OGGETTO: Rivoluzione manageriale all'italiana
DATA: 31 Marzo 2021
SEZIONE: inEvidenza
In che modo vincere la concorrenza, formando in casa i nostri futuri manager pubblici, rifuggendo così dalla tentazione di chiamare esperti stranieri per risolvere problematiche interne al Sistema-Italia? Ne abbiamo parlato con Elio Borgonovi, luminare di Public Management ed ex Professore Ordinario di Economia delle Amministrazioni Pubbliche presso l'Università Bocconi.
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Professore Borgonovi, Le chiedo una sua visione sull’attuale rapporto tra pubblica amministrazione e società di consulenza privata, alla luce dei dati pubblici relativi ai costi e incarichi affidati ad esperti in merito a prestazioni di servizi spettanti ad enti pubblici; nonché i motivi dell’incapacità interna statale di adempiere a tali compiti.

Partendo dal secondo assunto: talvolta è incapacità ed incompetenza, talvolta è proprio impossibilità di assumere personale con professionalità adeguata al ruolo. Mi spiego meglio: il ricorso a figure professionali esterne può essere sostitutivo o necessario, in quest’ultimo caso la ragione è riconducibile a concorsi pubblici con tempistiche molto dilatate, ai criteri obsoleti degli stessi; e sovente da questi concorsi emergono personalità con preparazioni anacronistiche, legate perlopiù a quegli aspetti procedurali della materia (anni ’70 e ’80) e molto meno preparate alle poco attuate normative degli anni ’90, ossia l’attenzione ed il controllo ai risultati; pertanto si rende obbligato il ricorso all’esterno. È invece consulenza sostitutiva qualora si renda necessaria l’esecuzione di alcune attività di raccolta ed inserimento dati, ovvero mansioni operative non qualitative che una Regione sarebbe in grado di svolgere, ma non ne detiene i mezzi da impiegare a livello di capitale umano (blocco del personale, turnover ecc.), perciò si esternalizza l’operatività. Poi vi sono interventi più delicati, allacciandomi al primo tema, che rientrano in un ampio calderone di consulenze, atte a formulare proposte di intervento rilevanti nel funzionamento dell’amministrazione pubblica, a valle di analisi qualitative approfondite del sistema amministrativo.

La pubblica amministrazione è perciò mancante di quello sguardo d’insieme, di quelle conoscenze interdisciplinari, competenze, procedure ed informazioni che costituiscono il vero tesoro, sfruttato per accrescere il proprio prestigio nazionale e sovranazionale, in mano ai grandi gruppi della consulenza?

Bisogna distinguere innanzitutto quelle consulenze che provengono da gruppi sovranazionali e società (c.d. big four o eight che si voglia) soprattutto americane, frutto senza dubbio di quella esterofilia italiana, per la quale ciò che viene realizzato o espresso da queste multinazionali ha diverso rilievo che nel caso provenisse dalla mia persona o da un esperto di pubblica amministrazione di un’università italiana meno nota. In tali consulenze difatti è raramente avvenuto il trasferimento delle competenze all’interno di uffici pubblici che ne hanno richiesto l’intervento, ragione per la quale s’innesta una sorta di consul-dipendenza a fronte di una perpetrata assenza di formazione del personale interno. È necessario che venga inserita nei contratti futuri questa “internalizzazione” tecnica-operativa derivante dalla consulenza ricevuta, affinché si instauri una politica di trasferimento di determinate competenze, evitando ripetute collaborazioni esterne relative la medesima funzione, per carenza di personale o spesso per impreparazione dei soggetti interni.

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Qualora l’Italia in futuro dovesse dotarsi di manager e dirigenti pubblici eccelsi, professionalmente parificati a consulenti privati dei noti gruppi, cesserebbero i rapporti di consulenza esterna, o quantomeno diminuirebbe la dipendenza tecnica della P.A. verso queste società?

Sarebbero sicuramente rapporti più equilibrati, e ne conseguirebbero relazioni nelle quali sia la pubblica amministrazione sia le società stesse potrebbero giovarne, acquisendo valore reciprocamente: queste ultime comprenderebbero che la consulenza non è il trasferimento unico di modelli, ma il cercare di comprendere quale sia il problema specifico e adattare le soluzioni alla realtà particolare. Questo processo ad oggi non avviene poiché l’interlocutore pubblico è spesso debole e pertanto tale disequilibrio causa l’assorbimento in toto di quello che propone la società di consulenza senza quell’adattamento basilare al caso specie; dal lato della P.A. se composta da soggetti preparati e competenti in partenza (speriamo sia il caso del PNRR) si avrebbe un arricchimento dato da un minor e mirato intervento esterno volto a portare quelle conoscenze maturate in altri ambiti da questi consulenti, ovvero un plusvalore bilaterale tra pubblico e privato.

