Disincantati, cinici, critici. Controcorrente in ogni tempo, inattuali perché capaci di seguire la massima tacitiana “pensate agli antenati, pensate ai posteri”. Allontanandosi dal coro dell’odiernità, dai neon di una società che superati i miti si illumina di mitoidi, che liberatesi di una società liquida ne costruiscono una aeriforme, liofilizzata. Sono gli imperdonabili, le intelligenze scomode del novecento, visionari e per questo gli unici realisti. Centro ritratti che formano una galleria di future vittime della cancel culture, raccontati da Marcello Veneziani nel suo Imperdonabili. Cento ritratti di maestri sconvenienti. Raccontati dalla splendida penna di Veneziani che ritrae i suoi personaggi con la profondità del filosofo, la grazia dello scrittore, la mimesi del ritrattista. Ritratti riproposti dall’editore Feltrinelli nella collana economica. In questo atlante di irregolari si passa dai giganti, da Dante a Nietzsche, dal Principe all’infinito, agli ideologi che mutarono il novecento come Spengler, Gramsci, Marinetti e D’annunzio. Ma nella Comédie Humaine di Veneziani non ci sono solo grandi classici, ma intelligenze pericolose e scomode come Benjamin e Pasolini, Mishima e Junger. Spiriti irrequieti per pensieri inquietanti. Dalla solitudine stellare del tradizionalista Julius Evola a quella affollata di Pessoa e dei suoi eteronimi, dall’irrequietezza nomade del viaggiatore Bruce Chatwin ai riflettori cancerogeni della società spettacolare del situazionista Guy Debord. Una cappella Sistina di maestri controversi e penne acidamente corrosive. Tra descrizioni di personaggi che furono sismografi di un’epoca incontrollabile, come Pareto, con la sua riflessione sull’élite, di una storia cimitero di aristocrazia a Pirandello, le sue maschere e i suoi timori, affrontando la perdita del sacro, l’avanzata della civiltà di massa, l’orrore fanatico dei gulag di Solzenicyn. L’eterno di Severino, la terra di mezzo di Tolkien, i camaleontismi coerenti di Malaparte. Lui un camaleonte imperfetto nutritosi di “opposti radicalismi: fu fascista e maoista, difese Gobetti e Dumini per l’assassinio di Matteotti, elogiò Lenin e Farinacci, corteggiò Mussolini e Togliatti, finendo poi tra le braccia di padre Virginio Rotondi”. Tra ironia e semplicità, tra il mondo capovolto di Kraus e quello piccolo, popolare e genuino di Guareschi e del suo don Camillo. Il teatro dell’assurdo e gli scolii del testo implicito del mondo del reazionario Gomez Davila. Non dimenticando “presenze ed assenze profetiche” che cambiarono la storia della letteratura mondiale. Come Proust che in pieno futurismo percorse il novecento contromano, attraverso la memoria inseguendo le ombre del tempo perduto masticando zuccherate madelaine. Approfondendo personaggi lontani dal tempo e mostrandone più che l’attualità, l’eternità, la capacità di parlare oltre il tempo, di non avere contemporanei, quindi l’inattualità. Di umanizzare giganti e monumenti della cultura occidentale e non, rendendoli vitali, facendone notare l’uomo prima del’artista, l’idea e il simbolo che li accompagnava. Pennellandoli con solitudine e incomprensione, gioia e genio, sottraendoli all’abbandono, all’oblio. Oblio di una cultura ottusa e/o noncurante. Perché ciò che accomuna questi personaggi così diversi è la capacità di essere contro questo tempo, di raccontare nonostante le finzioni ed i veti della correctness una umanità dolente, trafitta dalla tecnica, imbavagliata dai benpensanti e depensanti, smarrita da una società frenetica e sradicata. Scontrandosi con gli slogan del presente, le menzogne della comunicazione ed i dogmi del quotidiano. Anacronistici perché contro un’epoca di silenzio e mediocrità, intollerabili perché liberi e critici. Perché:
“Sì, i grandi scrittori non sono quelli che rispecchiano il proprio tempo e il potere dominante, ma coloro che lo sopravanzano, lo contraddicono, sanno toccare le corde della nostalgia e della profezia per raccontare il passato e prefigurare il futuro. La grandezza è sempre inattuale, è un passo più indietro e due più avanti del proprio tempo.”
