Mentre l’Occidente assiste sconcertato a ciò che avviene sulla scacchiera ucraina per l’ultima mossa di Vladimir Putin, lontano da lì, nel continente africano, la Russia continua ad aumentare abilmente e silenziosamente la sua influenza. La strategia di Mosca è ibrida e asimmetrica, poiché combina l’azione diretta dello Stato con quella in essere di attori e capitali privati, sebbene questi ultimi siano sempre al servizio degli interessi del Cremlino.
Tra questi attori privati spiccano quelli noti come il Gruppo Wagner, una compagine militare privata russa – il Cremlino nega i suoi legami con un’organizzazione che ufficialmente non esiste – capace di mobilitare migliaia di mercenari combattenti nelle zone di conflitto. Finanziati dall’oligarca Yevgeny Prigozhin – amico personale del presidente russo- il Gruppo Wagner è presente in Africa dal 2017, al fine di supportare i governi locali alla lotta al terrorismo e all’attività criminale (sebbene la strategia russa di assumere mercenari risalga agli anni novanta). In cambio lo Stato, o le imprese russe, ottengono importanti contratti commerciali, concessioni per lo sfruttamento delle risorse naturali – oro, magnesio, uranio o diamanti – o spazi per l’installazione di basi militari. Tra il 2015 e nel 2019, la Russia ha firmato 19 accordi di collaborazione militare con le autorità africane, secondo il think tank statunitense Brookings Institution. La Russia è, d’altronde, il più grande fornitore di armi ai paesi dell’Africa subsahariana.
L’espansione di Wagner sembra inarrestabile. I primi furono il Mozambico e il Sudan (2017), poi la Repubblica Centrafricana (2018), in seguito la Libia (2019) e negli ultimi mesi il Mali. Il Burkina Faso potrebbe essere il prossimo. Nel frattempo, diversi paesi africani, la maggior parte dei quali nell’area occidentale e saheliana, particolarmente colpiti dal terrorismo jihadista e dalla criminalità organizzata, hanno registrato negli ultimi mesi sommosse o tentativi di colpo di stato, tra i quali Mali, Burkina Faso, Ciad e Guinea.
Il caso paradigmatico del Mali
Il Mali è un caso paradigmatico di questa silenziosa ma efficace penetrazione russa nei paesi dell’Africa occidentale. Dall’avvento al potere nel 2020 dell’attuale giunta militare in Mali – il colonnello Assimi Goita è stato incoronato, dopo un secondo colpo di stato, come presidente nel giugno 2021 – i rapporti tra il Paese africano e la Francia, ex potenza coloniale in quest’area del continente, si sono deteriorati. Nel giugno del 2021 lo stato francese, indispettito dal trionfo del colpo di stato, ha annunciato la riduzione del contingente militare che combatte l’attività violenta dei gruppi jihadisti nel Sahel. Attualmente nella regione sono rimasti tra i 4.000 ei 5.000 soldati francesi; metà di loro stanziati in Mali. Un vuoto militare, e acque torbide che destano particolarmente l’attenzione della Russia.
L’ultimo episodio della crisi tra Parigi e Bamako si è verificato la scorsa settimana, quando le autorità del Mali hanno espulso l’ambasciatore francese a seguito di dichiarazioni del Ministro degli Esteri dell’Esagono, Jean Yves Le Drian, il quale ha accusato il nucleo militare al potere di essere “illegittimo” accusandolo di saccheggio delle risorse naturali del paese con l’aiuto di mercenari russi. In Mali si accende un sentimento antifrancese – si susseguono manifestazioni, in cui si scandiscono anche slogan favorevoli a Mosca – mentre i suoi leader non si tirano indietro quando si tratta di esprimere le proprie simpatie per la Russia. Allo stesso tempo, la deriva autoritaria nelle istituzioni del Mali, non fa che rafforzarsi. Le elezioni legislative previste per questo mese sono scomparse dall’agenda delle istituzioni; la prossima data proposta è dicembre 2025.
Sebbene il centro dell’attenzione occidentale sia oggi l’Ucraina, le grandi potenze e le istituzioni multilaterali – dall’UE agli Stati Uniti passando per le Nazioni Unite o la Comunità Economica degli Stati dell’Africa occidentale, la quale ha imposto dure sanzioni al Mali – non hanno nascosto la loro preoccupazione per l’attività dei mercenari di Wagner. Il potenziale destabilizzante di un aumento della violenza da parte dello Stato e dei gruppi armati e di nuovi colpi di stato autoritari per il Sahel è straordinariamente alto. E le conseguenze, sotto forma di migrazioni di massa, si faranno inevitabilmente sentire anche nel Mediterraneo e nel sud Europa.
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Articolo apparso in lingua spagnola su La Razon; traduzione a cura di Lorenzo Naso.