Serietà, reputazione di gran lavoratore, mai troppo ambizioso, mai troppo egocentrico, altrimenti diventa facile perdersi negli ingranaggi dello Stato. Disciplinato, perché ti insegnano che nella vita la continuità è ciò che conta. Rimandare la pausa, far attendere il riposo, promettere un premio che si sposta in avanti. Un sacrificio che dura decenni e dona frutti (materiali) ad un corpo ormai decadente. E quel sostrato di cultura cattolica, indispensabile se la tua vita si muove tra prelati e associazioni religiose dalla beneficenza alla compagnia di vacanza. È il poco emozionante archetipo del burocrate perfetto, realistico ritratto di un possibile Giuliano Amato, tra politica ingessata nei Parlamenti e attività dietro le quinte negli apparati dello Stato.
Il Dottor Sottile prova ad eccedere quest’immagine, ma non riesce a sfondare l’ultimo soffitto che rimane sopra di lui: quello dello statista. Il suo mix è particolare: tre parti di politico, due di accademico, e una per l’intellettuale. Al confine tra il grigio burocrate e il grigio politicante, ma uno spessore culturale tale da farlo ambire ad un ethos superiore. È il mix di chi, oltre all’amore per la Costituzione, oltre alle elucubrazioni raffinate sul Welfare State o le prospettive europee, vuole lasciare un piccolo segno tangibile di sé.
È quel mix che invece lo fa scivolare sulla poltrona della Presidenza del Consiglio nell’annus horribilis 1992. L’ultimo governo politico di una Prima Repubblica che va in pezzi, in cui Amato è scelto proprio in quanto uomo di integrità intellettuale non discutibile: il meno politico tra i politici, in un contesto d’indagine che proprio in quelle settimane sta per dilatarsi a macchia d’olio. Già questo basterebbe a marchiare a fuoco il nome di chi, ad esempio, approverà il famigerato Decreto Conso, con cui il sistema partitico tentava, in extremis con una mossa del tutto improvvida, di salvare sé stesso dal baratro giudiziario.
Il naufragio politico della Repubblica si accompagna a quello finanziario, e in quegli stessi mesi arriva l’evento che davvero etichetterà per sempre il politico Amato come “colui che mise le mani in tasca agli italiani”. Il violento attacco valutario del Soros Fund Management e di altri fondi speculativi, costringerà la Banca d’Italia alla svalutazione del 30% della Lira, e, crucialmente, farà propendere il governo il prelievo forzoso del 6 per mille di tutti i depositi, accompagnato da una maxi-manovra di austerità, per risanare un bilancio pubblico rapidamente avviato verso il vortice dell’insostenibilità.
Valutato dal Presidente Scalfaro come la mela sana in un cesto che andava sempre più mostrandosi guasto e contaminato nella sua essenza, veniva consegnato alla storia politica italiana come l’agnello sacrificale, chiamato a navigare un sistema alla deriva che marciva sotto i suoi occhi. Come Monti dopo di lui, ma senza che ne potesse essere totalmente al corrente, divenne il capro espiatorio cui la politica poté ricorrere nel momento del naufragio economico-finanziario.
Negli anni Novanta continua l’attività grigia, come Presidente dell’Autorità Antitrust, e pure quella di agnello sacrificale, chiamato a sostituire D’Alema per un altro giro da traghettatore. La nostra concezione politica ci fa immaginare che quest’uomo, di intelletto più che di potere, si sia guadagnato un credito inestinguibile nei confronti della politica. L’empatia ci suggerisce che sicuramente questa è la sua percezione.
Un credito che vorrebbe trasformato in un percorso di successo nell’altissima politica. Prima come Vicepresidente della costituente europea, poi giudice della Corte costituzionale, gemma preziosa dell’uomo giurista, ma ancora priva di quell’aura carismatica, di quella rilevanza popolare in grado di riabilitarne la memoria. Un percorso che avrebbe dovuto trovare il suo compimento nella Presidenza della Repubblica, grazie al quale avrebbe condensato perfettamente la dimensione politica e di silenzioso uomo delle istituzioni; sola consacrazione in grado di produrre impronta storica.
La storia invece gira nel senso opposto e gli nega per ben due volte (forse tre?) il Quirinale. All’età di 84 anni la parabola non può che tornare a discendere, con la facoltà di riuscire già a intravedere l’oblio di una fine anonima. Appena rieletto il Capo dello Stato, Amato diventa Presidente della Consulta per uno scampolo di 2022, ma ormai è paradossalmente un contentino. Lo si vede nel modo in cui tenta bizzarramente di mediatizzarne il ruolo durante la vicenda dei referendum. L’ultima possibilità di caricarsi di quell’elevatura politico-intellettuale in grado di renderlo degno di menzione inorgoglita nella memoria degli italiani, e che invece si riduce inevitabilmente ad una comparsata a dissezionare, come suo soprannome vuole, ciò che già appare indivisibile. Ancora troppo immerso nella logica formale del diritto, ancora troppo Sottile. Un altro cattivo ricordo, questa volta soprattutto nella mente dei più giovani.
E se il credito politico viene ripagato attraverso le nomine, queste oggi si accumulano sullo scaffale del suo studio come coppette di tornei dilettantistici, del tutto insufficienti ad invertire la rotta. Anzi, l’ultima aggiunge al rancore una coda di derisione: analizzerà i rischi legati all’utilizzo dell’IA nel campo dell’editoria.
Nel frattempo un altro uomo, che nuovamente si voleva elevato a parafulmine nelle tempeste della politica, è invece uscito a testa altissima da un incarico che ne ha lanciato un’immagine quasi mitologica; non più di nicchia come deus ex machina dell’area euro, ma come statista che ha preso le redini della politica, e poi l’ha rigettata via quando questa ha minacciato di fagocitarlo. Come una rockstar ha impostato il suo tour mondiale, in cui, tra Davos e il World Statesman Award, ha riottenuto con gli interessi quell’irriducibile volontà di riconoscimento che ci caratterizza. E oggi – nonostante il contesto geopolitico giochi a suo sfavore – si gioca le sue carte per diventare, a fine guerra, il nuovo Segretario NATO.
Amato invece resterà nel girone di chi ha servito lo Stato, senza farsi troppo notare, raccogliendo su di sé le responsabilità peggiori, ma, vuoi per mancanza di carisma, vuoi per contingenze che si sono voltate dall’altra parte, non riuscendo a riottenere indietro il riconoscimento ch’egli pensava dovuto. E concluderà la sua opera terrena nell’ombra, nel discredito da destinare all’uomo “che ha messo le mani nelle tasche degli italiani”.