Imperdonabili ritratti di un autore all’altezza delle proprie letture, una voce libera contro il coro, con il coraggio di indicare un sentiero privo di quelle belle chiacchiere che portano all’inferno. Imperdonabile Veneziani e per questo irrinunciabile.
Chi sono gli imperdonabili e cosa accomuna i personaggi di questo suo libro?
Gli Imperdonabili sono cento autori che non si riconobbero nel loro tempo e non si conformarono alle dominazioni vigenti, ma si resero appunto imperdonabili. Il titolo è una citazione da Cristina Campo; il titolo originario che avevo posto era Fratelli maggiori, nel senso dantesco di “chi fuor li maggior tui?”
Cosa hanno da dire questi autori al nostro tempo o almeno contro il nostro tempo?
Insegnano a non accontentarsi di quel che passa il convento, a guardare indietro, avanti, in alto e a non restare schiacciati sotto il peso abitudinario del quotidiano e degli assetti vigenti. Un fondo di ribellione emerge anche negli autori più conservatori e reazionari. Penso che sia una guida utile per fronteggiare il nostro tempo e mi fa piacere che sia Feltrinelli a pubblicare la sua versione tascabile nell’universale economica.
Con la fine della storia crolla il comunismo ma trionfa il marxismo? Marx rinasce nell’Occidente globale o questo mondo ha altri padri perdonabili e se si quali?
Il marxismo separato dal comunismo, sostengo nel ritratto dedicato a Marx, ha trionfato in occidente. Il rifiuto del senso religioso, del legame famigliare, delle patrie o comunità nazionali, l’ateismo pratico, l’internazionalismo e la deterritorializzazione, il primato dell’economia, la libertà come liberazione ed emancipazione, i diritti scissi dai doveri e la concezione materialistica della vita sono l’applicazione del marxismo alla società occidentale; del resto lo stesso Marx riteneva la società americana la più adatta a realizzare la sua rivoluzione, la più proiettata nel futuro perché libera dal fardello della tradizione e della civiltà europea.
Cosa intende con Pasolini reazionario senza grazia, e cosa ne pensa del testamento di Pasolini (in un certo senso a saluto e augurio)
La definizione di Pasolini come “reazionario senza grazia” se la dette lui stesso: ci sono in lui tutti i motivi di critica alla modernità, al capitalismo, all’industrializzazione e il rimpianto della civiltà contadina, della società tradizionale e della religione antica delle madri. Ho definito la poesia Saluto e Augurio il testamento spirituale di Pasolini non solo perché è l’ultima ma perché riassume quel sentimento religioso, senza la grazia della fede. E che ben si riassume nella sua esortazione al ragazzo “fascista”: difendi, conserva, prega…
Che cos’é per lei la tradizione? Forme eterne che hanno significati diversi nel tempo o principi eterni che cambiano le loro forme. A quali dei vari autori che citano la tradizione è più vicino?
Dedicai all’elogio della tradizione un libro vent’anni fa, Di padre in figlio (ed.Laterza). La tradizione è il senso della continuità, l’eredità viva del passato morto, qualcosa che dura nel tempo mentre noi tramontiamo. Tradizione è trasmissione, culto del fuoco vivo e non delle sue ceneri. Non ho un solo autore di riferimento in tema di tradizione. Per limitarci al Novecento la tradizione è per me Evola e Guénon ma anche Del Noce e Florenskij, solo per citare i più eminenti.
D’Annunzio ha vari volti da quello della retorica regime a quello nuovo del cattivo poeta ma per lei chi è statoD’Annunzio e che significato ha avuto la sua opera? Che ne pensa poi di queste due rappresentazioni?
