Anche i giornali seguono le mode. Una volta che se n’è andato le Carré, si è trovato (quasi) subito il suo alter-ego. Eccovelo: si chiama Sergei Lebedev e il New York Times gli ha dedicato un paginone dove si legge che le Carré, peccato, aveva appena ricevuto l’ultimo libro del russo senza fare a tempo a leggerlo. Sia come sia, mi sono incuriosito. Intanto, un russo che scriva velatamente di spionaggio è di suo cosa rara. Velatamente, perché in Russia il sistema è talmente pervasivo che non occorre parlarne con nettezza. Se volete gettare un primo sguardo dal buco della serratura, rimando alla pagina scritta sull’argomento dal compianto maestro e amico Giaconi . Per chi si interessa oggi di Lebdev basterà dire invece che è geologo di formazione. Ma non pour cause: in Russia fare il geologo, almeno dall’Ottocento, vuol dire avere un insight discreto sulla terra e i suoi abitanti. Tradotto: nelle spedizioni c’è sempre un uomo in più, un po’ come in Italia quando c’è anche il carabiniere nel comitato di ingegneri che organizzano le Olimpiadi. Detto questo, a noi. Un grande geologo, nel senso antico di esploratore, è stato il kazako Shokan Ualikhanov. Qui potrà interessare che è stato compagno d’armi di Dostoevskij.
Per una lettura enciclopedica su di lui rimando alla pedagogia fiammeggiante dei russi . Per una traslitterazione più pragmatica sulla vita e le opere dell’uomo si può consultare invece la pagina Wikipedia inglese che, ridotta all’osso, ci dà queste informazioni. Intanto, si tratta del fenomeno giovanile spento velocemente. Ualikhanov muore a 29 anni nel 1865. Nel frattempo è riuscito a fare diversi viaggi importanti. Alla scuola elementare impara anche l’arabo dai vicini di casa, poi a 12 anni entra nei cadetti di Omsk, in Siberia. Orientativamente nel 1853 incontra Dostoevskij quando è appena diciannovenne, mentre il “futuro” scrittore viaggia intorno ai 32. Il viaggio più importante Ualikhanov lo inizia a 23 anni: passa il confine a Kashgar ed entra nello Xinjang cinese. Questo con un anno di anticipo sulla rivolta musulmana contro Pechino. La diplomazia ha certo tempi lunghi, ma quando entrano in scena gli avventurieri a dorso di cammello la storia accelera o, almeno, si svela.
Shokan, del resto, non è nemmeno il nome vero. È il nomignolo affibbiatogli dalla madre e rimasto attaccato al viaggiatore-prodigio nella sua esistenza rapida, un guizzo. Il nome completo è Mohammed-Hanafiya (Hanafi è la scuola di legge più diffusa tra i Sunniti, quindi toto orbe nel mondo arabo). Certo era nato con la camicia, il nonno era un sultano accalappiato come colonnello dai russi lungimiranti. Ma si fece onore, Shokan. Se poi Dostoevskij ha conservato un così buon ricordo di lui non solo dalla Siberia ma pure dopo un rincontro casuale in Kazakistan, vuol dire che Shokan aveva qualcosa da dire, o quanto meno che lo sapeva dire benissimo. Nelle lettere Dostoevskij gli dice addirittura di amarlo…
Francamente la missione di Shokan fu spericolata, perché dovette fare la parte dell’esca passando in Kyrgyzstan e di lì nello Xinjang. Questo insieme a 40 uomini, 60 cavalli e 100 cammelli. Dopo i viaggi tornò a San Pietroburgo e negli anni Sessanta frequentò l’università (curioso, prima la vita poi gli studi, proprio come oggi…). Nel tempo libero raccoglieva i canti kirghisi di Manas e scriveva note sugli sciamani, mentre per la Società geografica russa stendeva le note di rendiconto che leggete tradotte in inglese qui. Oggi l’argomento del Grande Gioco, la disputa a tira e molla tra Russia e Inghilterra per il dominio asiatico, ha un fascino puramente storico, i problemi preponderanti sono semmai lo strapotere cinese e la compiuta infiltrazione del terrore islamico.
