: Sempiterno è il pericolo oltre Reno. Come predetto quasi 80 anni fa, l’insidia economica rappresentata da una Germania “alleata” affrontata all’interno di un “blocco occidentale” che sia emanazione dell’impero anglo-americano non solo non era sbilenca chimera, ma permane condizione mortale per la Francia. Quella che fu un’inevitabile integrazione di Berlino nel sistema europeo comportò la riduzione di Parigi al rango di potenza secondaria all’interno dell’Europa continentale.  A contrario, dal punto di vista francese, è a Sedan, è nella Sala degli Specchi di Versailles, è a Vichy e in quella vergogna nazionale di cui nessuno ha ancora il coraggio di parlare a Parigi, che risiede il segreto dell’Europa di oggi. Ed è nella compensazione e nella rivalsa per la disfatta storica, nella necessità di trovare sfogo e respiro altrove nel continente, che l’idea di un’unione latina, con gli occhi puntati a Est, trova la sua ragion d’essere, nonché la sua efficacia politica tanto cara a Carl Schmitt.  Ma non credo che lei, come Marjolin allora, abbia colto la cogenza e lungimiranza del progetto di un’Impero latino. L’utilizzo strumentale delle alleanze, la realpolitik per intenderci, lo sappiamo bene, nasce in Francia fin dal Settecento, e lei ne sta audacemente proseguendo la pratica. L’apparentamento di questi tre paesi presuppone, tuttavia, un’unità di sostanza e genesi fondata su una più autentica specificità propria della civiltà latino-cattolica.

“L’arte del tempo libero che è l’origine dell’arte in generale, l’attitudine a creare quella ‘douceur de vivre’ che nulla ha a che fare con l’agiatezza materiale, (…) un senso profondo della bellezza associato in generale (e in particolare in Francia) a un sentimento spiccatissimo della giusta misura, e che permette in questo modo di trasformare in ‘douceur’ aristocratica di vita il semplice benessere ‘borghese’ e di elevare spesso fino alla gioia i piaceri che in un altro ambiente sarebbero dei piaceri volgari”[1].

E. Macron: La convergenza dell’Europa attorno alla Francia con l’obiettivo ultimo di controllare e contenere il pericolo tedesco, preconizzata dal Generale, è incarnata oggi nella proposta del governo francese di un’Europa sovrana, o come piace al Ministro dell’Economia Bruno Le Maire, di un “nuovo impero” europeo. Eppure, duole constatare che questo rinnovato gaullo-mitterandisme sta irrimediabilmente decadendo. Mi chiedo se e quanto Parigi sia ancora indispensabile a Berlino. La Francia tenta di accelerare l’evoluzione verso un’autonomia europea, ma le cose cambiano troppo lentamente nel Vecchio Continente.

A. Kojève: La dottrina incarnata nella sintesi hegeliana della politica del “en même temps” è tutto fuorché gaullista. Per il Generale, la concezione dell’Europa come moltiplicatore di potenza dello Stato francese era un’idea esclusiva, ovvero al solo servizio di una Francia decisa a rifarsi sulla Germania sconfitta e a compensare il doloroso ingresso nell’egida americana. D’altronde, anche l’idea latina non è altro che una concretizzazione della volontà francese di autonomia politica e di “grandezza”, plasticamente manifestata in ogni parola e atto di De Gaulle. Insomma, per l’homme du destin, il carro guidato dalla Francia e trainato a cavallo dall’economia tedesca era una ricerca d’indipendenza per riportare la Grande Nation alla condizione pre-Waterloo. Quello sì, era sogno di autonomia.

Nel disegno odierno, invece, sembra debbano necessariamente trovare posto le istanze sovrane degli altri paesi europei. E se, come pare, il nuovo racconto nazionale vede nell’Europa non uno degli orizzonti possibili, ma l’unica via per imporre la voce francese, se ciò che viene propugnato è un ordine che fonde le sovranità statali in un ircocervo comunitario, trasferendo al livello europeo gli attributi dello Stato francese e delineando una “cultura strategica comune”, lei dimostra di aver perso la bussola Monsieur le Président[2]. Dimenticandosi il primo grande assunto che è l’unicità della geopolitica francese: lo Stato precede la nazione. E privati del senso dello Stato, i cittadini francesi perdono sé stessi, la loro identità. In nuce, lei sta preparando il terreno a un nuovo 1940.