Non sono mai stato dannunziano e non nascondo un certo fastidio per il suo debordante egocentrismo e per la sua iperbolica poesia, a tratti stucchevole. Ma è un genio, un grande poeta, una figura epica, a tratti eroica, che cercò di riversare la poesia nella vita e l’assoluto nell’io, accettando platealmente il rischio, l’amore per il pericolo. La religione della bellezza… D’Annunzio non fu fascista ma il fascismo fu (anche) dannunziano. Fu precursore, non poté essere seguace…
Luci e ombre di Gramsci.
L’ammirazione per la sua mente lucida, per la sua coerenza e per il suo sacrificio, nonché il merito di aver colto la centralità della cultura e del nazionalpopolare, non possono farci dimenticare che Gramsci nelle carceri fasciste, progettava un regime ben più totalitario di quello che combatteva: Il suo disegno di un comunismo compatibile con l’occidente ma non meno leninista (oltre che soreliano e per certi versi gentiliano) che portasse l’illuminismo alle masse in una dittatura pedagogica e risolvesse l’ideologia nella prassi; un comunismo giacobino, per così dire.
Come si pone la cancel culture nei confronti degli imperdonabili, cosa ne pensa di essa e crede nel primato dell’Estetica o dell’etica?
La cancel culture è la riduzione del mondo, della cultura, del genio, della storia alla livella del presente, al suo canone politically correct, al suo bigottismo o moralismo progressista e umanitario. E’ il contrario esatto degli Imperdonabili, nel senso che persegue il progetto di cancellare come imperdonabile ogni autore o cultura che non sia sottomessa a quei precetti e a quella censura.
Dante a cui ha dedicato anche il saggio, in quale modo è il maggiore imperdonabile.
Lo è nel senso dei “maggior tui”, ovvero è il capostipite, il princeps da cui principiò quella genia irriducibile…La vita di Dante, oltre che l’opera, testimonia il suo statuto d’imperdonabile: l’esilio, la condanna dei suoi libri, i contrasti, le polemiche, i veti…Ma in “Dante nostro padre” racconto anche il visionario celeste che fondò l’Italia e insegnò un cammino spirituale di salvezza.
Perché non ci sono autori classici nella sua raccolta?
L’ho fatto solo per delimitare la vastità del tema e partire da Dante in poi. Da Socrate a Boezio, ci sarebbe una lunga e ricca teoria d’imperdonabili, spesso martiri delle loro idee e delle loro opere. Penso per esempio a Seneca e a Plotino a cui ho dedicato due mie opere. Del resto, la mia rassegna degli imperdonabili è concentrata nel novecento.
Come mai non ha inserito autori francesi come Cau, Rebatet, Montherlant. che rapporto ha con questi tre e con Céline?
Se è per questo manca il principe degli Imperdonabili tra gli autori francesi, a cui ho dedicato un profilo solo di recente: dico Baudelaire, il maledetto per antonomasia, e poi Rimbaud e Mallarmé… Del resto sarebbe facile e al tempo stesso doloroso compilare l’elenco degli assenti ingiustificati, forse ce ne sarebbero altri cento. I motivi sono disparati; del resto mi soffermo più sui pensatori che sui narratori, comunque non sono preso da alcuni di loro pur riconoscendone la grandezza (penso a Montherlant, a Drieu, a Brasillach, a Rebatet, e per altri versi allo stesso Céline, che pur figura “di traverso”).
In letteratura cosa è ora imperdonabile? e in filosofia?
Se devo rispondere al cosa e non al chi, direi che è imperdonabile tutto quel che è fuori dalla cupola, fuori dal mainstream, che non ripete le diciture d’obbligo del presente, i santuari, i totem e i tabù predominanti. Imperdonabile è oltrepassare il proprio tempo, il proprio mondo, il potere vigente. In una parola, direi che oggi è imperdonabile tutto ciò che è spirituale. In particolare se ciò che è spirituale è insieme carnale o incarnato, ovvero realista e metafisico.