Il capitolo IV del libro sui Russi in Asia fatto di traduzioni di viaggiatori russi prontamente tradotte a Londra nel 1865 dai fratelli Michell cede la parola a Shokan.
Seguiamolo: “I miei viaggi in Dzungaria [nord Xinjang] cominciarono il 28 maggio 1856 quando mi unii a una carovana di mercanti allora accampata nella postazione di Karamul, a 20 miglia di distanza dal centro di Kopal. Questa carovana proveniva da Semipalatinsk e apparteneva a mercanti di Kokan e Bokhara. Era composta di otto tende, cento cammelli, sessantacinque cavalli, trentaquattro attendenti e mercanzie del valore di 3000 sterline. Ero noto al gruppo col nome di Alimbai e passai come parente della carovana appartenente ai Bashi, quella dell’influente Mussabai”.
Alimbai, quello che viene dal pozzo.
Fosse una fiaba di Andersen, Alimbai sarebbe il rospo astuto che trova il modo di risalire il pozzo entrando nel secchio. Chi preferisce la Bibbia per i suoi paragoni può vedere invece un nuovo Giuseppe, un po’ psicologo, un po’ figlio perduto…Ho detto che il Grande Gioco asiatico è una storia chiusa, buona per le chiacchiere di Umberto Eco (quando le faceva). Ribadisco che l’interesse storico è però corrispondentemente immenso: se voi prendete la traduzione inglese di Russi in Asia, quel che conta è la prefazione. Dopo un paragrafo iniziale sobrio, detached, ecco gli inglesi che usano le informazioni per imparare dal nemico.
Mettetevi comodi.
“Tra i resoconti di viaggi in Asia centrale è presentato qui al lettore quello del capitano Ualikhanov in Dzungaria e in Turkestan orientale. È un viaggio di eminente importanza. Dai tempi di Marco Polo e del gesuita Goez, nessun europeo a nostra scienza – con l’eccezione di A. Schlagintweit – è penetrato in quei paesi. La paura e la gelosia verso gli Europei insieme al fanatismo religioso della gente ha reso quasi inaccessibile quel paese agli esploratori moderni, e un destino sfavorevole attende chi si trovi a passare da Kashgar: immagine che rappresenta il pericolo a cui si espone chiunque cerchi di raggiungerla. I viaggi di Ualikhanov attraverso la Dzungaria e il Turkestan cinese sono stati compiuti in circostanze singolarmente favorevoli. Benché ufficiale del servizio russo e uomo di buona istruzione, è figlio del sultano kirghiso e nativo delle steppe. Di conseguenza è a suo agio con la lingua e le usanze dei popoli dell’Asia centrale ed è riuscito a viaggiare tra loro senza sollevare il minimo sospetto di esser collegato con la Russia. Ha potuto raggiungere Kashgar proseguendo con la carovana da Kokan e presentandosi come mercante di Margilan”.
Parentesi. Margilan è in Uzbekistan, di qui il nome uzbeko Alimbai, quello che viene dal pozzo. Continuiamo:
“La sua descrizione del Kashgar e della situazione politica del Turkestan orientale saranno apprezzate come un’aggiunta rilevante alle informazioni pressoché inconsistenti che possediamo al momento su quel paese”.
Segue un fioretto molto british (gli altri resoconti del libro sono opera di geografi e scienziati, quindi obiettivi, imparziali, senza argomenti politici), dove apprendiamo che le paure inglesi riguardavano in quel giro d’anni la nuova formazione statale del Turkestan appoggiato dai russi contro l’India britannica.
“D’altro canto, la sicurezza e lo sviluppo del commercio russo con l’Asia centrale dovrà pur essere a vantaggio inglese. Bokhara al momento rifornisce la Russia di cotone, frutta secca e altri beni, e importa questi generi scambiando coi russi in materie prime, legno, tessuti rozzamente lavorati e monete in contanti”.
Il resto è storia di sempre, il ghigno del mercante: gli inglesi si augurano che la nuova formazione statuale, ormai è lì e non si tocca, compri qualcosa da loro. È il 1865, Dostoevskij sta girando l’Europa sprecando soldi ai tavoli da gioco e il suo vecchio amico di militare è in fin di vita.