E. Macron: Non le sfuggirà che sebbene io parli alle masse dell’Europa come di un “progetto politico non egemonico”[3], la constatazione della morte cerebrale della NATO, non più affidabile né efficace, l’insistenza su una sicurezza europea che proceda indipendentemente dall’Alleanza atlantica, la difesa della force de frappe come prerogativa nazionale inaggirabile, sono tutti elementi coadiuvanti nel delineamento di uno schema geopolitico europeo che, riformulando il primo Segretario Generale Lord Ismay, tenga sotto i tedeschi, dentro i russi, e alla porta gli americani. Tra le macerie di sovranità delle cancellerie europee, siamo l’unica repubblica con un monarca alla guida per Costituzione, e un esercito ancora degno di questo nome, presente in tutti i continenti del globo, il solo con arsenale atomico e un’estensione marittima di prim’ordine. Siamo gli unici a guardare negli occhi gli americani e a parlare e ad agire pressoché in libertà nei consessi internazionali. Ciò servirà a far comprendere ai partner europei i nuovi rapporti di forza e le nuove regole di comportamento internazionale. Questo schizzo di inedita responsabilità europea condurrà, nondimeno, a un ineluttabile allentamento della relazione transatlantica, incapace e mal disposta a raccogliere le sfide che ci riguardano (incluso il Mediterraneo), auspicabilmente periferizzando l’ombra americana sul Vecchio Continente.

A. Kojève: Questa ambiguità ambivalente nel concepire e raccontare l’europeismo rivela tutta la tragicità del suo ufficio e, più in generale, del momento francese. Se la strumentalità dell’Europa sovrana ai fini di potenza franco-francese incontra, forse, l’approvazione dei burocrati parigini, la coltura pedagogica dispensata nella coscienza francese ha nobilitato una fede europeista oltremodo eccessiva, la quale ha generato un corto circuito ideologico. I francesi, insomma, sono diventati più europeisti di lei. Più dediti al benessere materiale, al mantenimento di una qualità della vita alta, a una sospensione della Storia che li allontana da quel sogno di potenza e gloria di cui soltanto l’Esagono, fra i paesi europei, conserva ancora qualche briciola. Il che riporta in auge le parole del Generale:

“Ora do, o cerco di dare, alla Francia il volto di una nazione solida, compatta, determinata, in espansione, mentre invece è una nazione flaccida, che pensa solo al suo comfort, che non vuole storie, che non vuole combattere, che non vuole fare del male a nessuno, non più agli americani che agli inglesi. È un’illusione perpetua. Sono su una scena teatrale, e faccio finta di crederci, faccio credere alla gente, penso di riuscirci, che la Francia è un grande Paese, che la Francia è determinata, unita, quando non è nulla di tutto questo. La Francia è crollata, è pronta a sdraiarsi, non a combattere. È così, non posso farci nulla. Non posso farci nulla”[4].

E. Macron: La situazione è ancor più dolorosa oggi, se vogliamo. Da un lato la popolazione francese tende alla pigrizia economicistica a cui ci stiamo opponendo strenuamente attraverso “obiettivi comuni che non siano semplicemente una delega del nostro futuro al mercato”[5]. Dall’altro, quella che Schmitt definiva l’élite dell’anticamera sta pericolosamente abbracciando un neoconservatorismo degno della peggior Presidenza della Repubblica, quella di Nicolas Sarkozy. Per questo la chiusura dell’ENA, Scuola cult per i Kojève di domani, è stata necessaria. Il filoamericanismo che imperniava quei muri era controproducente alla formazione dei nuovi consiglieri del Principe. François Mitterrand l’aveva confidato durante le sue passeggiate a Campo di Marte:

“La Francia non lo sa, ma siamo in guerra con l’America. Sì, una guerra permanente, una guerra vitale, una guerra economica, una guerra apparentemente senza morte. Sì, gli americani sono molto duri, sono voraci, vogliono un potere incontrastato sul mondo. È una guerra sconosciuta, una guerra permanente, apparentemente senza morte e tuttavia una guerra per la vita o per la morte”[6].