Il personaggio a cui è più legato.
Non mi chieda queste classifiche, rinverdiscono il trauma infantile della domanda “a chi vuoi più bene, a tua madre o a tuo padre?”. Sono inevitabilmente poligamo e politeista con gli autori, non riesco a fare classifiche, ciascuno ha un suo valore, un suo rango e una sua peculiarità; anche se si capisce bene leggendo il libro chi sono i miei autori preferiti e sono altrettanto evidenti i profili critici (da Marx e Stirner, fino a Eco, Adorno o Debord).
Dal cesarismo al trionfo del sangue sull’oro, Spengler fu una Cassandra miope o un pensatore del dopodomani della cui lungimiranza ci accorgeremo in futuro.
Spengler descrisse la decadenza europea che aveva davanti agli occhi e l’ascesa russo-americana, e ne anticipò alcuni sviluppi. Non fu del tutto profetico, tanto meno fu cassandra miope, ebbe la capacità drammaturgica di disegnare la storia e figurare le civiltà, in una visione universale, totale, di grandioso respiro. Ne comprese le variabili e i caratteri, colse le motivazioni e gli impulsi, in un intreccio di determinismo e relativismo, amor fati e casualità.
Cosa intende per faustismo e che affinità ha col prometeismo marxiano?
Faustiano è in Spengler (come in Goethe) quel che è prometeico in Marx, come nella scienza e nella tecnica; una specie di sovrumanismo romantico, di volontà di potenza che sconfina nella mitologia e nella hybris, la dismisura, la voglia d’infinito; fino alla disponibilità estrema di vendersi l’anima al diavolo. Oggi Prometeo (ma anche Faust) è stato sostituito da Proteo, il dio dei mutanti, dai trans ai trasformisti.
Chi è stato per lei il Nietzsche del XX secolo, Spengler, Camus, Cioran, Jünger e il più nietzschiano dei suoi eredi, da Musil a Mann da Kazantzakis a svevo?
Penso che Nietzsche abbia avuto molti grandi seguaci ma nessun vero erede. Non riuscirei a vedere tutto Nietzsche in nessuno di loro, ma solo un versante, un aspetto, o un tratto del sovrumanismo, della volontà di potenza, della sua visione estetica ed eroica del mondo. Molti seguirono Nietzsche, nessuno riuscì a superarlo, restarono dentro la sua ombra…
Nietzsche: nel libro ribalta molti temi dell’opera di questo pensatore, ma secondo lei che relazione ebbe col presente?
Nietzsche è il crocevia tra il sacro e il nulla, il punto estremo, dionisiaco, pericoloso, in cui la libertà gioca col destino, la volontà di potenza danza con l’eterno ritorno, e il superuomo si piega all’amor fati. Un martire dell’ateismo; testimoniò dove conduce la morte di Dio: al caos e al nichilismo, alla pazzia e alla morte dell’umano. Nietzsche condusse la filosofia sull’orlo estremo della catastrofe, oltre cui c’è la fine del pensiero o la nascita aurorale di un nuovo pensiero, magari in forma di visione.
Veneziani lei si definisce un imperdonabile e perché?
Sono sulla loro scia, seguo il loro solco, ma a distanza, in basso… Ma “si parva licet componere magnis”, si, avverto soprattutto dalle ostilità e dai cordoni sanitari, dalle finzioni d’inesistenza, dai silenzi e dalle omertà, fino alla simulazione di morte civile, di essere un imperdonabile.
Tra i ritratti della raccolta emerge quello di Cristina Campo, che giudizio ha di questa autrice?
Torniamo a lei da cui siamo partiti in questa conversazione circolare. Cristina Campo è forse l’autrice che più si avvicina alla perfezione, non solo alla purezza dello stile e della forma ma alla compiutezza spirituale, perfino liturgica e simbolica; non a caso è colei che ha scritto meno, e che avrebbe voluto scrivere ancor meno… Oltre la scrittura è la luce, e la grazia.