Il ricorso a consulenze esterne ed il crescente avvalersi di Management Consulting è la logica conseguenza di un inaridimento degli studi di management pubblico e di chiusura accademica della materia?

Possiamo dire che è un po’ il cane che si morde la coda; il fatto che la formazione della cultura di gestione ed organizzazione di strutture complesse si sia orientata prevalentemente sulle imprese, corrobora la tesi che questi studi di Public Management – togliendo il fatto che io sia parte interessata nella questione poiché ho svolto in prima persona tali insegnamenti – a livello accademico, sono poco indirizzati ad istituire iniziative nel formare una cultura amministrativa nell’interesse pubblico, con il risultato dell’avvento nei corsi magistrali di figure con cultura giuridica, sociologica o politologica piuttosto che di gestione pubblica. Manca quella cultura dell’interesse pubblico alla base. Confesso molteplici esperienze di persone che hanno frequentato i miei corsi di Public Management in Bocconi e che sono state valorizzate nelle società di consulenza quando hanno lavorato su progetti che coinvolgevano la pubblica amministrazione o la sanità.

Fabrizio Barca prospettava, constato il fallimento del modello dello Stato social-democratico degli anni ’60-’80 incapace di far fronte alla moltitudine di bisogni della comunità composta da milioni di persone e del New Public Management caratteristico dagli anni ’90 della pubblica amministrazione, uno Stato sperimentale ove i cittadini istruiti massivamente debbano partecipare in maggior misura alla vita pubblica – in quanto la distanza di conoscenza tra popolo e politici/tecnici si è gradualmente affievolita grazie alla rivoluzione digitale e all’istruzione di massa – confrontandosi pubblicamente con i propri rappresentanti pubblici. La cittadinanza può essere un nuovo polo fondamentale al fine di mantenere in equilibrio la domanda e l’offerta dei servizi essenziali offerti dall’amministrazione pubblica? In ultimo Le chiedo se alla P.A. del nostro Paese serva più una riforma strutturale od un cambio di disegno.

Riguardo la prima questione: sicuramente la crescente informazione ed istruzione dei cittadini svolge un ruolo fondamentale oggigiorno, tale da costituire un quarto polo rispetto a tre di riferimento (preparazione dei manager pubblici – figure professioniste e tecnici come ingegneri, medici – politica e burocrati) individuati da me negli anni ’90, costituendo un rapporto più matura utile sia ai cittadini sia alle figure dei dipendenti pubblici. In merito alla seconda domanda, mi verrebbe voglia di rispondere “ha bisogno di un cambio di cultura”. Indubbiamente necessita di un cambio di disegno come enunciazione di nuovi principi: responsabilità sulla ripresa, sui risultati ed interventi sui particolarismi. Occorre un disegno che fornisca un’immagine diversa dell’amministrazione pubblica, dei dipendenti pubblici, come non soltanto tutori della legge in astratto, al contrario, dev’esser concepita dai cittadini come Res publica appartenente a tutti e non a nessuno: ossia facendo leva sul rispetto dei diritti del cittadino fiancheggiata da doveri civici conformi della comunità. È necessario agire con maggiori semplificazioni, adoperando meno decreti ed interventi ad hoc per scavalcare singoli ostacoli: esiste oltre il burocrate, il buro-manager che applica i modelli manageriali e istituisce ulteriori regole (es. controlli di gestioni). Quindi, attenzione ai processi manageriali, la soluzione prospettata è il law-compact, ossia una compressione del carico di regole, che ad oggi offusca in larga parte la chiarezza del corpo legislativo attuale.

La ringrazio Professore per la Sua disponibilità, un cordiale saluto.

In conclusione, e legandoci alle ultime dichiarazioni del Dott. Borgonovi, ritroviamo l’errore in quell’iper-razionalismo di Stato: prima causa della moltiplicazione di leggi ed eccessiva regolamentazione delle funzioni pubbliche. Auspicando che errori strutturali ed ideali di questo carattere non si ripetano, crediamo, forse utopicamente che anche il nostro Paese possa dotarsi di una pubblica amministrazione sempre più competente e motivata al buon governo dello Stato. Ripetiamo, forse è utopia ma cosa è l’utopia se non “l’orizzonte: cammino due passi, e si allontana di due passi. Cammino dieci passi, e si allontana di dieci passi. L’orizzonte è irraggiungibile. E allora, a cosa serve l’utopia? A questo: serve per continuare a camminare”, in direzione dell’irrealizzabile.


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