A. Kojève: L’insieme dell’esistenza umana all’attività economica, al lavoro e allo scambio delle merci presuppone un’altra dimensione, quella della lotta per il puro prestigio. L’uomo economico va sempre di pari passo con l’uomo vanitoso. Non solo. La Francia non può prescindere da una concezione immateriale di sé perché ella soffoca dentro l’Esagono. Per questo, la formula imperiale che accomuna Francia, Italia e Spagna dovrebbe passare attraverso la forza unificatrice della Chiesa cattolica, che non è altro che un richiamo alla fondazione di un impero cattolico il quale non può essere che latino. “È stato il cattolicesimo a forgiare e a esprimere le energie primarie che ancora servono da sorgente spirituale profonda all’insieme della vita francese, e latina in genere”[7]. Il governo francese dovrebbe dunque coordinare la sua azione imperiale di cattolicità laicizzata con l’espressione che questo stesso cattolicesimo trova nella Chiesa e tramite il Vaticano. In parallelo, una profonda e radicale trasformazione della Chiesa romana a partire dalla “deitalianizzazione” del Vaticano è presupposto necessario per assicurarne la riuscita. Di più. La missione universalistica della Chiesa deve assurgere a riserva spirituale dell’Impero a trazione francese, in contrapposizione alla cultura protestante nell’Impero anglo-americano. Ça va sans dire, senza la sua fisiologica teologia giudaico-cristiana l’Occidente latino decade. La cultura cattolica come centro di irradiamento ecumenico è quindi la base su cui la Francia deve poggiare la sua idea di grandezza.

E. Macron: La Chiesa di oggi punta ad Oriente, tanto da rinnegare la giustezza della matrice occidentale dei diritti individuali dell’uomo, forgiatisi alla Bastiglia. Quanto al Vaticano, un Papa è stato costretto ad abdicare per i giochi della Curia romana e quello attuale ha scelto Casa Santa Marta, e non San Pietro, per motivi psichiatrici. No. Fare della Francia la figlia prediletta di Dio, la protettrice del Vaticano, servì certo lo scopo di stabilire un nesso fra la Chiesa e l’Impero di Roma per dotarsi di quella missione legittimante l’estensione del potere dello Stato centrale. Insomma, rapire il Papa e collocarlo ad Avignone fu mossa geniale, allora. Ma oggi la nuova idea di Francia, la sua nuova religione è puramente civile. In perfetta coerenza, d’altronde, con la formula del professore e amico Étienne Balibar, secondo cui “l’universalismo non fa mai direttamente ciò che dice, né dice direttamente ciò che fa”[8]. La lotta europea contro l’oscurantismo, la barbarie, il terrorismo è appannaggio della lotta francese al multiculturalismo e all’islamismo radicale, combattuta attraverso un’operazione che fa del laicismo lo strumento di assimilazione dei figli degli immigrati di religione musulmana. Quelle terze o quarte generazioni che non possiamo più lasciare ai ghetti autogestiti resi celebri da La Haine. Anche questa è opera di alta macelleria filosofica.

A. Kojève: Lei e tutti gli altri candidati alle prossime elezioni presidenziali avete colto il rischio di collasso interno della collettività francese se queste frange della popolazione non verranno ricondotte al paradigma classico dei valori repubblicani di cittadinanza. Ma siete dentro un circolo vizioso dal quale non c’è uscita: l’opera di omogeneizzazione culturale auspicata esige una dose di restringimento delle libertà individuali che gli stessi francesi non hanno alcuna intenzione di sopportare. La società francese ha mutato il suo atteggiamento verso le cose del mondo, sia all’interno che all’esterno. Così, non potendo imporre quel controllo serrato, quella violenza e quel dolore che la ragione di Stato richiederebbe, quest’ultimo smarrisce l’allure che lo contraddistingueva un tempo. Ne segue che la stessa teologia civile perde di forza, e s’infetta di declinismo. Ossessione di voi francesi, oggi sempre più realtà.


[1] Alexandre Kojève, L’empire latin – Esquisse d’une doctrine de la politique française, 27 agosto 1945.

[2] Emmanuel Macron, Discorso alla Sorbona, Pour une Europe souveraine, unie, démocratique, Parigi, 26 settembre 2017.

[3] Emmanuel Macron, Conferenza stampa in occasione della firma del Trattato per una cooperazione bilaterale rafforzata, Quirinale, 26 novembre 2021.

[4] Julian T. Jackson, De Gaulle, Une certaine idée de la France, Editions du Seuil, 2018.

[5] Le Grand Continent, La doctrine Macron, une conversation avec le Président français, 16 novembre 2020.

[6] Georges-Marc Benamou, Le dernier Mitterand, Plon, 1997.

[7] Alexandre Kojève, L’empire latin – Esquisse d’une doctrine de la politique française, 27 agosto 1945.

[8] Etienne Balibar, Sur l’universalisme – Un débat avec Alain Badiou, School of Social Sciences, University of California, Irvine, 2 febbraio 2007.

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